Le ondate di caldo stanno creando parecchi problemi, non solo per i danni diretti ai vigneti, ma anche per quelli indiretti, cioè una composizione drasticamente alterata delle uve e dei mosti causata dalla contaminazione dei fumi prodotti degli incendi di boschi, alberate, siepi, formazioni arboree e arbustive, ecc. ubicate nei pressi dei vigneti.
Il rapporto IPCC del 2021 rimarca che per ogni ulteriore incremento del riscaldamento globale i cambiamenti a carico degli eventi estremi continueranno ad aumentare; è stato infatti quantificato che per ogni 0,5 °C in più di riscaldamento si hanno aumenti chiaramente percepibili sia su intensità e frequenza degli estremi di caldo che su aridità e incendi.
Temperature da record associate a mesi di carenza idrica e venti caldi hanno alimentato disastrosi incendi, quali quelli del 2017 e 2018 in California, che hanno coinvolto oltre 700.000 ettari di territorio e migliaia di ettari di vigneto in Napa, Sonoma e Mendocino, oppure le tempeste di fuoco del 2019 e 2020 verificatesi in Australia che hanno interessato oltre 17 milioni di ettari, ma anche in Europa del sud, soprattutto Francia, Spagna, Portogallo e Grecia. Con riferimento a quest’ultimo Paese, l’estate del 2023 è stata un vero e proprio incubo, gli incendi scoppiati sull’isola di Rodi a luglio e nella regione di Evros in agosto hanno causato decine di vittime e perdite incalcolabili in termini di patrimonio artistico, numerose chiese, monasteri e siti storici sono stati ridotti in cenere. A tal proposito, nell’agosto 2023 nella sola regione di Alessandropoli sono andati in fumo oltre 81.000 ettari, il che lo configura come il più grande incendio avvenuto nell’UE dal 2000, anno in cui sono iniziate le registrazioni degli eventi incendiari in Europa da parte del sistema europeo di informazione sugli incendi.
L’impatto a lungo termine sull'ambiente è in fase di determinazione, ma sarà certamente pesante. In realtà, il problema degli incendi in Grecia è piuttosto atavico, tanto da essere contemplato addirittura nei versi dell’Iliade, dove Omero parla di un “fuoco consumante che cade sui fitti boschi”. È noto che, in passato, nelle aree costiere della penisola greca vi erano floride foreste, soprattutto di pino d'Aleppo, la cui resina veniva utilizzata per aromatizzare il tradizionale vino greco denominato “retsina”.
Di fatto, l'attuale macchia mediterranea che caratterizza quasi tutte le coste del Mediterraneo è anche il risultato di incendi, spesso causati dall'uomo, con l’intento di creare nuovi pascoli e terre da coltivare. Tuttavia, rispetto al passato, ciò che preoccupa è il fatto che il cambiamento del clima sta giocando un ruolo crescente nel causare i fenomeni incendiari collegati all'attività umana e la futura variabilità climatica, ormai certa, aumenterà il rischio e la gravità degli incendi in molte regioni del pianeta.
Gli effetti delle contaminazioni da fumo sulle uve
Anche in Italia il problema degli incendi estivi sta divenendo preoccupante; le coltri di fumo provenienti dagli incendi di boschi e macchie mediterranee che investono i vigneti, soprattutto dall’invaiatura alla vendemmia, conferiscono all’uva e al futuro vino sentori di affumicato, medicinale, carbone, catrame e cenere.
I composti responsabili di tali difetti sono riconducibili ad alcuni fenoli volatili, in forma soprattutto glico-coniugata; guaiacolo e 4-metil guaiacolo rappresentano i marker più comuni di esposizione ai fumi, meno abbondanti sono il cresolo e il siringolo.
