La crisi dei rossi e un’offerta eccedentaria tirano in ballo la necessità di dover gestire in maniera ragionata la produzione di mosti d’uva e vino.
La legge 12 dicembre 2016, n. 238, c.d. Testo unico del vino, affida ai Consorzi di tutela importanti strumenti di governo, utili per calibrare l’offerta alla domanda di mercato, ridurre le rimanenze e sostenere il valore.
Un approccio che alcune filiere hanno già intrapreso e che potrà rientrare, insieme ad altre iniziative, in un piano di riequilibrio dell’offerta. Senza dimenticare la necessità di agire sulla domanda, in primo luogo mediante la misura di promozione sui mercati dei paesi terzi.
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Cambia lo scenario
I dati sui consumi confermano una differente prospettiva. Se da un lato il mercato premia i vini bianchi e gli spumanti, le analisi confermano che esiste un tema di stile e la ricerca di vini meno impegnativi, così come di occasioni e facilità di consumo alla base delle scelte d’acquisto.
Il problema è quindi come reinterpretare alcune tipologie di vino rosso, valorizzando sempre più le varietà autoctone e il loro legame con il territorio, ma occorre considerare anche la crescita delle bevande a basso contenuto alcolico: un fenomeno che, con l’applicazione del Reg. (UE) 2117/2021, chiama in causa anche i vini cosiddetti dealcolati (cioè caratterizzati da un titolo alcolometrico effettivo non >0,5% vol) e parzialmente dealcolati (con un titolo alcolometrico effettivo compreso tra 0,5% vol e 8,5% vol), aprendo anche alla possibilità che i vini Dop e Igp possano essere sottoposti ad una parziale dealcolazione.
Cambia lo scenario quindi, anche condizionato dalla spinta dell’inflazione, che sul fronte della domanda ha complessivamente ridotto la capacità di acquisto dei consumatori e rimodulato la spesa.
Una situazione che, soprattutto nelle annate particolarmente favorevoli dal punto di vista climatico, quindi più produttive di altre, ha generato un progressivo incremento delle giacenze di cantina.
Troppa giacenza
La rilevazione alla data del 30 aprile presenta una rimanenza di cantina pari a 56,6 milioni di ettolitri di vino, +5,3%, corrispondente a circa 2,9 milioni di ettolitri in più rispetto al volume registrato alla data del 30 aprile 2022. Rispetto al dato complessivo, i vini comuni in giacenza contano poco più di 11 milioni di ettolitri, cioè +1,8% su base annua. Stando ai numeri, la maggior parte delle scorte di cantina è quindi riconducibile ai vini Dop e Igp, a dimostrazione che i vini comuni utilizzano mercati e dinamiche differenti rispetto a quelle dei vini territoriali.
Nel complesso la situazione è molto differenziata a livello territoriale: la distribuzione dei numeri mette in luce Regioni in netta difficoltà mentre altre più libere e ancora in grado di reggere il colpo. Sembra sia necessaria una riflessione che consideri, nell’ambito di una strategia d’insieme, i differenti strumenti che possono contribuire, nel medio periodo, a rimodulare l’offerta.
Ma l’obiettivo, in alcune Regioni, rimane quello di svuotare le cantine prima dell’inizio della vendemmia, ormai prossima. E su questo fronte, per poter gestire l’emergenza alcuni territori sollecitano la distillazione di crisi, da applicare in maniera mirata in considerazione delle reali necessità e con una riflessione sui prezzi che, se non adeguatamente stabiliti in relazione al mercato (o, per meglio dire, ai differenti mercati) rischiano di abbassare, in maniera indifferenziata e pericolosa, l’asticella del valore.
Quali strumenti?
La domanda e l’offerta sono le due grandezze che regolano il mercato e, anche nel caso dei vini, anche il livello dei prezzi e i margini di reddito per i produttori.
