L’agroecologia è un modello che contrappone alla monocoltura una ri-complessazione dell’ambiente di produzione tale da trasformarlo in un agro-eco-sistema.
Di fatto prevede la consociazione, nella stessa unità di superficie, di specie arboree e/o arbustive perenni con seminativi e/o pascoli, meglio se presenti allevamenti zootecnici.
In realtà, tali sistemi erano molto utilizzati fino alla metà del secolo scorso e poi quasi scomparsi con il passaggio del modello di produzione da estensivo ad intensivo, caratterizzato quest’ultimo da monocolture spinte e dalla meccanizzazione.
Articolo pubblicato su Terra e Vita 27/2021
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Famoso è l’esempio della “piantata”, dove le viti venivano maritate ad alberi, acero e olmo in particolare, per costituire un sistema promiscuo che consentiva un’economia circolare: al di sotto delle viti si coltivavano cereali o leguminose, dall’acero/olmo si otteneva legname e si utilizzavano le foglie come alimento per il bestiame, le piantate fungevano anche da recinzione per il pascolamento di bovini e ovini evitando danni alle colture erbacee (vedi galleria foto).
Non vigneti, ma “piantate”
A testimonianza dell’elevata presenza delle piantate in centro Italia, l’ingegnere L. Monaldi nella sua relazione alla Commissione Giudicante del concorso agrario di Arezzo del 1882 scrive:
“...Fino al 1870 la vite era esclusivamente maritata a piante arboree; non vi si riscontravano viti basse in filari e vigneti specializzati. Il catasto dell’epoca, in correzioni operate nel 1859-61, non fa cenno affatto di vigneti, ma soltanto di terreni seminativi vitati. Pertanto il sistema più in uso era ed è tuttora, presso la maggior parte dei fondi, quello così detto delle pergole alte, disposte, con i relativi sostegni vivi (olmo ed acero campestre), in linee parallele delimitanti i campi dove si svolgono gli avvicendamenti delle piante erbacee…”.
Transizione ecologica, ovvero?
L’agroecologia rappresenta uno dei 5 punti chiave della transizione ecologica, insieme a: energie rinnovabili, economia circolare, mobilità ad emissioni zero e tutela della biodiversità.
Il concetto della transizione ecologica ed energetica, tanto importante oggi da creare ad hoc un super Ministero (MiTE) che dovrà gestire il 37% dei fondi europei del Next Generation EU destinati all’Italia, prevede la trasformazione del sistema produttivo intensivo e non più sostenibile in un modello basato sulla tutela ed il rispetto dell’ambiente e delle popolazioni (il fulcro diviene pertanto la sostenibilità ambientale, economica e sociale).
In quest’ottica, l’agroecologia rappresenta, per pochi un ritorno al passato, per molti invece un modello in grado di assicurare vantaggi sia al territorio sia all’azienda, tra i più quali: potenziamento della biodiversità vegetale e animale, incluso insetti utili ed impollinatori, stabilizzazione microclimatica, maggior sequestro e stoccaggio del carbonio, riqualificazione del territorio, produzioni più salubri, più produzione per unità di suolo, diversificazione delle produzioni ottenibili, miglior utilizzo dell’acqua e della altre risorse naturali.
Per il WWF l’agricoltura sostenibile deve soddisfare 3 principi guida, tutti contemplati nell’agroecologia moderna, e oggi finanziati dalle recenti strategie dell’Ue, ossia:
- aumento della biodiversità negli agroecosistemi tramite la presenza di almeno il 10% della superficie agricola totale dedicata a spazi naturali (siepi, alberate, piccoli boschi, stagni, fasce inerbite, prati stabili, ecc.) (strategia EU per la “Biodiversità 2030”);
- ridurre l’uso dalla chimica di sintesi attraverso la diffusione di pratiche agricole che non richiedono pesticidi e fertilizzanti chimici e rafforzano le difese naturali degli agroecosistemi (Strategia EU “Farm to Fork” che prevede la riduzione del 50% dei pesticidi entro il 2030);
- riequilibrio dei cicli di azoto, fosforo, carbonio e acqua mediante il ripristino della sostanza organica e della biodiversità nei suoli ed incentivando le rotazioni delle colture (Strategia EU “Farm to Fork” che prevede la riduzione del 20% dei fertilizzanti chimici entro il 2030).
