Il rame è da quasi un secolo e mezzo il protagonista della difesa della vite. Una storia che rischia di interrompersi bruscamente a causa del suo inserimento nella categoria dei “candidati alla sostituzione”.
Non rischiamo di trovarci senza possibilità di difesa? L’obiettivo deve essere quello di abolire i prodotti o di migliorarne l’utilizzo in termini di sostenibilità?
Un prodotto ancora indispensabile
L’Unione Europea, con il Reg. 1107/2009, ha introdotto la categoria di candidati alla sostituzione definendoli come sostanze che non rispettano tutti i criteri di esclusione (“cutoff”) tossicologici e ambientali ma che sono ritenuti indispensabili per la protezione delle colture e che, pertanto, richiedono una particolare attenzione. In linea di principio, ritengo che questo sia un giusto compromesso fra le esigenze di sicurezza e di basso impatto ambientale e quelle agronomiche.
Questo non deve però determinare la “criminalizzazione” delle sostanze in quanto andrebbe contro lo stesso principio ispiratore del regolamento. I candidati alla sostituzione sono definiti infatti in questo modo proprio perchè ancora indispensabili.
Le limitazioni nell’impiego del rame nella protezione delle colture a 28 kg di rame metallico per ettaro in un settennio, prima imposte solo all’agricoltura biologica, e ora all’intera agricoltura non sono affatto indolori. Nel caso dell’agricoltura integrata, ciò limita la disponibilità di sostanze tradizionali di copertura ad ampio spettro e con meccanismo di azione aspecifico che sono molto utili in miscele o alternanze con i nuovi fungicidi per prevenire o gestire i fenomeni di resistenza nelle popolazioni dei patogeni.
Il problema è, però, particolarmente grave per l’agricoltura biologica dove, soprattutto per le malattie causate dagli Oomiceti, ma non solo, non sono disponibili reali alternative.
Ciò assume una particolare rilevanza proprio nel caso della peronospora della vite.
Il rame è da 144 anni il protagonista della difesa dei vigneti (la ricetta della poltiglia bordolese di Millardet risale al 1878).
Ingrediente apparentemente insostituibile delle strategie di protezione adottate sia in regime integrato che biologico, ma la Commissione europea non lo ritiene più tale.
In seguito alla revisione della normativa fitosanitaria Ue del Reg. 1107/2009 è infatti inserito nella lista dei “prodotti candidati alla sostituzione” (decisione del Reg 2015/408 confermata dal Reg. 1981/2018).
In base a tale definizione l’autorizzazione all’utilizzo di questa sostanza ha una durata più limitata e nel 2025 questa autorizzazione potrebbe scadere alla luce dell’introduzione di possibilità alternative di difesa contro batteri e funghi. In più, il suo utilizzo è stato fortemente condizionato e contingentato (max 28 Kg/ha in 7 anni) prima nel regime bio e ora anche nell’integrato a causa della sua persistenza nel suolo.
In vista di questa evenienza VVQ, Vigne, Vini e Qualità ha chiesto ad alcuni tra i massimi ricercatori italiani nella difesa delle colture se sostituire il rame è una missione veramente sostenibile per i viticoltori. Dalla sintesi delle interviste che trovate su questo sito è stato ricavato l’articolo speciale pubblicato sul numero 2/2022 di VVQ magazine.
Intervista pubblicata sul numero 2/2022 di VVQ
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Le forzature della sentenza
Un recente ricorso della task force rame contro la classificazione come “candidato alla sostituzione” è stata respinta dalla Corte di Giustizia Ue . Una scelta che può essere condivisa a livello scientifico o è una forzatura?
Certo, il rame, essendo un metallo non degradabile, si differenzia alquanto dalle altre sostanze attive impiegate nei prodotti fitosanitari, anche a causa del contenuto endogeno di rame nelle piante e, pertanto, richiederebbe probabilmente una valutazione con criteri diversi. L’Efsa è stata, infatti, coinvolta nel riconsiderare i criteri di valutazione e vedremo come si esprimerà in merito.
Ovviamente, non discuto la sentenza, ma mi permetto di osservare che non c’è alcuna base né scientifica né empirica nell’affermazione che Bacillus subtilis, pianta oli/olio di chiodi di garofano e aceto possano sostituire il rame nell’azione battericida come viene affermato dall’alta Corte europea, e certamente sono disponibili fungicidi che possono sostituire il rame, ma non in agricoltura biologica, ove ci si può avvalere solo di alcuni induttori di resistenza di origine naturale, non sempre in grado di garantire la piena sanità delle produzioni.
Certamente, la protezione integrata, peraltro obbligatoria in Europa dal 2014 (Dir. 2009/128/CE), che combina l’impiego di diversi mezzi di protezione, inclusi genotipi vegetali resistenti e, al momento, alcuni induttori di resistenza, può consentire di ridurre le quantità di rame impiegate nella protezione ma non evitarne del tutto l’impiego, almeno in regime di agricoltura biologica.
L’essenza della produzione integrata
In base alle esperienze e prove sperimentali quali prodotti o strategie sono più efficaci per contenere il dosaggio di rame nella difesa della vite?
I modelli previsionali e gli altri sistemi di supporto alle decisioni sono strumenti utilissimi per razionalizzare la protezione integrata delle colture e ridurre l’impiego di prodotti fitosanitari. Credo però che, in alcune condizioni, necessitino di essere ancora validati attentamente nel particolare ambiente di interesse. Gli induttori di resistenza quali: chitosano, cerevisane, laminarina ecc., sono di sicuro interesse e possono aiutare a ridurre l’apporto di rame e fungicidi di sintesi.
