Auric Goldfinger, il cattivissimo multimilionario che voleva azzerare le riserve auree degli Stati Uniti con una bomba al cobalto, annientato da James Bond nel 1964 grazie a un microchip tracciatore Gps ante-litteram, in grado di localizzarne la posizione con precisione micrometrica.
Henry Gupta, tecnoterrorista nella lista nera dell’Fbi, neutralizzato nel 1997 per merito di un telefono con scanner, laser e teaser. Uno smartphone ipotizzato dieci anni prima che Steve Jobs rivoluzionasse il nostro modo di comunicare a distanza.
E poi orologi con televisione, visori notturni, videocamere miniaturizzate, microchip sottocutanei, occhiali con quella che oggi potremmo chiamare realtà aumentata e naturalmente l’Aston Martin attrezzata con ogni sorta di razzo, scanner, scudo e detector. Equipaggiamenti da riconsegnare intatti alla fine di ogni missione con licenza di uccidere.
Gadget fantascientifici
La collezione infinita di gadget fantascientifici messi a punto per l’agente 007 da “Q”, nome in codice per il responsabile della sezione logistica dell’MI6 della saga inventata da Ian Fleming, sono oggi a disposizione di noi tutti. Desiderati per anni, non potendo certo utilizzarli per conquistare Bond girl o per fare fuori i cattivoni di turno, spesso non ne sappiamo sfruttare in pieno l’utilità. Capita anche in vigneto e in cantina. Dove le innovazioni portate dall’Internet of Things, l’internet delle cose, promettono di migliorare la gestione, il monitoraggio e la tracciabilità delle produzioni. Promesse che per ora cadono nel vuoto. L’evoluzione della sensoristica e l’utilizzo di protocolli di trasmissione più performanti consentirebbero infatti di attribuire una personalità digitale ad ogni oggetto inanimato, sia esso un veicolo, una trattrice, una pianta di vite, un recipiente enologico o una barrique. Già oggi cantine e vigneti sono sotto la lente di sensori ottici, termici e iperspettrali. Lidar in grado di leggere la densità ottica delle trappole a feromoni, sap-flow in grado di rilevare il flusso xilematico nei tralci di vite, dendrometri per le variazioni del diametro, termometri e psicrometri per i parametri di foglie, grappoli, mosti ecc. Sensori di pressione, umidità, pH e temperatura in verità sconosciuti a 007, ma preconizzati da Mission: Impossible, un altro tormentone spionistico.
Dare un senso all’innovazione
Per capire il senso compiuto di tutte queste innovazioni l’Unione europea ha lanciato il progetto Iof 2020 (Internet of food and farm). Le applicazioni vitivinicole selezionate sono state messe in opera da ricercatori italiani (v. pag. 56 di questo numero di VVQ). L’era dell’Internet of things entra così nella pratica di viticoltori e cantinieri soprattutto per soddisfare l’ansia del controllo. Lo stesso sentimento che sostiene le attività di spionaggio e controspionaggio spinge invece gli operatori del nostro comparto a monitorare le esigenze idriche e fitoiatriche di ogni singola vite, l’andamento delle fermentazioni e degli affinamenti, fino al rispetto delle migliori condizioni di conservazione delle bottiglie in post vendita, arrivando fin nelle case dei clienti. Dati elaborati da Plc e trasmessi sui dispositivi digitali degli utilizzatori. Tra tutte queste applicazioni Iot, quella più evoluta prende lo spunto dalla necessità di facilitare l’attività dei certificatori attraverso tecnologie di monitoraggio remoto e realtà aumentata per poi sviluppare nuove opportunità di business raggiungendo ogni singolo consumatore attraverso l’applicazione di strumenti di realtà virtuale.
Privacy da proteggere
Applicazioni che generano una marea di Big data sull’attività aziendale, da proteggere con rigore per salvaguardare la propria competitività. Privacy, autonomia e controllo: sono questi i punti deboli dell’Internet of Things, a fronte dei notevoli vantaggi operativi. Le guerre commerciali del futuro si giocheranno infatti sul possesso di questi dati. Tecniche Nuove ne sa qualcosa: la nostra casa editrice ha l’innovazione nel sangue e nel nostro catalogo ci sono anche romanzi come Vipera, in cui il protagonista, inventore di un chip quantico per la mobilità, chiave di volta per l’armonia dei flussi di veicoli e quindi in grado di innescare il decisivo sviluppo di veicoli e trattrici a guida automatica (la svolta definitiva dell’Internet of Things), cerca di mettere al riparo la sua invenzione dalle brame di chi vorrebbe utilizzarla per tracciare ogni nostro spostamento e comportamento. La fantascienza è già realtà: meglio attrezzarci per tempo anche in cantina e vigneto.
Controcanto
IL CHIASSO ASSORDANTE DELLE VITI
Scordatevi la pace e il silenzio dei paesaggi vitati. Attrezzando ogni pianta con sensori e mettendola in rete tramite protocolli di comunicazione condivisi, abbiamo dato voce ad ogni sua esigenza idrica, nutritiva e fitosanitaria. Rischiando di trasformare il vigneto in un vero cahiers de doléances. E lo stesso capita in cantina con le comunicazioni a senso unico di botti e tini. L’Internet of Things rischia così di diventare una vera e propria dittatura delle cose dove, a dover interpretare le diverse voci digitali, e agire di conseguenza, è sempre l’uomo, il viticoltore o il cantiniere al servizio di oggetti inanimati che prima governava.
Presto il silenzio diventerà una leggenda. Giorno dopo giorno l’uomo inventa nuove macchine e marchingegni che accrescono il rumore e distraggono l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione. Suonare il clacson, urlare, strillare, rimbombare, frantumare, fischiettare, rettificare e trillare rafforza il nostro ego.
Lo diceva un secolo fa lo scultore dadaista Hans Jean Arp e oggi la situazione è nettamente peggiorata. Nell’era dell’information technology l’eccesso di informazione rischia di generare una nuova forma di ignoranza. Possiamo chiudere le palpebre, ma non possiamo chiudere le orecchie. Finiremo per ignorare i messaggi lanciati dal vigneto e dalla cantina. Capita già con le informazioni fornite dai Dss, i sistemi di supporto alle decisioni che ci aiutano nella difesa contro le patologie fungine e gli insetti. Dopo gli entusiasmi iniziali siamo infatti portati a trascurare eventuali avvisi di rischio fitosanitario che non collimano con le nostre aspettative, esponendoci a danni difficili da rimediare. L’unica soluzione potrà arrivare solo dall’automatizzazione di operazioni tecniche, in cantina e vigneto, che oggi pretendiamo quanto meno di mediare. È la prossima evoluzione dell’Internet of Things, ci potremo fidare?
Editoriale di VVQ 5/2018 - Luglio