Tuttavia, occorre specificare che tali fenoli, anche se in quantità piuttosto contenute, esistono naturalmente nei vini soprattutto in funzione del vitigno; secondo Ristic et al. (2017) il Shiraz affinato in bottiglia, ad esempio, ha un contenuto in glico-coniugati del guaiacolo fino a 334 mg/L contro appena 39 mg/L del Cabernet Sauvignon e 19 mg/L del Pinot nero, mentre Chardonnay, Sauvignon blanc e Pinot grigio ne hanno quantitativi irrilevanti, cioè al di sotto di 10 mg/L. Secondo questi autori, l’esposizione al fumo delle uve dei vitigni sopra menzionati aumenta il contenuto in glico-coniugati del guaiacolo, rispetto ai controlli non contaminati, di oltre 4 volte nel Shiraz (arrivando a 1.480 mg/L), di 10 volte nel Cabernet Sauvignon (396 mg/L) e di quasi 6 volte nel Pinot nero (111 mg/L), mentre nei vitigni indenni, ovvero Chardonnay, Sauvignon blanc e Pinot grigio sono stati registrati incrementi piuttosto rilevanti e pari rispettivamente a 213, 180 e 306 mg/L. Inoltre, dopo sei anni di affinamento in bottiglia è emersa una certa stabilità di tali precursori presenti nel vino di tutti i vitigni in esame, non avendo riscontrato differenze significative nel contenuto in glico-coniugati del guaiacolo rispetto ad inizio imbottigliamento.
Inoltre, nei vini le contaminazioni da fumo riducono in modo significativo l’intensità colorante e le note sia floreali che fruttate. I fenoli volatili responsabili di questo “smoked taste” permeano le bucce degli acini e vengono glicosilati, ovvero combinati con gli zuccheri formando precursori glicosidici non più volatili e non più rilevabili. Tuttavia, durante le fasi di fermentazione e macerazione tali molecole subiscono, in ambiente acido quale il vino, una idrolisi svincolando i fenoli dagli zuccheri rendendoli nuovamente liberi ed in grado di rilasciare aromi sgradevoli. Questo processo può addirittura avvenire anche durante le fasi di affinamento e invecchiamento del vino. Inoltre, tali legami possono essere scissi anche dagli enzimi presenti nella saliva umana durante la degustazione, ciò spiega l’affumicato presente in alcuni vini nonostante che il mosto iniziale fosse indenne dai sentori tipici da fumo. Occorre tuttavia sottolineare che sentori di fumo sono stati riscontrati anche in mosti che presentavano livelli di fenoli volatili al di sotto delle relative soglie di percezione, sottolineando un probabile effetto sinergico e/o di potenziamento da parte di altre sostanze, di probabile natura fenolica, ancora sconosciuto.
La cura dei vini contaminati dal fumo
I vini che presentano tali anomalie si possono sottoporre ad apposite chiarifiche, carbone attivo incluso, o ad osmosi inversa, con l’intento di rimuovere o abbattere la carica di fenoli volatili o glicosidati, anche se spesso tali tecniche non sono risolutive.
Un approccio innovativo proposto di recente per ovviare ai composti fumosi è basato su un trattamento di iperossigenazione controllata, che si traduce nell’impossibilità dei fenoli sgradevoli di esprimersi, rendendoli inerti. Tale metodo ha però suscitato molti dubbi inerenti la denaturazione delle componenti aromatiche dell’uva, come tale rimane da approfondire.
Gli incendi, soprattutto in tarda estate, rappresentano in questi ultimi anni un problema serio e crescente; in molte realtà produttive anche di elevato pregio si registrano casi di declassamento delle uve utilizzate per la produzione di vini da tavola, con danni economici rilevanti. Poiché i fenoli volatili prodotti dal fumo possono essere assorbiti attraverso sia la cuticola che le foglie e traslocati successivamente nell’uva, l’eliminazione di una parte delle foglie subito dopo la contaminazione può ridurre i danni.
Inoltre, i danni di contaminazione da fumo aumentano con il progredire della maturazione dell’uva, pertanto in caso di contaminazione è bene vendemmiare prima possibile. Per i motivi sopra esposti, la presenza e/o la costruzione di laghetti collinari, sfruttando opportuni impluvi naturali per la raccolta delle acque piovane, soprattutto autunnali e invernali, aumenta la sicurezza anche nei confronti delle insidie che provengono da eventuali incendi boschivi nei pressi dei vigneti, poiché favoriscono i relativi spegnimenti, oltre che generare una certa sicurezza in caso di estati particolarmente calde e siccitose, consentendo le irrigazioni di soccorso.
Articolo tratto da VVQ 4/2024
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