Competitività, la chiave giusta per ogni territorio

Tipicità, sostenibilità, innovazione. Alla 54° edizione di Vinitaly le cantine made in Italy vincono con le proprie specificità mostrando che il vino italiano ha gli anticorpi per superare anche questa crisi

Mettete una bottiglia di vino nei vostri cannoni.

L’ultimo fotogramma proiettato dalla 54° edizione di Vinitaly è il flash mob contro la guerra in Ucraina organizzato alla chiusura della kermesse veronese da Coldiretti Donne Impresa. Un messaggio di pace per sottolineare che il vino italiano sta bene e macina record quando c’è qualcosa da festeggiare.

Il flash mob per la pace in Ucraina organizzato da Coldiretti Donne Impresa

La guerra congela gli entusiasmi

Denis Pantini

Il clima di guerra congela invece gli entusiasmi e rischia di farci perdere un mercato come quello russo, dove una bottiglia di vino consumata su tre è made in Italy. Un effetto in parte ridimensionato da Denis Pantini di Nomisma Wine Monitor.

Che al convegno “Più competenze, flessibilità e creatività per affrontare un mercato che cambia” organizzato da Edagricole ha ammesso che dietro all’exploit del record dei 7 miliardi di euro esportati nel 2021 dal settore vitivinicolo italiano c’è anche il contributo della Federazione russa. Si tratta però di un mercato che negli ultimi anni ha funzionato a singhiozzo, a causa delle sanzioni internazionali attivate sin dal 2014.

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«L’impatto più significativo può colpire il settore degli spumanti, dove la Russia vale per il 20% dell’export totale e in particolare l’Asti Dop (26% dell’export)». «È un mercato però caratterizzato soprattutto da prezzi bassi, non scalfito dall’embargo delle spedizioni dei beni di lusso (bottiglie sopra i 300 euro)».

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Ansie da inflazione

Rassicurazioni che non bastano a raffreddare le ansie dei produttori. Innescate soprattutto dalla tempesta inflattiva alimentata anche dalla crisi Ucraina.

«C’è carenza di materie prime e manca in particolare il vetro per le bottiglie. Se prima potevamo trattare sul prezzo, ora la priorità è ottenere la fornitura».

«Siamo in piena fase di imbottigliamento ma è impossibile fissare i listini perché i costi vengono stabiliti a fornitura effettuata ed è impossibile trasferirli sul prodotto».

«Occorre sviluppare e diversificare l’export su nuovi mercati, siamo concentrati in troppo poche destinazioni e la Cina non si sta dimostrando la terra promessa che speravamo».

«L’esplosione dei costi riduce il contributo reale dei cofinanziamenti delle misure collegate a Ocm e Pnrr, serve almeno un allungamento dei tempi per la realizzazione delle opere in vigneto e in cantina».

Sono alcune delle preoccupazioni raccolte dalle cantine espositrici. Il vino ha però gli anticorpi per superare queste incertezze.  L'analisi dell’Osservatorio Nomisma-Unicredit presentata alla fiera veronese ha infatti individuato oltre 60 indicatori (produttivi, strutturali, economici e di mercato) di competitività che mettono in luce la vocazione e le specificità delle regioni vinicole italiane.

Emergono così le dimensioni strutturali del Veneto, prima regione per estensione del vigneto, produzione di vino, numero di viticoltori oltre che per il contributo al fatturato complessivo del settore (36%). La Toscana presenta la percentuale di valore aggiunto su fatturato più alta (31%). L’Emilia-Romagna esprime il fatturato medio per cooperativa vinicola più elevato (circa 37 milioni di euro per cooperativa).

Le regioni più green

Va alle Marche il primato per le aziende viticole specializzate con l'estensione media più rilevante (17 ettari di vigneto) e assieme alla Calabria presenta l'incidenza più elevata del vigneto bio su quello regionale (rispettivamente 39% e 36%). Anche la Toscana si avvicina ai due battistrada con una quota bio prossima a un terzo dei vigneti (32%).

L’appeal dei vitigni autoctoni

E dove non valgono questi primati i produttori trovano altri assi nella manica da giocare. Ad esempio quelli dei vitigni autoctoni.

Alberto Palliotti

Nel convegno “Vitigni minori crescono e fanno rete” organizzato sempre da Edagricole Alberto Palliotti dell’Università di Perugia ha lanciato la provocazione: «Il gusto internazionale vacilla sempre più. I vitigni autoctoni danno un valore aggiunto, valorizzano l’identità culturale dei territori vitati e possono polverizzare il predominio dei vitigni internazionali». Una strada percorsa con convinzione da giovani produttori come Nicola Ceccarelli (azienda La Miniera di Galparino) che nell’Alta Umbria ha riscoperto il profilo aromatico unico del Dolciame, o Flores Zanchi che sulle colline di Amelia scommette invece sulla valorizzazione del Tostolello, fino a Silvia Mandini che nell’azienda Mossi 1558 dei colli piacentini sta scoprendo le diverse nuance della Malvasia Rosa.

