Un tesoro di originalità nascosto vicino a casa

La presentazione a Vinitaly del nuovo manuale: "Atlante dei vitigni e vini di territorio - Genotipi italiani autoctoni poco noti e diffusi"

I Piccoli vitigni crescono e danno chance di sviluppo a territori poco conosciuti Il caso Dolciame, il dilemma svelato della Trebbianina, la lunga storia della Spergola e dei tanti vitigni minori (che minori non sono)

Chi trova un vitigno autoctono trova un tesoro.

Ne sa qualcosa Nicola Ceccarelli, giovane viticoltore di Città di Castello (Pg). È merito suo e del vitigno Dolciame se la viticoltura ha ricominciato timidamente a riapparire nell’alta valle del Tevere, sgomitando tra i campi di mais, tabacco, canapa e girasole che caratterizzano questa zona pianeggiante intensamente coltivata ai confini settentrionali dell’Umbria.

La vite “d’inciampo”

Grappolo di Dolciame

Ceccarelli è impegnato ad assicurare un futuro al tesoro di famiglia: il Vinosanto da uve affumicate ottenuto proprio da questa varietà autoctona, sparita e riapparsa inaspettatamente nella sua azienda viticola.

Suo padre «ci è inciampato per caso, riordinando i fondi di famiglia». Nei caratelli ricevuti in eredità ha trovato un nettare denso e balsamico, con un palato lunghissimo di menta, tabacco e salsa barbecue, il Vinosanto da uve affumicate di Dolciame per l’appunto. L’impegno di Ceccarelli a far rivivere questa varietà ha portato alla valorizzazione di un nuovo Presidio Slowfood che sta dando nuove chance a una denominazione viticola finora sconosciuta.

Articolo pubblicato su Terra e Vita 11/2022

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Tostolello salvato dall’estinzione

Grappolo di Tostolello

Un’esperienza simile è quella di Flores Zanchi, terza generazione di una dinastia di produttori impegnata a riscoprire e valorizzare la viticoltura storica delle colline di Amelia, in provincia di Terni. Nell’azienda omonima hanno allestito un vigneto sperimentale volto al recupero, salvaguardia e valorizzazione dei vitigni autoctoni amerini, riscoperti grazie all’individuazione di ceppi ormai in via di estinzione, caduti in disuso per lo sviluppo dei vitigni cosiddetti internazionali.

L’ultima scoperta è il Tostolello, vitigno a bacca bianca, con grappolo mediamente spargolo, acino sferoidale che sta dimostrando buone attitudini enologiche, grazie alla buona acidità e a un caratteristico profilo aromatico.

Una preziosa mutazione gemmaria

Grappolo di Malvasia rosa

Molto meno “antico” ma sicuramente autoctono il vitigno minore al centro dell’attività di valorizzazione di Marco Profumo, titolare dell’azienda Mossi 1558 e Presidente del Consorzio di tutela Colli Piacentini Doc.

Uno dei pochi produttori che hanno sempre creduto sulle chance della Malvasia rosa, vitigno enologicamente poliedrico, sviluppato da Mario Fregoni da una mutazione gemmaria di Malvasia di Candia Aromatica, ideale per produrre ottimi rosati fermi o frizzanti e adatto alla produzione di spumanti oggi particolarmente apprezzati dal mercato internazionale.

La famiglia ritrovata

Quella della Trebbianina o Trebbiano di Spagna è invece una storia di riscoperta che sembra ricalcare la trama delle grandi opere romantiche dell’800. Discriminato per anni dal dilemma “Trebbiano o non Trebbiano”, dopo essere stato accostato al Greco Bianco della Lunigiana, proprio come il dolce Remy di “Senza famiglia” ha scoperto invece, grazie a recenti indagini molecolari, natali più “nobili”.

Grappolo di Trebbianina

Questo vitigno un tempo non così minore, diffuso nel modenese, utilizzato soprattutto per il mosto cotto da cui si ricava l’aceto balsamico tradizionale, sarebbe infatti figlio di Albana.

