Sovranità vitivinicola

I nodi che frenano l’innovazione genetica in viticoltura viaggiano su un doppio binario: l’Europa sblocca i vitigni resistenti nelle Doc, ma l’Italia tarda a recepire questa opportunità. All’Italia piacerebbero i cloni Tea, ma Bruxelles accumula ritardi su questo fronte. Da dove potrebbe partire un Ministero che reclama la necessità di decidere in proprio sulle sorti del comparto primario sin dal nome?

Masaf.

Una sigla secca, veloce, sibilante per rappresentare con onomatopeutica efficacia il repentino cambio di marcia di quello che era il Ministero dell’Agricoltura prima del referendum abrogativo di 30 anni fa.

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Il neo ministro Francesco Lollobrigida spiega che il riferimento alla sovranità alimentare presente nel nuovo nome (Masaf sta per Ministero dell’agricoltura e della sovranità agricola e forestale) non ha nulla a che fare con l’autarchia. L’agroalimentare traina l’export italiano, soprattutto quello vitivinicolo che alla fine dell’anno supererà il valore di 8 miliardi di €, un record da tutelare.

Piuttosto la scelta di cambiare nome al dicastero di via XX settembre avrebbe a che fare con la volontà di difendere il nostro modo di produrre, vivere, mangiare e anche bere. L’auspicio è che a Bruxelles cambi la musica: basta con tutte quelle direttive che mettono in difficoltà i nostri imprenditori agricoli e vitivinicoli pretendendo, in maniera paternalistica, di esasperare gli aspetti nutrizionistici e salutistici.

L'ossimoro del vino dealcolato

Stop quindi al vino dealcolato, un ossimoro per la nostra cultura enogastronomica. Tutti i sondaggi rispetto alle scelte dei consumatori lo relegano infatti agli ultimi posti per le eventuali scelte di acquisto nel nostro Paese. Lo stesso però non avviene nel Centro e nel Nord Europa, dove la tensione sul binge drinking (gli eccessi alcolici che contagiano soprattutto i più giovani) è più sentita: come faremo a raggiungere questi mercati se seguiremo solo le nostre regole?

La babele dei resistenti

E riguardo all’altra consistente novità introdotta dalla nuova Ocm, ovvero la possibilità di impiegare i vitigni resistenti anche per la produzione di Doc e Docg, quali sono le nostre regole? Con la devoluzione innescata dalla riforma del Titolo V della Costituzione la sovranità in agricoltura è infatti tutta locale e questo è particolarmente evidente in viticoltura, dove ogni Regione adotta regole e soprattutto elenchi varietali diversi.

Recinti che per ora impediscono alla promessa di sostenibilità dei Piwi di espandersi oltre i confini di poche illuminate regioni. Un’innovazione in realtà inibita anche a livello nazionale dall’art. 33 del Testo Unico della Vite e del Vino che, rifacendosi al Reg 1308/2013, ne vieta espressamente l’impiego nelle Doc.

La gerarchia delle fonti

Il problema è che, dal primo gennaio, tale regolamento decade ed entrano in vigore le aperture concesse dal Reg. 2117/2021. Via libera quindi automaticamente ad eventuali aggiornamenti dei disciplinari proposti dai Consorzi di tutela più favorevoli ai resistenti? Oppure occorre superare formalmente lo scoglio normativo con una riforma del Testo Unico? E per riuscirci basta un decreto, oppure occorre attendere i tempi di un progetto di legge di iniziativa governativa, o addirittura parlamentare? Quesiti a cui ha cercato di dare una risposta il Convegno organizzato a Mezzacorona a fine novembre da Alleanza delle Cooperative agroalimentari assieme a Ugivi, l’Unione dei Giuristi della Vite.

Senza per altro riuscire a sciogliere in maniera univoca questo nodo gerarchico. Anzi mettendo in evidenza che sul fronte delle innovazioni genetiche i contrasti tra discipline concorrenti viaggiano su un doppio binario. Se infatti sul fronte dei resistenti è l’Italia che sembra, consapevolmente o no, opporsi ad un’innovazione sdoganata in Europa e che ci consentirebbe di sfruttare il vantaggio competitivo di una ricerca nazionale all’avanguardia, sul fronte dei vitigni Tea, quelli ottenuti da biotecnologie sostenibili come genome editing e cisgenesi, è l’Europa a mordere il freno.

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Sbloccare la sperimentazione in  pieno campo per le Tea

In Italia si sta infatti cementando un largo consenso verso un’innovazione che può, potenzialmente, abbinare tipicità a sostenibilità costituendo non nuove varietà, ma cloni più resistenti di vitigni, magari autoctoni, che già godono di riconoscimento commerciale. Un’opzione per ora ostacolata dallo scoglio, che tarda ad essere rimosso, della sentenza della Corte di Giustizia Ue che le ha equiparate, dal punto di vista normativo, agli ogm. Nell’attesa di un cambiamento, l’Italia può comunque fare qualcosa. Con il cambio di Governo si sono infatti perse le tracce dell’iniziativa parlamentare che puntava a consentire la sperimentazione in pieno campo di quei vitigni Tea per ora relegati tra le anguste pareti dei laboratori di ricerca. Converrebbe sbloccare subito questa opportunità: sarebbe un modo efficace per esercitare l’agognata opzione della sovranità alimentare.

Sovranità vitivinicola - Ultima modifica: 2022-11-27T23:03:11+01:00 da Lorenzo Tosi

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