Altro anno record per il vino italiano. Il balzo del +30,6% in valore registrato da Istat nel 2018 lo porta per la prima volta al primo posto tra le produzioni agricole. Con 9,3 miliardi di euro di Plv totale il vino supera infatti il comparto ortofrutta (8,9 miliardi) che è in leggera frenata. In forte ridimensionamento invece l’olio d’oliva che nel 2018 ha accusato un tracollo del 42,6% a causa dell’andamento climatico e dell’emergenza Xylella e che ora supera a mala pena il miliardo di euro, nove volte di meno.
Più che un traino per l’agroalimentare, il vino è così ormai una lepre imprendibile per gli altri comparti. Da cosa deriva questa marcia in più? Il fatturato totale del vino italiano è oggi pari al doppio di quello registrato nel 2007, mentre l’olio è scivolato addirittura a un terzo rispetto a quindici anni fa, un risultato impensabile alla luce di un cammino che è stato comune. Bruxelles infatti non ha mai fatto troppi sforzi per gestire la biodiversità delle produzioni agricole mediterranee e fin dal 2003, all’alba della Riforma Fischler, ha tracciato un percorso di emancipazione al grido di “meno assistenza e più mercato”.
Dal ciclone della globalizzazione...
Ogni favola è vera a metà cantava Bennato, ma quando si tratta di Pac non c’è sempre un lieto fine, perché quello che viene dato in forma di sussidi prima o poi viene tolto, meglio non abituarsi. In quegli anni mamma Europa ha infatti chiamato a sé vino, olio e ortofrutta, proprio come nella fiaba dei tre porcellini: «ora che siete cresciuti dovete cavarvela da soli».
L’Ocm è così diventata unica e i piani settoriali hanno iniziato a cofinanziare azioni come quelle di promozione, ristrutturazione o pianificazione elaborati più o meno direttamente dai produttori. Più libertà, ma anche la responsabilità di trovare alternative agli aiuti diretti. L’olio d’oliva poteva essere il settore più avvantaggiato: niente era forte come l’origine Italia per l’extravergine. Ma per proteggere questo talento il settore dell’olio si è accontentato di una “casa di paglia”: l’estrema frammentazione del sistema delle Dop (e il il triste primato delle irregolarità e delle truffe sull’origine) non ha consentito di far fronte al ciclone della globalizzazione, spingendo oggi l’olio sulla trincea estrema dei blend tra produzioni straniere e italiane, per difendere le ultime quote nazionali.
La casa di legno è invece quella del comparto ortofrutta: il sistema delle Op (organizzazioni dei produttori), non è infatti riuscito a giocare in pieno la carta dell’innovazione, soprattutto quella varietale. L’Italia dovrebbe infatti essere il giardino d’Europa, scrigno di biodiversità proprio per la frutta e la verdura, ma oggi si adatta a coltivare varietà che arrivano da California (l’uva seedless), Israele e Olanda, Australia e Nuova Zelanda (mele e kiwi). Varietà protette da brevetti e da organizzati sistemi di gestione “a club” che hanno fatto velocemente breccia tra le fessure della nostra anarchia, costringendo l’ortofrutta nazionale a pagare dazio alle royalty dell’innovazione altrui.
La casa costruita dal vino appare decisamente più solida. Quindici anni fa era il settore più esposto alle intemperie di un’ accresciuta concorrenza, sia da parte dei competitor tradizionali che da quelli che arrivavano dal sud del mondo. L’”autodeterminazione” concessa dall’Ue è stata così impiegata per rafforzare tre ingredienti chiave: l’inventiva dei produttori, l’innovazione clonale e varietale, la riconoscibilità e potenzialità dei territori, con lo sviluppo di denominazioni di dimensione interregionale come quelle di Prosecco, Pinot Grigio delle Venezie o Sicilia. Un esempio che oggi anche l’olio d’oliva cerca di seguire, con il varo di nuove igt di dimensione almeno regionale.
...alla tempesta di embarghi e dazi
Il problema è che sui mercati il vento ha cambiato direzione: dazi, accise, Brexit ed embarghi vari potrebbero essere solo i primi segnali di perduranti guerre commerciali. La casa di mattoni potrebbe non reggere a questa burrasca. Il comparto vitivinicolo italiano cerca di rafforzarla chiedendo ad esempio all’Europa di rivedere gli ultimi elementi di rigidità come il sistema delle autorizzazioni d’impianto. Richieste che Bruxelles sembra disposta ad accogliere solo in parte, ancorando il plafond dell’1% della riserva nazionale per i nuovi impianti alla superficie storica registrata nel 2015, primo anno di applicazione di questa misura. E altre aperture, nella prossima Ocm potrebbero riguardare i vitigni resistenti e i vini low alcohol: innovazioni per aprire nuovi mercati.