Il concetto di vita economica del vigneto, oggi comunemente valutabile in 30-35 anni, dipende da numerosi fattori, tra i quali spiccano:
- riduzione delle rese produttive, soprattutto per malattie difficilmente controllabili, quali mal dell’esca, eutipiosi, virosi, flavescenza dorata, black rot ecc.;
- necessità di sostituire il vitigno e/o il sistema di allevamento;
- cambio nell’uso del suolo.
Occorre tuttavia sottolineare che non è semplice stabilire quando un vigneto si può considerare vecchio, anche perché non esiste una definizione legale e la percezione di tale status varia anche in funzione del Paese.
Altro fattore che riduce la durata economica del vigneto è l’uso obbligatorio del portinnesto.
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Le aree fillossera free
Vigneti ultrasecolari si riscontrano infatti soprattutto nei Paesi o aree definite “fillossera free”, quali:
- l’isola della Tasmania;
- Australia dell’ovest;
- le isole di Cipro e Santorini;
- alcune parti della valle della Mosella;
- le aree molto sabbiose di Colares in Portogallo e di Amyndeon in Grecia;
- le pianure della Patagonia del nord in Argentina (vedi foto);
- alcune zone vulcaniche quali certe aree dell’Etna e dei monti del Vesuvio.
Isolamento geografico, stringenti misure di quarantena, altitudine, eccesso di calcare e suoli molto sabbiosi sono alcune delle caratteristiche o misure che hanno contrastato in modo naturale lo sviluppo della fillossera e permesso la coltivazione di viti franche di piede, ergo senza portinnesto. In queste realtà è più facile trovare vigneti ultracentenari e pienamente funzionali.
Più rispetto per i patriarchi
Per curiosità, pare che in Europa la vite più antica ancora produttiva sia quella di Maribor in Slovenia, con i suoi oltre 4 secoli di età e rese d’uva variabili da 35 a 55 kg l’anno.
Va menzionato, a pari merito, il vitigno a bacca bianca Versoaln, presso il Castel Katzenzungen nella frazione di Tesimo (Prissiano, Alto Adige) che, con la vite più rappresentativa e antica di oltre 350 anni di età, ha raggiunto dimensioni da record, ovvero un tronco di 0,32 m di diametro, la cui chioma copre una superficie di oltre 250 m2 allevata con la tradizionale pergola di legno.
Un altro importante patriarca viticolo è “The Great Vine”, piantato nel 1768 nei giardini di Hampton Court Palace, palazzo reale nel sobborgo di Londra di Richmond sul Tamigi, dall’allora capo giardiniere e paesaggista Lancelot Capability Brown.
Si tratta di una pianta di Schiava Grossa, che con i suoi 250 anni di età pare essere la vite più grande al mondo. Tale vite è coltivata secondo la tradizione vittoriana, ovvero all’interno di un’intera serra, indispensabile per la protezione dai freddi invernali. La produzione media d’uva è di 272 kg, nel 2001 si ebbero circa 383 kg; tale uva viene venduta ai privati durate le prime 3 settimane di settembre.
In Australia del sud, precisamente nella Barossa Valley, pare vi sia la più alta concentrazione di viti “venerabili”, tanto che nel 2009 è stata istituita la “Old Vine Charter” con l’intento di censire, registrare e preservare l’eredità di questo patrimonio viticolo, il cui esemplare più antico pare sia datato 1843.
In base all’età, le categorie istituite sono:
- Old vines (35 anni);
- Survivor vines (70 anni);
- Centenarian vines (100 anni);
- Ancestor vines (125 anni).
Chi valorizza le old vines
Ovviamente, a parte l’interesse storico nel preservare tale eredità, vi sono anche ragioni di tipo prettamente economico, ovvero lo sfruttamento di vigneti ultra trentennali nei quali, al pari di quanto realizzato nelle old vines americane e australiane, nelle vieilles vignes francesi, nelle viňas viejas spagnole o nelle vigne vecchie di poche aziende italiane, si può realizzare un vino caratterizzato da proprietà organolettiche superiori, struttura e complessità in primis.
Questo tipo di vino va naturalmente inquadrato in un’ottica di creazione di nuovi prodotti enologici legati al territorio e con un elevato appeal comunicativo, caratterizzati da elementi di sicuro pregio e capaci di generare un valore aggiunto, valorizzando le risorse naturali e umane.
Interessante è la specificità che, a tal riguardo, è stata creata ad hoc su alcune aree vitivinicole della California del sud, quali le valli di Temecula e di San Pasqual a nord di San Diego, ove i vigneti vengono anticati artificialmente mantenendo con la potatura invernale la maggior parte di legno vecchio e trasformando le viti in veri e propri monumenti arborei. I vini prodotti con le uve di questi vigneti costituiscono i famosi “Old Vine Wines Californian” e si riconoscono perché nelle relative bottiglie vengono applicati appositi loghi identificativi (vedi la foto in apertura).
Le ricerche in corso
Ma cosa rende le vigne vecchie speciali e quindi interessanti anche dal punto di vista economico?