Il Testo unico del vino offre alcune possibilità, da calibrare in relazione all’assetto produttivo e agli obiettivi, e un ruolo di primo piano ai Consorzi di tutela che hanno la facoltà di proporre alle Regioni delle misure di gestione dell’offerta. Il traguardo è contenere la produzione e mantenere il valore, intervenendo in corrispondenza dei differenti segmenti della filiera: è possibile infatti disciplinare l’iscrizione dei vigneti nello schedario ai fini dell’idoneità alla rivendicazione dei vini Dop e Igp così come ridurre la resa massima di vino classificabile come Dop, rimodulare la resa massima di uva a ettaro nonché la relativa resa di trasformazione in vino.
Oltre agli interventi a monte, è poi possibile destinare l’esubero massimo di resa di uva o vino per ettaro, pari al 20%, a riserva vendemmiale, per far fronte alle eventuali carenze di produzione che potrebbero manifestarsi nelle annate successive. Al di là delle misure espressamente indicate, la legge 12 dicembre 2016, n. 238 prevede poi la possibilità di adottare a livello regionale «altri sistemi di regolamentazione della raccolta dell’uva e dello stoccaggio dei vini», una formula più ampia che consente di applicare un certo margine di flessibilità, che nel caso specifico può essere destinata anche alla gestione dei volumi Igp, oltre che Dop.
Sollecitare la domanda
L’imperativo è quindi raggiungere l’equilibrio di mercato. Un obiettivo non semplice che deve poter considerare, oltre alla gestione dell’offerta, anche i margini di intervento sulla domanda.
Consolidare mercati – le cui attività, ai sensi del Reg. (UE) 2115/2021, sono limitate ai vini Dop e Igp e per una durata massima di 3 anni – ma anche aprire nuovi canali e incoraggiare il commercio estero ed i consumi, è un’altra sfida per il settore, anche considerando che sul fronte del commercio estero si conferma una forte concentrazione dei volumi in pochi paesi clienti. E proprio rispetto ai consumi, è necessario rafforzare il posizionamento ma riflettere rispetto all’opportunità di differenziare le iniziative promozionali nei mercati esteri più reattivi. Un fronte decisivo su cui lavorare che tuttavia attende l’apertura dell’avviso utile per la presentazione dei progetti di promozione relativi alla campagna 2023/2024, necessario per andare avanti su questa strada (una strada su cui si registrano purtroppo intoppi e ritardi).
Criteri di priorità per la ristrutturazione dei vigneti
Il decreto ministeriale 16 dicembre 2022, n. 646643 – che ha adeguato i meccanismi della misura di ristrutturazione e riconversione dei vigneti alla nuova impostazione del piano strategico Pac 2023-2027 – conferma il ruolo centrale delle Regioni che, con proprie determinazioni, possono applicare la misura individuando alcuni parametri di riferimento, tra cui l’indicazione delle varietà, delle forme di allevamento e del numero di ceppi per ettaro.
Così come è possibile individuare dei criteri di priorità che, a livello regionale, sono in grado di poter adeguare le modalità di applicazione spostando la valutazione sulle variabili in grado di avere effetti sull’offerta. Si tratta di criteri che possono essere integrati su richiesta delle Regioni e che potrebbero consentire di lavorare in una logica di prospettiva, cercando di allineare la domanda alle richieste di mercato. In tal senso, le attività di riconversione – cioè di reimpianto, con o senza la modifica del sistema di allevamento, di una diversa varietà di vite di maggiore interesse commerciale – e il sovrainnesto sembrano essere strumenti utili per andare in questa direzione.
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Strumenti da calibrare
I numeri e la struttura produttiva confermano una situazione molto differenziata sul territorio, che richiede quindi, anche in termini di gestione dell’offerta, interventi e scelte altrettanto differenziate.
Serve strategia, come detto, e unità d’intenti a livello territoriale per poter apprezzare gli effetti, sia in termini di volumi che, in alcuni casi, di valore. Non c’è dubbio invece che alcune scelte sono di portata non territoriale e potrebbero influire sui mercati: è il caso dei vini dealcolati e parzialmente dealcolati, un segmento in linea con i nuovi trend di consumo e che potrebbe aiutare anche in termini di giacenze ma ad oggi non ancora a regime.
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