Gli obiettivi
Tutti i progetti di agroecologia che prevedono l’introduzione di animali in impianti arborei si prefiggono di conciliare la sostenibilità delle coltivazioni ed il benessere di animali e piante, nonché di garantire vantaggi agronomici, economici e sociali. In generale, gli obiettivi si sviluppano su tre livelli:
- Livello agronomico/ambientale: ottenere produzioni di frutta e/o derivati e/o carni equilibrate e di qualità superiore, migliorare la fertilità e l’attività della biomassa microbica del suolo, aumentare la resilienza/resistenza delle piante nei confronti di stress sia ambientali che parassitari, ridurre il consumo di suolo nonché contribuire alla sua conservazione;
- Livello economico: aumento dei redditi aziendali sia per l’aumento della produttività sia per il miglioramento qualitativo della frutta e dei prodotti della loro trasformazione che dalla vendita dei prodotti zootecnici, risparmio per l’azzeramento dei fertilizzanti e l’eliminazione di mezzi meccanici e/o chimici per il controllo delle erbe infestanti;
- Livello sociale: alla luce della crescente popolosità del pianeta, dagli attuali 7 miliardi di persone ai probabili 10 miliardi previsti entro il 2050, e della crescente richiesta di cibo, carne e derivati, nonché dell’esigenza di conservare suoli ed ambiente, le superfici coltivabili difficilmente potranno essere aumentate per soddisfare tale richiesta.
Tutti i frutteti possono dunque offrire abbondante pascolo ed evitare l’utilizzo di nuovi terreni. Questi modelli applicati in aree difficili e svantaggiate, quali quelle pedemontane e montane, contribuirebbero a creare reddito, occupazione e sviluppo e ridurre l’isolamento sociale.
Esempi concreti di consociazioni
Esempi concreti di agroforestry sono le consociazioni “vigneto-oche” e “vigneto-ovini”. Negli impianti arborei il controllo delle erbe infestanti e la concimazione sono operazioni che, oltre ai costi, hanno un elevato impatto ambientale. Una soluzione alternativa può derivare dall’utilizzo di erbivori che, con il pascolamento ed il rilascio deiezioni, contribuiscono al controllo delle erbe e alla fertilizzazione. Inoltre, a seconda della specie erbivora utilizzata si possono ottenere redditi aggiuntivi derivanti dai prodotti degli animali.
Tuttavia, possibili problematiche sono:
- potenziali danni nei frutteti sia diretti (brucature di giovani germogli, foglie e frutti) sia indiretti (se il carico animale è eccessivo possono non essere efficaci nel diserbo o viceversa sovra-pascolare e produrre compattazione del suolo);
- l’uso di prodotti fitosanitari poiché gli animali possono ingerire i prodotti chimici che cadono sul pascolo;
- divenire anche allevatore, cioè acquisire nuove professionalità che comporta non solo saper allevare, ma anche saper trasformare e vendere prodotti nuovi.
É certamente una sfida; certo è che frutteti diserbati in modo naturale e animali allevati al pascolo sono prodotti valorizzabili in un mercato sempre più sensibile alla qualità e al rispetto ambientale.
Il modello di Cantina Orsogna
La Cantina Orsogna, cooperativa sociale ubicata nell’omonimo comune in provincia di Chieti, gestisce circa 1.200 ha di vigneto dei quali il 95% a conduzione biologica, ha avviato un progetto che si prefigge di conciliare la sostenibilità della coltivazione della vite ed il benessere di animali e piante in due combinazioni di agroforestry, poco note in Italia, ma che possono fornire nuovi modelli produttivi maggiormente rispettosi dell’ambiente oltre che garantire vantaggi agronomici, economici e sociali.
Le consociazioni messe in pratica sono: “Vigneto-Oche” e “Vigneto-Ovini” (ne abbiamo parlato nell’articolo “Là dove osano le oche”, Terra e Vita 35/2020), in un impianto di Chardonnay ubicato nel comune di Filetto (CH) ed allevato a pergoletta, ed esternamente delimitato da una rete elettrificata (galleria foto2).
Nello specifico, il vigneto è stato diviso in 3 appezzamenti di circa 2.000 m2 ciascuno, dei quali uno ha ospitato 22 ochette di razza romagnola, un altro 12 ovini di razza merinizzata e l’ultimo gestito senza animali in modo tradizionale (controllo). Durante la notte gli animali vengono ricoverati in appositi ripari anti-predatori (vedi foto nella galleria sopra).
Il periodo di pascolamento per le oche è l’intera stagione, mentre per gli ovini va da inizio marzo fino alla terza settimana di aprile quando iniziano i trattamenti al vigneto, per poi ricollocarli nel rispettivo lotto poco prima della vendemmia, ovvero intorno alla seconda settimana di agosto. Al pascolo è stata addizionata una razione giornaliera a base di mais, orzo e favino (40-30-30%). Nei lotti di vigneto che ospitano gli animali non si eseguono trattamenti al terreno e nemmeno concimazioni. Nella vendemmia 2021 ed in quelle successive si valuteranno gli effetti di tali combinazioni sulla vite, sul terreno e sulla qualità delle carni sia delle oche che degli ovini.