Il mantenimento in vita di reperti archeo-botanici arborei, considerati come veri e propri patriarchi vegetali, assume particolare importanza poiché rappresentano testimoni viventi di una cultura rurale appartenente certamente al passato, spesso remoto e addirittura pre-fillosserica, in grado di certificare e tramandare la storia e le tradizioni dei territori viticoli.
A parte questo aspetto, certamente non secondario, l’interesse per le vigne vecchie deriva anche dal fatto che solitamente le piante sono maggiormente equilibrate e riescono ad autogestirsi meglio in termini di vigore, produttività, attività radicale e resistenze nei confronti delle avversità sia ambientali che parassitarie. Di fatto, le vigne vecchie richiedono meno interventi per la gestione della chioma, presentano maggiori riserve nutrizionali grazie ad una più elevata massa di legno vecchio, infine hanno un apparato radicale decisamente più profondo e quindi risultano più resistenti nei confronti della siccità.
Di recente in California, Riffle et al. (2022) mettendo a confronto vigneti giovani di Zinfandel (alias Primitivo) di 5-12 anni con vigneti piuttosto datati, ovvero con un’età variabile da 50 a 70 anni, hanno evidenziato che i vini prodotti con le vigne vecchie presentavano un maggiore contenuto in tannini e acidi organici, associato a una matrice aromatica e sensoriale molto più ampia e intensa rispetto ai vini prodotti da vigneti giovani (Vine Age Affects Vine Performance, Grape and Wine Chemical and Sensory Composition of cv. Zinfandel from California; Am J Enol Vitic. 2022.22014).
Viceversa, Nader et al. (2019) confrontando vigneti di Riesling/5C Teleki piantati nel 1971 e nel 1995 e valutando i dati raccolti nel quadriennio 2014-2017 non hanno riscontrato differenze apprezzabili a livello sia di composizione analitica del mosto (zuccheri, acidità, pH e frazione amminoacidica dell’azoto assimilabile dai lieviti) che produttiva (resa unitaria, peso grappolo, peso acino, numero di acini per grappolo e fertilità delle gemme) sia a livello vegetativo (peso medio dei tralci, peso del materiale di potatura, rapporto uva/legno di potatura) (Impact of grapevine age on water status and productivity of Vitis vinifera cv. Riesling; European Journal of Agronomy Vol.104, 2019).
Da un’esperienza eseguita in Umbria sul vitigno Ciliegiolo allevato a Palmetta (vedi foto) di oltre 50 anni, con distanze di impianto di m 4×1,5 e densità pari a 1.660 ceppi/ha, e a Guyot di 6 anni, con distanze di m 2,5×1 (4.000 ceppi/ha), è emerso nella Palmetta, come atteso, un aumento della produzione per vite rispetto al Guyot, ma quasi identica su base ettariale (tab. 1). Nelle piante datate è stato inoltre rilevato una riduzione del peso medio del grappolo e dell’acino ed un aumento significativo riguardo il contenuto sia in zuccheri che in antociani e polifenoli.
Riguardo ai vini, quello ottenuto dalla vecchia Palmetta ha mostrato una maggiore alcolicità e un profilo fenolico decisamente più marcato, con aumenti a carico sia degli antociani e quindi dell’intensità colorante, con 2,5 punti di colore in più rispetto al Guyot, che dei polifenoli (+21%) e tannini (+24% - tab. 2).
Una superiorità da inquadrare
Nonostante la penuria di sperimentazioni in merito, volte cioè a valutare gli effetti dell’età delle piante sulla relativa risposta sia a livello produttivo che enologico, nonché una oggettiva difficoltà nell’eseguire queste indagini a causa delle tante variabili in gioco, pare emergere una decisa superiorità riguardo alle caratteristiche enologiche dei vini prodotti con le uve da vigne vecchie rispetto a quelle giovani, e questo soprattutto nei vitigni a bacca nera.
Di certo una migliore conoscenza di questa tipologia di vino che vanta anche un sicuro appeal comunicativo potrebbe, da una parte, ampliare l’offerta enologica delle cantine con vini certamente diversi, meglio se costituiti con vitigni autoctoni e, dall’altra, allargare la piattaforma dei consumatori.
Tuttavia, il mantenimento in piena efficienza dei vigneti ultra trentennali diviene imprescindibile, anche se più impegnativo rispetto agli impianti giovani, poiché richiede la sostituzione continua e tempestiva delle fallanze e delle piante che via via periscono o che diventano troppo deboli, nonché un appropriato piano di concimazione annuale e un maggior impegno in fase di potatura, considerando l’elevata eterogeneità che le viti presentano nella struttura scheletrica, indipendentemente dal sistema di allevamento adottato.
Infine, il mantenimento di vecchi vigneti e talvolta delle singole viti ultra centenarie certificano direttamente che in quei territori la vitivinicoltura è una attività esercitata da lungo tempo, certamente ricca di storia e di tradizioni da mantenere vive anche nel futuro.
I vantaggi
Le vigne vecchie:
- richiedono meno interventi per la gestione della chioma;
- presentano maggiori riserve nutrizionali grazie ad una più elevata massa di legno vecchio;
- hanno un apparato radicale decisamente più profondo;
- quindi risultano più resistenti nei confronti della siccità.
Tesimo è in Alto Adige
Grazie, corretto