I limiti dell’induzione di resistenza

Ilaria Pertot, Università di Trento
Il rame è confermato come “candidato alla sostituzione”, ma è inutile secondo Ilaria Pertot dell’Università di Trento prendersela con la normativa. L’induzione di resistenza ha dei limiti, ma la Ricerca trova molti candidati che potrebbero sostituire il rame. I problemi maggiori per la loro messa a punto sono però di carattere burocratico «Occorre un ripensamento dell’intero processo»

In seguito alla revisione della normativa fitosanitaria Ue del Reg. 1107/2009 il rame è stato inserito nella lista dei “prodotti candidati alla sostituzione”.

Questa classificazione e una normativa fitosanitaria così restrittiva (la più severa a livello mondiale) possono rappresentare un rischio per la difesa della vite dalla peronospora?

«Non prendiamo di mira la normativa»

Bisogna innanzitutto – risponde Ilaria Pertot dell’Università di Trento -non accusare la normativa perché è grazie ad essa che numerosi principi attivi del passato, con problematiche di tossicità per l’essere umano e l’ambiente sono oggi fuori mercato. Inoltre ha dato un forte impulso per lo sviluppo di nuovi prodotti più efficaci o meno impattanti.

A nessuno, produttori compresi, piace essere esposto direttamente o indirettamente al rischio di tossicità o cancerogenicità. Le “sostanze candidate alla sostituzione” come il rame presentano delle criticità e dovranno quindi essere sostituite ma, attenzione, questo potrà avvenire solo se la valutazione comparativa evidenzierà che esiste già un metodo o un prodotto fitosanitario meno tossico e gestibile sia dal punto di vista economico che operativo, altrimenti la sostanza non esce dal mercato.

Il rame è un metallo pesante, persistente e tossico nei suoli: la concentrazione che non mostra effetti tossici per gli organismi acquatici è inferiore a 0,01 mg/l. Il limite di utilizzo (max 28 Kg/ha in 7 anni) è la misura di mitigazione del rischio che ci permette di usarlo per tempi lunghi senza incorrere in accumuli pericolosi. Sfatiamo la narrazione secondo cui l’Unione Europea vuole lasciare l’agricoltura indifesa. I prodotti fitosanitari vengono autorizzati solo se si portano dati sufficienti a dimostrarne la sicurezza per i consumatori e per l’ambiente. Le autorizzazioni hanno una durata e vanno rinnovate, perché nel frattempo (sette, dieci o quindici anni) possono emergere studi nuovi. Si fa così anche per i farmaci ad uso umano o veterinario, perché non dovremmo farlo per gli agrofarmaci, considerando che poi tutti noi consumiamo i prodotti agroalimentari e viviamo nello stesso ambiente?

La decisione della Corte di Giustizia Ue, che di recente ha confermato la classificazione del rame come “candidato alla sostituzione”, è scientificamente ineccepibile perchè la normativa impone la degradazione del principio attivo, ma il rame è un elemento e come tale non si degrada e si accumula nel suolo. E anche il riferimento della Corte all’esistenza di alternative è corretto.

Nella produzione integrata sono molte, mentre in biologico oggettivamente le soluzioni sono molto deboli. Tuttavia, in base agli studi prodotti, il decisore ne ha autorizzato l’uso.

Il quesito andrebbe quindi posto a chi ha certificato l’efficacia di queste sostanze.


Il rame è da 144 anni il protagonista della difesa dei vigneti (la ricetta della poltiglia bordolese di Millardet risale al 1878).

Ingrediente apparentemente insostituibile delle strategie di protezione adottate sia in regime integrato che biologico, ma la Commissione europea non lo ritiene più tale.

In seguito alla revisione della normativa fitosanitaria Ue del Reg. 1107/2009 è infatti inserito nella lista dei “prodotti candidati alla sostituzione” (decisione del Reg 2015/408 confermata dal Reg. 1981/2018).

In base a tale definizione l’autorizzazione all’utilizzo di questa sostanza ha una durata più limitata e nel 2025 questa autorizzazione potrebbe scadere alla luce dell’introduzione di possibilità alternative di difesa contro batteri e funghi.

In più, il suo utilizzo è stato fortemente condizionato e contingentato (max 28 Kg/ha in 7 anni) prima nel regime bio e ora anche nell’integrato a causa della sua persistenza nel suolo.

In vista di questa evenienza VVQ, Vigne, Vini e Qualità ha chiesto ad alcuni tra i massimi ricercatori italiani nella difesa delle colture se sostituire il rame è una missione veramente sostenibile per i viticoltori. Dalla sintesi delle interviste che trovate su questo sito è stato ricavato l’articolo speciale pubblicato sul numero 2/2022 di VVQ magazine.    