Tuttavia, un’esperienza eseguita in Umbria con le oche in un vigneto di Trebbiano spoletino per 5 anni consecutivi (Palliotti et al. 2020) ha evidenziato, rispetto alla conduzione senza animali, che:
- produzione d’uva aumentata del 22%;
- zuccheri, acidità e pH del mosto sono risultati simili, mentre l’azoto utilizzabile dai lieviti è aumentato del 33%;
- lievi aumenti a carico del vigore delle piante;
- le oche hanno apportato 69, 82 e 44 kg/ha di N, P e K l’anno, rispettivamente;
- crescita più lenta delle oche al pascolo rispetto a quelle allevate in stalla (160 vs 130 giorni per raggiungere lo stesso peso);
- umidità, proteine, ceneri e perossidazione lipidica della carne non hanno mostrato variazioni, mentre il contenuto di grassi è risultato minore;
- la ricchezza in antiossidanti (α-tocotrienolo, α-δ-γ-tocoferolo e retinolo) è stata potenziata, mentre il pascolamento ha favorito gli acidi polinsaturi (soprattutto linolenico a scapito del linoleico) e ridotto quelli monoinsaturi;
- incremento del rame nel fegato delle oche allevate nel vigneto (151 vs. 92 ppm) che risulta comunque al di sotto della soglia di tossicità.
Sostenibilità e benessere animale
Nelle produzioni moderne la sicurezza e la qualità dei prodotti, la sostenibilità ambientale e il benessere sia degli animali che delle piante sono di estrema importanza per la notevole attenzione sia da parte dei governi che dell’opinione pubblica. Ciò sta accrescendo l’interesse per i sistemi di coltivazione estensivi, più attenti nei confronti del benessere di piante ed animali e dell’impatto ambientale.
Gli elementi che caratterizzano le produzioni animali estensive, soprattutto se bio e/o free range, sono la disponibilità di foraggio verde a costo zero ed un ambiente di crescita maggiormente salubre e naturale che influenzano positivamente il comportamento, la qualità dei prodotti e lo stato di salute degli animali. L’interesse crescente che i consumatori stanno dimostrato nell’acquistare cibi e bevande prodotti con un basso impatto ambientale e i crescenti costi dovuti a pratiche poco sostenibili, diserbo e lavorazioni meccaniche in primis, spingono per lo sviluppo di sistemi alternativi di produzione.
Le consociazioni piante-animali, incluso “vigneto-oche” e “vigneto-ovini”, possono comportare vantaggi rilevanti a livello sia ambientale che economico e sociale, oltre che rappresentare un esempio di riconciliazione economico-ecologica, che consente di abbinare una produttività per ettaro maggiore e di migliore qualità ad un ridotto impatto ambientale e uso del suolo. L’oca e il vino, dunque, così come “ovini e vino”, potrebbero essere ottimi abbinamenti, non solo a tavola.
Tre padri nobili
Il 1928 fu un anno strategico per l’agricoltura:
1) l’agronomo russo Basil Bensin coniò il termine “agroecologia” che contemplava per la prima volta l’applicazione dei concetti dell’ecologia all’agricoltura;
2) l’americano Karl H. W. Klages pubblicò diversi lavori sulla distribuzione delle colture in base a principi fisiologici;
3) l’italiano Girolamo Azzi definì le relazioni tra le caratteristiche pedoclimatiche e la crescita e la produzione delle colture agrarie, molte delle quali riportate nel noto trattato “Ecologia Agraria” (tradotto e pubblicato anche in Russia, Brasile, Bulgaria, Spagna, Inghilterra e Francia).
A proposito di Girolamo Azzi (1885-1969), originario di Imola e fondatore dell’ecologia agraria, creò nel 1924 la prima cattedra di ecologia presso l’Università degli Studi di Perugia, proposta dall’Accademia dei Lincei che finalmente riconosceva l’importanza dell’ecologia agraria come disciplina autonoma. Conoscitore di ben 7 lingue, Azzi, appena laureato, lavorò presso l’Istituto Internazionale di Agricoltura di Roma, l’attuale FAO, con sede ancora a Roma.
Alberto Palliotti, Lucia Giordano
Università di Perugia
Camillo Zulli
Cantina Orsogna - CH