Più agronomi, meno influencer e youtubers.
L’auspicio stimolato dall’improvvisa presa di coscienza sulla vulnerabilità del nostro sistema economico e sociale, stritolato negli ultimi anni dagli snodi cruciali del climate change, dell’epidemia e della crisi geopolitica globale, sembra rimasto inascoltato.
La clava del Green Deal, brandita da Bruxelles per cambiare paradigma, accendendo l’interruttore della green economy anche in agricoltura, sembra infatti destinata ad una clamorosa cilecca.
Anteprima editoriale VVQ 5/2023
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L’esecutivo europeo mirava infatti al boom dei green jobs, i lavori verdi, per realizzare la transizione ecologica e digitale (in attesa di quella climatica). Illudendo così i cittadini europei sulla possibilità di una crescita inclusiva alimentata da una maggiore attenzione all’ambiente (e minore alla Plv). Le più recenti analisi (quella della Resolution Foundation in Gran Bretagna o i forecast Ocse) sembrano smentire per ora questa eventualità.
Braccia rubate all'agricoltura
Il comparto vitivinicolo, come quello agricolo, è in realtà in forte allarme per la difficoltà a soddisfare la propria domanda occupazionale. Confagricoltura ha dedicato un convegno a questo tema nei giorni scorsi. Ma quelli che l’associazione datoriale reclama a gran voce non sono cervelli green, ma braccia sporche di terra o dell’olio motore delle trattrici. La fotografia scattata da Nomisma è, in questo caso, impietosa e sembra tracciare un profilo economico di altri tempi. L’agricoltura è infatti il settore dove di gran lunga continua a prevalere, sul totale dei dipendenti, la quota di operai, spesso non specializzati, per il 90% a tempo determinato, di sesso maschile, di età superiore a 45 anni e oltre la metà non possiede un titolo di studio. Difficile in queste condizioni intravedere possibili orizzonti di una seppur minima digitalizzazione.
Condizionati dalla condizionalità
E i vincoli della Farm to Fork o della condizionalità della Pac stanno paradossalmente peggiorando la situazione. La domanda dei laureati delle nostre migliori facoltà di viticoltura ed enologia rimane infatti alta, spesso per ricoprire ruoli di indirizzo tecnico.
Quadri che però ormai passano molto più tempo tra le scartoffie che in vigneto o in cantina. La sostenibilità imposta dall’alto, attraverso i vincoli degli ecoschemi o delle sempre più stringenti limitazioni agli agrofarmaci (con le differenti buffer zone nelle etichette dei formulati, ad esempio), aumentano infatti enormemente il carico burocratico. Una lontananza tecnica dal vigneto che quest’anno spiegherebbe l’esplosione, non vista fino all’ultimo, della peronospora su buona parte dei vigneti della penisola. Perché la sostenibilità a scatola chiusa non stimola l’intelletto, non spinge al confronto con nuove idee.
Fa aumentare piuttosto la meccanizzazione, perché invece dei risultati oggi occorre raccogliere dati (per alimentare la burocrazia, per l’appunto). Cresce così il ricorso al terzismo. Il che non sarebbe un male, se non fosse che le finestre sempre più strette concesse dal clima anomalo per i trattamenti costringono i pochi professionisti attrezzati ad esempio con irroratrici a recupero a corse sempre più sfrenate tra i filari (vanificando, così, efficacia e sostenibilità dell’intervento).
Servizi fuori servizio
Una situazione che non appare più rosea (pardon: verdea) nel settore dei servizi. I consulenti, a parte i casi di alcuni illuminati gruppi associati, continuano ad avere difficoltà a sbarcare il lunario e la novità della viticoltura sostenibile non sta alimentando la crescita del numero dei certificatori (come avvenne invece negli anni ’90-2000, con l’avvento della viticoltura biologica). In questo caso pesano, però, i ritardi legati ad una centralizzazione che oggi appare forzata. Il sistema della certificazione nazionale della sostenibilità stenta infatti a partire. L’iscrizione al Sqnpi rimane inibita dalle difficoltà operative del portale Sian.
Svelato l'arcano
Eppure molte cantine producono il Bilancio di sostenibilità: sono in crescita dunque figure come gli Esg Manager o i responsabili dei sistemi di gestione ambientale? In realtà è qui che si scopre l’inghippo: questi documenti, in Italia, sono spesso redatti dai responsabili marketing o commerciali. Perché la sostenibilità non serve a cambiare modo di produrre, ma a vendere meglio.
coordinatore editoriale
VVQ, Vigne, Vini & Qualità