 

Intervista pubblicata sul numero 2/2022 di VVQ

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I limiti dell’induzione di resistenza

Il meccanismo di induzione di resistenza

Non esiste – continua Ilaria Pertot - una strategia unica per contenere le dosi di rame: bisogna lavorare su tutti i fronti. Non solo utilizzando sistemi che ci permettano di identificare il momento ottimale per intervenire (come i DSS o i modelli previsionali), ma organizzando l’azienda in modo tale che ci sia poi la capacità di effettuare i trattamenti nel momento indicato. Differenziare le sostanze alternative disponibili e applicarle nelle condizioni in cui possono esplicare al meglio la loro efficacia.

La base però resta sempre la parte agronomica, con l’esecuzione di tutte quelle operazioni di campo che permettano di mantenere un microclima sfavorevole alla peronospora. La scelta del vitigno è poi cruciale e forse più attenzione va posta in questa fase rispetto al passato. L’induzione di resistenza è una bella storia da raccontare, ma ha molti limiti (vedi figura) e va destinata a quelle fasi di basso rischio di malattia dove il trattamento è solo cautelativo. Ci sono poi una moltitudine di sostanze naturali, principalmente di derivazione vegetale, e microrganismi che avrebbero un’azione contro la peronospora, ma che hanno anche una limitata persistenza (da pochi minuti ad alcune ore). Se si aprisse la possibilità di applicare queste sostanze in prossimità delle condizioni d’infezione, ad esempio con impianti fissi nel vigneto, si aprirebbero numerose possibilità.

Il rischio fitotossicità

I limiti di un induttore di resistenza a confronto con il rame

Io credo invece meno – ribatte Pertot - nelle possibilità offerte dall’evoluzione delle formulazioni, nonostante l’ampia comunicazione commerciale. Quello che abbiamo imparato è che, essendo il rame in soluzione ad essere attivo nel momento dell’infezione e non la quantità assoluta apportata, si può lavorare meglio sulla distribuzione sulla foglia e sulla disponibilità dello ione in soluzione. I peptidi e i derivati/idrolizzati proteici utilizzati in alcune formulazioni permettono una maggior penetrazione del rame all’interno delle cellule del patogeno, ma purtroppo anche in quelle delle piante, per cui si riesce sì a ridurre le dosi, ma si corre sul filo del rasoio per quanto riguarda il rischio di fitotossicità. Però la ricerca da questo punto di vista è molto attiva e potremmo avere qualche novità che aiuti a gestire meglio i bassi dosaggi.

Patogeni secondari

Il rischio più concreto di un’eventuale revoca o ulteriore limitazione del rame è però quello connesso al possibile incremento di patogeni secondari, se non si inserisce un’adeguata difesa complementare mirata nei loro confonti. Le sostanze ad ampio spettro d’azione come i ditiocarbammati o il rame tengono infatti sotto controllo anche molti patogeni secondari, se vengono sostituiti con prodotti più specifici, questi patogeni possono creare problemi nuovi perché non più controllati. Questo problema lo vediamo già emergere soprattutto dove si coltivano vitigni resistenti alla peronospora e dove quindi i trattamenti sono stati diminuiti.

Le rinunce del bio

Il biologico è il settore che ha più da perdere dalla revoca del rame? Non si rischierebbe di dover utilizzare gli stessi prodotti e le stesse strategie di difesa nei diversi metodi di produzione?

Una parte del settore biologico ha sbagliato fin dall’inizio ad affidarsi in modo così importante al rame. La produzione biologica non è solo sostituire i prodotti fitosanitari di sintesi con un’alternativa naturale, ma è un cambio di paradigma nella coltivazione che può anche arrivare alla rinuncia di una coltura se le condizioni ambientali non lo permettono. E tra le condizioni ambientali ci sono anche patogeni e parassiti.

Un futuro più sostenibile

Si può ipotizzare che la ricerca consenta di sviluppare in un prossimo futuro un prodotto alternativo con le stesse caratteristiche positive di efficacia senza le controindicazioni ambientali?

Ilaria Pertot

Questo accadrà sicuramente. Ci sono molti candidati che potrebbero sostituire il rame: troviamo molti estratti o molecole di derivazione vegetale, alcune anche sintetizzabili industrialmente, microrganismi e loro metaboliti, zuccheri rari e peptidi. Le difficoltà sono molte: la bassa persistenza, la conservabilità limitata, la logistica, i quantitativi, ecc.

Ma lo scoglio più limitante è legato al fatto che queste sostanze sono del tutto assimilate alle molecole di sintesi chimica, sia nel loro iter autorizzativo, sia in relazione alle applicazioni in campo, con tutte le conseguenze che ne derivano dal punto di vista burocratico.

Un punto chiave è anche la protezione della proprietà intellettuale, in quanto molti di questi candidati non sono brevettabili, fatto che spesso scoraggia lo sviluppo di prodotti commerciali. Tutto ciò rende l’investimento in questi prodotti poco attrattivo per il settore privato. È necessario un ripensamento generale dell’intero processo, che adatti l’iter di registrazione e le regole di applicazione a questa categoria di sostanze, se vogliamo veramente un futuro più sostenibile.

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I limiti dell’induzione di resistenza - Ultima modifica: 2022-02-28T15:54:24+01:00 da Lorenzo Tosi

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