E in effetti la foglia grande, bollosa e tomentosa, il grappolo spargolo e allungato e la sostenuta acidità del mosto, sono caratteri che accomunano le due varietà.

Un accostamento che gioca finalmente in favore di un suo più convinto utilizzo per la produzione di spumanti leggermente aromatici, mettendo fine a decenni di tentativi di introduzione in pianura padana di varietà meno adatte come il Moscato.

L’acidità elevata e le note fiorali dolci, fruttate (agrumi, pomacee ma anche frutta esotica) lo rendono infatti ideale per questo utilizzo, superando le discriminazioni legate al nome.

Il ristoro della Granduchessa

Un viraggio al bianco, nella terra dei vini “mossi” rossi, che caratterizza anche la storia della Spergola, che oggi è il vitigno più tipico dello Scandianese, areale in provincia di Reggio Emilia noto fin dall’antichità per il suo vino bianco. Infatti è del 1580 la citazione di Bianca Cappello, Granduchessa di Toscana e moglie di Francesco I dei Medici, rifocillata durante un viaggio da un salutare buon vino di Scandiano.

Grappolo di uva Spergola

Le più recenti analisi genetiche hanno permesso di smentire alcune sinonimie ma di scoprire sorprendenti relazioni di parentela.

Spergola e Vernaccia di Oristano, nonché il relittuale Barbesino piacentino, risultano infatti la stessa varietà, ma una recente pubblicazione ne ha rilevato anche la stretta vicinanza genetica con Nebbiolo, di cui la Spergola sarebbe una “sorellastra”. La relazione tra altre due varietà minori di Piemonte e Liguria, Citronino e Rapallino, corroborano quindi l’ipotesi che la zona di coltivazione originaria di Spergola sia proprio nell’Appennino settentrionale, da cui poi sarebbe arrivata in Sardegna.

Una conferma di autoctonia del vitigno che si rispecchia nella tipicità dei vini oggi ottenuti. L’attitudine alla produzione di apprezzati vini frizzanti e spumanti sta infatti portando fortuna a questa varietà raddoppiata nel corso degli ultimi 10 anni fino a superare i 160 ettari.

Il valore della biodiversità

Casi esemplari, e sono solo alcuni, che dimostrano in maniera implicita come il valore da difendere maggiormente, e non solo in ambito agricolo, sia quello della biodiversità. Un asset che da solo è capace di rafforzare la produttività di qualsiasi ecosistema e i cui effetti diventano particolarmente vistosi negli areali considerati marginali e svantaggiati. La conservazione di questa elevata biodiversità della vite è cruciale non solo per contrastare l’erosione genetica, ma anche per futuri programmi di miglioramento genetico, per un migliore adattamento alle sfide imposte dal cambiamento climatico e per ottenere vini davvero peculiari e riconoscibili.

La banca dati “Vitis International Variety Catalogue (www.vivc.de)”, istituita nel 1984 presso l’Institute for Grapevine Breeding di Geilweilerhof (Germania), implementata da 130 istituzioni di 45 paesi diversi, riporta oggi più di 23mila cultivar di vite. Solo una parte di queste sono coltivate per produrre uva o per essere impiegate come portinnesti, la restante è presente, spesso con un limitato numero di esemplari, in collezioni ampelografiche o presso viticoltori custodi.

Nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite da vino sono iscritte, ad oggi, poco più di 600 vitigni (http://catalogoviti.politicheagricole.it/catalogo.php) potenzialmente coltivabili sul territorio nazionale. Dal 2010 ad oggi sono stati iscritti in tale registro ben 169 vitigni, dei quali 112 autoctoni (43% a bacca bianca e 57% a bacca nera), 19 sono vitigni da incrocio di varietà Vitis vinifera, 3 stranieri e 35 varietà ibride interspecifiche resistenti a peronospora e oidio. La fetta più grande di biodiversità è però ancora tutta da scoprire, nascosta in impianti datati, pergole isolate, relitti di alberate o lambruscaie rinselvatichite.

