«La dealcolazione non va vissuta come una minaccia»

Jacopo Vagaggini, enologo dell'azienda di famiglia Amantis sulle pendici del Monte Amiata
Jacopo Vagaggini, giovane enologo dell’azienda Amantis, mette in guardia contro un atteggiamento di eccessiva chiusura rispetto all’esigenza di abbassare il grado alcolico dei vini. «Già oggi puntiamo su diverse soluzioni in vigneto e cantina per contenere il grado alcolico: il vino dealcolato può creare nuove opportunità mercato»

«Il vino dealcolato è un prodotto nuovo, lontano dalla sua origine e dai suoi tratti distintivi, che assolve ad un ruolo diverso: non deve essere vissuto come una minaccia, ma come un mezzo che può smuovere equilibri e creare opportunità di mercato».

Ne è convinto Jacopo Vagaggini il giovane enologo senese dell’azienda Amantis, la realtà vitivinicola votata alla qualità e alla sperimentazione, situata a Montenero d’Orcia (provincia di Grosseto), alle pendici del Monte Amiata, nell’area del Montecucco Docg.

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In un’intervista all’agenzia Ansa Vagaggini spiega tecnicamente in cosa consiste, le conseguenze e soprattutto il perché la parola "vino dealcolato" fa così paura. «La dealcolazione – dice- è una pratica già ammessa per legge nella misura massima del 2% di gradi alcol».

Osmosi inversa: nessun annacquamento esogeno

Jacopo Vagaggini

Per realizzare questo obiettivo si fa generalmente ricorso a due metodi fisici: l'osmosi inversa, in cui il vino passa attraverso membrane semi-premiabili a pressioni molto elevate fino a 40 atmosfere, da cui si estrae una miscela di acqua ed alcool.

L'alcool viene poi separato per distillazione e l'acqua rimanente, cosiddetta acqua di vegetazione, deve essere reincorporata nel vino originale per abbassarne la gradazione alcolica.

«Quest'ultimo passaggio è stato a lungo incriminato, erroneamente scambiato per un annacquamento che, al contrario, implica un aumento di volume tramite aggiunta di acqua con conseguente diluzione e abbassamento di gradazione alcolica».

Evaporazione sottovuoto

In alternativa c'è la tecnica dell'evaporazione sottovuoto. L'alcool etilico ha una temperatura di evaporazione di circa 78°C, più bassa rispetta a quella dell'acqua (100°C); lavorando sottovuoto, che abbassa la temperatura di evaporazione, si riesce a lavorare a circa 20°C, senza alterare troppo le proprietà del vino, riuscendo ad eliminare l'alcol senza rimuovere l'acqua.

«Questa pratica è efficace, ma impoverisce il vino di molti profumi -ammonisce Vagaggini -». Non c'è dubbio che un vino dealcolato sia un prodotto molto artefatto, lontano dalla sua origine e dai suoi tratti distintivi.

«Viviamo però in un mondo sempre più variegato – riconosce il giovane enologo - dove la diversità non è più una minaccia, ma un punto di forza che crea nuove possibilità di mercato: anche nelle aziende vinicole la gamma di vini tende ad ampliarsi sempre di più per soddisfare le più svariate richieste. E' spesso nell'estremo che si trova l'equilibrio».

Una leva per nuovi equilibri di mercato

Il vino dealcolato, secondo l’interpretazione di Vagaggini, potrebbe così diventare una leva per  spingere il mercato verso vini meno alcolici, «un aspetto su cui si lavora da tempo su molti fronti sperimentali».

Un obiettivo a cui oggi si tende attraverso:

  • nuove forme di allevamento,
  • nuovi cloni e soprattutto portinnesti più resistenti alla siccità,
  • prodotti e lavorazioni che aiutano la pianta a tollerare meglio il caldo e lo stress.

«Da alcuni anni stiamo lavorando su nuovi ceppi di lievito in grado di allungare la prima fermentazione del vino, chiamata glicero-piruvica, che sottrae parte dello zucchero destinato alla fermentazione alcolica».

«La dealcolazione non va vissuta come una minaccia» - Ultima modifica: 2021-06-15T11:05:19+02:00 da Lorenzo Tosi

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