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La carta dell’innovazione

E se i vitigni e i cloni che ci sono non bastano, se ne possono inventare di nuovi. Nei laboratori del Crea Viticoltura ed Enologia di Conegliano sono infatti già spuntate le piantine dei primi Chardonnay ottenuti attraverso Genome editing.

Riccardo Velasco

Riccardo Velasco, direttore del Crea VE, al convegno “La qualità delle produzioni vitivinicole a partire dal materiale di moltiplicazione”, organizzato da Cia Agricoltori Italiani e moderato da Terra e Vita, ha spiegato infatti che la ricerca italiana è la più avanzata nell’applicazione delle nuove tecnologie di evoluzione assistita in viticoltura.

Due sono le vie possibili, da testare vitigno per vitigno, per sviluppare la vite del futuro: calli embriogenici (cisgenesi+genome editing) o protoplasti (genome editing puro). La conclusione del primo quinquennio del progetto di ricerca nazionale Biotech e l’auspicabile prossimo sdoganamento delle New breeding technique anche in Europa aprono nuove opportunità per una più stretta collaborazione con i consorzi e le strutture vivaistiche italiane per un nuovo programma di ricerca. E magari per porre le basi per una maggiore condivisione nella programmazione dei nuovi impianti.

Il bio diventa maggioranza

Sulla carta d’identità del vino italiano il segno caratteristico che continua a spiccare di più è però quello della sostenibilità. Nell’evento “Vino bio, trend & sfide”, promosso da Assobio, Federbio e moderato da Terra e Vita, i dati presentati da Silvia Zucconi e Emanuele Di Faustino di Nomisma hanno messo in luce il ruolo ormai di riferimento del vino bio. È balzata infatti al 51% la quota di italiani che nell'ultimo anno hanno avuto almeno un'occasione di consumo di vino biologico.

Maria Grazia Mammuccini

Una crescita (nel 2015 era pari al 17%) legata all’ apprezzamento del consumatore che riconosce alle bottiglie marchiate con la fogliolina verde valori più elevati rispetto ai vini convenzionali. I canali d’acquisto preferiti rimangono iper e supermercati (46%), seguiti da enoteche (19%), acquisti diretti in cantina (15%) e dai negozi alimentari specializzati (10%). La quota di consumatori che acquista vino bio soprattutto online raggiunge l'8%.

L’indagine di Nomisma ha rilevato che i consumatori chiedono più informazione e più servizio per individuare queste etichette sui punti vendita e Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, ha chiesto alla filiera della distribuzione una stretta collaborazione per mantenere il corretto equilibrio tra domanda e offerta, anche in considerazione del piano per il biologico nazionale che mira a raggiungere la quota del 25% delle superfici entro il 2027 (in anticipo di tre anni rispetto al resto d’Europa). Una caratterizzazione “green” che il biologico dovrà condividere nei prossimi anni con la novità del vino “sostenibile” il cui disciplinare, basato su tecniche di produzione integrata, è stato appena sdoganato dal ministro Stefano Patuanelli. Una novità che ha sollevato alcune polemiche tra gli stand del VinitalyBio.

Il fronte “green” si accende

MIchele Manelli di Salcheto

Michele Manelli, fondatore di cantina Salcheto, nel territorio del Nobile di Montepulciano, produttore biologico e tra i pionieri del marchio Equalitas invita però a evitare contrapposizioni: il 40% dei produttori inseriti nel nuovo sistema di certificazione nazionale sono infatti anche biologici.

La guerra per il primato della sostenibilità è quindi assolutamente da evitare, anche perché l’attacco più pericoloso per il vino italiano è quello che l’Europa sta per lanciare nei confronti dell’alcol, generando nuove ansie tra i produttori presenti al Vinitaly.

«Se il vino viene presentato come dannoso per la salute rischiamo un grosso freno alla crescita del settore».


Il Sangiovese sposa l’Amarone

Marco Nannetti, presidente di Terre Cevico e Edoardo Montresor

L’innovazione per il vino del nostro Paese riguarda anche la fase di commercializzazione e la gestione aziendale. Terre Cevico ha infatti sfruttato l’occasione del Vinitaly, tornato finalmente in presenza, per inaugurare la nuova cantina di Giacomo Montresor, dotata di una linea di imbottigliamento isobarico evoluta, quattro autoclavi per la rifermentazione del prosecco e una bottaia ampiamente ristrutturata. Un esperimento, quello del matrimonio tra Romagna e Valpolicella, che mette insieme la tradizione del Sangiovese e quella dell’Amarone, la solidità della cooperazione e la tradizione dell’imprenditoria famigliare, risolvendo il problema della continuità aziendale.

Competitività, la chiave giusta per ogni territorio - Ultima modifica: 2022-04-21T16:12:02+02:00 da Lorenzo Tosi

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