Vecchio filare ultracentenario. È tra questi relitti di viticolture abbandonate che i novelli cacciatori di biodiversità rintracciano vitigni destinati a dare nuove possibilità di rilancio a zone viticole non tradizionali

Il rilancio delle zone interne

Un tesoro sepolto sotto casa, soprattutto in territori interni dove in passato la coltivazione della vite era molto praticata (e ora non più). Queste aree, oggi spopolate, hanno mantenuto un’elevata variabilità genetica a seguito di un rinnovo varietale poco dinamico.

È qui che l’attività dei novelli predatori dell’arca perduta, impegnati nelle attività di reperimento, salvaguardia, caratterizzazione, valutazione e valorizzazione di questi vitigni si rivela più utile e redditizia. Assicurando sostenibilità e chance di competitività ad areali oggi fuori dai percorsi enologici più tradizionali.


Il convegno

Veronafiere martedì 12 aprile ore 14.30 - 15.30  
Sala Respighi 1 ° Piano Palaexpo

VITIGNI MINORI/POCO DIFFUSI CRESCONO (E FANNO RETE)

Conosci il Grero, il Fumin, il Terribbile, il Nasco, l’Erbamat, il Maor, l’Orpicchio, il Notardomenico, l’Oseleta, il Brettio? Ed altri ancora?

Il patrimonio di biodiversità del vigneto Italia è ricco di genotipi autoctoni poco noti e diffusi conservati e valorizzati dall’impegno di viticoltori custodi: outsider che possono diventare i prossimi fenomeni del made in Italy enoico.

Nel corso dell’evento presentazione del libro “Atlante dei vitigni e vini di territorio. Genotipi italiani autoctoni poco noti e diffusi”

Intervengono:

  • Alberto Palliotti, Università degli Studi di Perugia
  • Marisa Fontana, Enologa e Agronoma
  • Giovani produttori

Scarica la locandina

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Il Manuale Edagricole

Atlante dei vitigni e vini di territorio -
Genotipi italiani autoctoni poco noti e diffusi

In questo volume sono descritti 126 vitigni, originari di specifici territori di tutte le regioni italiane e a diffusione limitata, non superiore a 200 ettari di superficie coltivata. Oltre alla caratterizzazione morfologica ed attitudinale, ciascuno di essi è accompagnato da informazioni storiche e da un’appropriata documentazione fotografica.

Il testo vuole essere un primo originale compendio sulle principali entità genetiche viticole a limitata diffusione, con la speranza che possano crescere, allargare la piattaforma dei consumatori e rappresentare un compagno per viaggi verso la scoperta di vini diversi e unici. Perché non ha senso nel nostro Paese continuare a produrre vini “pedissequi”, che cercano di imitare passivamente i casi di successo. Nella scala gerarchica della qualità, il genotipo conta per almeno il 70%. Per ottenere originalità ed interesse conviene partire dai vitigni di territorio,

  • Alberto Palliotti è professore di Viticoltura presso l’Università degli Studi di Perugia e membro del Comitato tecnico scientifico di Edagricole.
  • Stefano Poni è professore di Viticoltura e Direttore del Dipartimento di Produzioni Vegetali Sostenibili dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
  • Oriana Silvestroni è professore di Viticoltura presso l’Università Politecnica delle Marche.
  • Insieme hanno coordinato il lavoro di 66 tra i più apprezzati tecnici e ricercatori in viticoltura che hanno dato il loro prezioso contributo, regione per regione, per svelare questi tesori di biodiversità.

Per info e acquisti: https://shop.newbusinessmedia.it/collections/edagricole

Un tesoro di originalità nascosto vicino a casa - Ultima modifica: 2022-03-29T20:31:02+02:00 da Lorenzo Tosi

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