Il requisito territoriale è sempre più elemento distintivo e fattore strategico per mantenere e conquistare riconoscibilità e spazi di mercato.
E considerando la possibilità fornita dalla legge 12 dicembre 2016, n. 238, cd. Testo unico del vino, non mancano da parte degli addetti ai lavori riflessioni e strategie finalizzate a trovare una maggiore efficacia del messaggio territoriale.
Articolo tratto dal numero 6/2021 di VVQ
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La sfida è trovare la chiave di differenziare i vini sul mercato e ottenere un maggiore livello di riconoscibilità e di valore
Un tema che solitamente tocca anche l’ampiezza dell’area geografica prevista dal disciplinare dei vini Dop e Igp e la possibilità di indicare in etichetta un’unità geografica più ampia o, in alcuni casi, più piccola. La sfida è trovare, attraverso il requisito territoriale, la chiave per differenziare i vini sul mercato e ottenere un maggiore livello di riconoscibilità e di valore.
Il legame con il luogo di produzione
E se da un lato le aree geografiche, più o meno ampie, sono tecnicamente delimitate sulla scorta di una caratterizzazione climatico-ambientale e pedologica, d’altra parte occorre considerare la possibilità che hanno i territori più piccoli di poter esprimere, oltre a requisiti qualitativi spesso d’eccellenza, un proprio e più forte legame con il luogo di produzione.
Così come il nome regionale o sub-regionale in etichetta può semplificare il messaggio per dare una maggiore e immediata visibilità alle produzioni vitivinicole che, seppure di pregio qualitativo, soffrono talvolta di una base territoriale ristretta e meno conosciuta ai consumatori.
Le strategie messe in campo sono in effetti differenziate: è significativa, ad esempio, la scelta del Consorzio del vino Nobile di Montepulciano rispetto all’obbligo di indicare in etichetta dell’unità geografica più ampia «Toscana» (v. pag. 10 VVQ n. 1/2021) e, dall’altra parte, quella invece più recentemente promossa dal Chianti Classico rispetto al riconoscimento di più piccole unità geografiche aggiuntive.
La base giuridica
Il Testo unico del vino consente di modulare l’informazione territoriale e quindi di esercitare un certo grado di flessibilità: è possibile mettere in primo piano il nome dell’unità geografica più ampia, o se necessario più piccola, rispetto all’area delimitata dal disciplinare.
Per quanto riguarda il nome più ampio, la legge 238/2016 (art. 29, co. 6) prevede la possibilità di indicare, solo sui vini Docg e Doc, un nome geografico qualora sia indicato nei disciplinari – in alternativa è comunque possibile riportare il nome tra le indicazioni cd. libere (art. 44, co. 7) – e a condizione che tale informazione sia separata dal nome geografico della denominazione e delle menzioni Docg e Doc.
Sempre il Testo unico del vino (art. 29, co. 4) prevede anche, ma soltanto per i vini Dop, l’indicazione in etichetta delle Unità geografiche aggiuntive (Uga) – eventualmente corrispondenti a Comuni o frazioni – più piccole dell’area di produzione e anch’esse precisamente circoscritte. è questa la direzione scelta dal Consorzio Chianti Classico, che per la tipologia Gran Selezione, ha individuato, sulla base tra l’altro della storicità e della notorietà, una serie di Unità geografiche, tra le quali anche Castellina, Greve, Castelnuovo Berardenga, Lamole, Radda e San Casciano.
La valenza territoriale
La geometria variabile dell’informazione territoriale può condizionare la riconoscibilità di un vino ma anche dell’area di produzione: un binomio di reciproca visibilità che consente di essere più riconoscibili ma che porta indubitabili rischi.
Il recente caso Prošek in Croazia e lo Shampanskoe russo, traduzioni dei nomi protetti Prosecco e Champagne, sembrano manifestare – al di là delle argomentazioni e delle basi giuridiche reclamate – la stessa necessità: ottenere, mediante la rimodulazione in etichetta dei nomi protetti (già noti al consumatore) e della loro proiezione territoriale, una maggiore visibilità sullo scaffale.