Presentano però un’efficacia parziale e molto variabile in dipendenza delle specie e cultivar delle piante, delle condizioni ambientali e della pressione di malattia e, pertanto, non credo possano sostituire i tradizionali mezzi di protezione. Un discorso analogo vale per le sostanze di origine naturale. Purtroppo per alcune malattie di grande importanza, come la peronospora della vite, non sono disponibili antagonisti microbici registrati e impiegabili in pratica. Non credo sia opportuno fare graduatorie fra mezzi tecnici.
L’essenza della protezione integrata, che è fortemente dipendente dalla particolare combinazione ospite-patogeno e dalle condizioni pedo-climatiche in cui si opera, è quella di utilizzare tutti i mezzi che si hanno a disposizione con l’intento di massimizzare i benefici e ridurre al minimo i rischi e gli effetti collaterali negativi. La riduzione dei mezzi a disposizione non è mai indolore e può anche dar luogo a nuovi problemi non previsti.
Falsi fertilizzanti, un illecito da perseguire
Il comparto delle formulazioni sta facendo passi da giganti. Oggi in alcuni prodotti (non registrati in realtà come agrofarmaci) il rame viene complessato risultando efficace a concentrazioni molto basse, una strada promettente?
La presenza di rame in prodotti che non sono registrati come agrofarmaci e a concentrazioni abnormi rispetto alla funzione di nutriente non può essere ulteriormente tollerata. È semplicemente un illecito da perseguire. Il progresso che si è verificato nella formulazione dei derivati rameici è stato notevole e credo che nel prossimo futuro siano immaginabili ulteriori miglioramenti nel ridurre le dosi di rame, ma all’interno dei vincoli di una corretta registrazione come agrofarmaco.
È assolutamente impensabile aggirare le norme restrittive sull’impiego di rame facendo ricorso a sotterfugi del tutto illeciti e, pertanto, perseguibili dalla legge.
Già nel recente passato è stato più volte denunciato, soprattutto in viticoltura biologica, l’impiego di sostanze non registrate come prodotti fitosanitari (es. fosfiti) o concimi con un titolo di rame di gran lungo superiore a quelli idonei a funzione di nutriente. Fortunatamente, la nuova normativa sui prodotti fertilizzanti (Reg. UE 2019/1009) dovrebbe mettere fine a queste pratiche illecite. Certo, di fronte alla funzione indispensabile del rame in questo comparto, si rischia che i vari operatori della filiera cerchino altre alternative che non danno alcuna garanzia di sicurezza per operatori e consumatori né di rispetto dell’ambiente. Peraltro, ciò rischia di succedere soprattutto nell’agricoltura biologica che dovrebbe essere, invece, un settore altamente garante di questi aspetti.
Le nuove frontiere
Una frontiera promettente, per ridurre le dosi, potrebbe essere quella delle nanotecnologie
Sì, stanno dando un contributo importante in medicina e molte ricerche sono in corso a livello internazionale per esplorarne le potenzialità anche nel settore della protezione delle piante. C’è, però, ancora molto lavoro da fare per comprendere meglio i rischi e gli effetti collaterali negativi per la salute umana e l’ambiente. Anche le applicazioni di prodotti fitosanitari mediante droni sono attualmente oggetto di attenzione. Ci sono però due vincoli. Uno è normativo, nel senso che in Italia, come del resto previsto dalla Dir. 2009/128/CE, sono vietati trattamenti con mezzi aerei. L’altro è legato alle limitate capacità di carico dei droni che non costituiscono un grosso problema nella distribuzione di insetti utili ma lo certamente sono per le applicazioni di prodotti fitosanitari.
E riguardo al rischio di insediamento di patogeni secondari?
Qualsiasi variazione rilevante nelle strategie di protezione può determinare, assieme a potenziali effetti positivi, anche effetti “boomerang” indesiderati.
La riduzione dell’impiego di mancozeb, rame e altri fungicidi ad ampio spettro può determinare la manifestazione di patogeni “secondari” che prima erano limitati da trattamenti contro le malattie principali. Del resto, è quello che si sta osservando anche per i vitigni resistenti a peronospora e/o oidio con la riduzione dei trattamenti “tradizionali” contro queste malattie.
Il biologico è il settore che ha più da perdere dalla revoca del rame?
Il rame non è, al momento, facilmente sostituibile in agricoltura biologica per la protezione delle colture da alcune malattie di grande importanza economica. Nonostante i rilevanti incrementi di superficie previsti per l’agricoltura biologica dalla strategia Europea “Farm to Fork”, non credo realizzabile l’idea che questa possa soppiantare in breve tempo l’agricoltura integrata. Questi due approcci all’agricoltura, oltre a tante altre tipologie, sono entrambi rispettabili ma devono necessariamente differenziarsi anche per la loro riconoscibilità agli occhi del consumatore.
Un futuro di sostenibilità
Si può ipotizzare che la ricerca consenta di sviluppare in un prossimo futuro un prodotto alternativo con le stesse caratteristiche positive di efficacia senza le controindicazioni ambientali?
Si stanno facendo molti passi avanti nella protezione delle colture con prodotti fitosanitari sempre più sicuri per la salute umana e per l’ambiente, ma anche con l’introduzione nella pratica di antagonisti microbici, induttori di resistenza e sostanze naturali. La resistenza genetica è sempre più auspicata anche se in Europa vanno superati vincoli normativi e pregiudizi nell’opinione pubblica. Devo sottolineare che per una compiuta utilizzazione di questi nuovi mezzi di protezione, spesso più difficili da utilizzare rispetto a quelli tradizionali, è necessario superare il puro empirismo e attuare un importante sforzo di ricerca, sperimentazione e comunicazione a tecnici e agricoltori per conseguire e trasferire le innovazioni. La protezione integrata sostenibile non può essere frutto di scontri ideologici ma di concreti risultati del progresso scientifico.
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