Sauternes, Tocai, Trockenbeerenauslese: sono nomi inscindibili da quello di Botrytis cinerea, la muffa che nella sua forma nobile conferisce a questi vini il carattere unico che li rende famosi nel mondo. Nelle zone di produzione, la muffa nobile è un ospite atteso che puntualmente ogni anno torna a dare alle uve il tocco necessario per produrre vini inconfondibili. Una combinazione di umidità, temperatura, escursioni termiche e geografia dei luoghi ne assicurano la presenza costante ad ogni tarda estate. In Italia la produzione di vini passiti non è necessariamente legata all’infezione di botrite. Infatti i disciplinari dei vini non la contemplano. Ma quando succeda che si creino le condizioni ideali per lo svilupparsi di un’infezione naturale e quando questo renda possibile la produzione di vini, allora il marketing non si fa attendere e la muffa nobile veicola, insieme alle caratteristiche note sensoriali, anche un valore aggiunto economico. Ma non è solo una questione di valore aggiunto sul mercato. La botrite nobile ed il suo risultato sui vini sono elementi indissolubilmente legati al territorio e alle sue caratteristiche. L’identificare e descrivere il rapporto tra le peculiarità di un vino e la muffa nobile diventa un ulteriore elemento di terroir e di caratterizzazione territoriale del vino. Non poco, in un’epoca afflitta dalla piaga delle contraffazioni!
Botrite in Valpolicella?
Racconta Daniele Accordini, direttore generale di Cantina Valpolicella Negrar: “Alcuni anni fa abbiamo fatto un esperimento. Abbiamo raccolto qui in Valpolicella 500 acini, tutti apparentemente sani. In camera di incubazione la metà di essi ha poi però sviluppato botrite. Questo per dire che anche laddove si crede che la muffa non vi sia, essa è invece presente e, in misura variabile, concorre alla produzione di sostanze aromatiche e quindi a determinare il carattere del vino”.
Se la botrite c’è, allora tanto vale conoscerla ed eventualmente domarla per poter condurre botritizzazioni indotte e controllate delle uve in appassimento. Cosi il Centro per la Sperimentazione in Vitivinicoltura della provincia di Verona, situato in San Floriano, in collaborazione con l’università di Verona, conscio dell’importanza e del possibile sbocco economico di tali prospettive, ha investito ben sette anni di ricerche in analisi della presenza di botrite sul territorio, per tipizzarne i ceppi e vedere se fosse possibile condurre infezioni indotte e controllate per la produzione di varianti botritizzate dei vini.
“Il primo passo – spiega Emanuele Tosi, responsabile tecnico del Centro in San Floriano ‒ è stato quello di analizzare se anche sui nostri vini la botrite inducesse cambiamenti sensoriali. Prove preliminari di microvinificazioni con acini infettati hanno indicato variazioni evidenti”.
C’è botrite e botrite
Queste variazioni hanno un impatto positivo sul vino e sono dovute alla trasformazione di composti aromatici che si verificano nel mosto e durante la fermentazione delle uve infette. Tra il passare da un’infezione casuale e assolutamente non controllabile ‒ perché dipendente solo da fattori climatici variabili ‒ ad un processo controllabile, standardizzabile e ripetibile, la strada è lunga e inizia necessariamente con la tipizzazione dei ceppi di botrite, per identificare i più idonei per eventuali operazioni di inoculo artificiale. Sui ben 38 ceppi isolati da uve Nosiola in appassimento, differenti per forma del micelio e posizione degli sclerozi, i laboratori del Centro sono riusciti ad isolarne alcuni che più di altri sembrerebbero idonei ad operazioni di inoculo controllato. Le loro caratteristiche:
- buona resistenza agli antibotritici normalmente utilizzati in campo. Punto essenziale, perché la presenza di residui di antibotritici sulle uve potrebbe inibire l’inoculo, compromettendo un eventuale processo di botritizzazione indotta;
- buona capacità di crescita su terreni colturali, caratteristica importante per la preparazione degli inoculi e il mantenimento del ceppo selezionato;
- buona patogenicità, testata in laboratorio su foglie di fagiolo;
- buon rapporto disidratazione/giorni di appassimento, caratteristica che permette di accorciare i tempi di appassimento delle uve in fruttaio;
- induzione di evidenti differenze composizionali nei mosti di uve infettate da questi ceppi, che risultano più ricchi di laccasi (tipico marcatore botritico), glucosio, fruttosio, glicerolo e acido gluconico.
La muffa da domare
Per mettere a punto processi di botritizzazione indotta, avere il ceppo ideale non è ancora tutto. Bisogna farlo lavorare per il produttore nel modo migliore... Insomma: bisogna domarlo, mettendo a punto protocolli che permettano una buona infezione degli acini ed il controllo del suo svolgimento, a partire dall’inoculo delle uve con soluzioni contenenti il fungo. Al Centro di San Floriano non si son fatti mancare la fantasia. Diversi i metodi di inoculo testati, in campo o post raccolta (vedere box), su uve bianche e uve rosse. Mentre la messa a punto di metodi di inoculo in campo richiede ulteriori studi (quale il momento migliore? In quale ora della giornata? Come minimizzare l’influenza del clima? etc.), i protocolli di inoculo post raccolta si sono rivelati più adatti per processi di botritizzazione controllata. Una volta inoculata, l’uva deve esser posta in condizioni di umidità e temperatura controllate, in modo da poter monitorare ed eventualmente bloccare il processo di infezione delle uve. Non è questo un punto di secondaria importanza. Poter monitorare e controllare l’infezione della botrite non solo permette di bloccare il processo prima che esso degeneri in una effluorescenza e, quindi, la muffa da nobile passi a grigia, ma permette anche di scegliere il grado di botrizzazione voluta, al fine di modulare il profilo organolettico del vino e il suo stile, a seconda del gusto del suo autore.
L’impatto sul profilo aromatico
Per capire che tipo di variazione la muffa inducesse nel vino, si sono condotte analisi chimiche e confronti tra mosti da uve infettate e mosti da uve sane. Il risultato indica variazioni notevoli dovute alla botrite e diverse anche a seconda dei ceppi di botrite utilizzata. “Considerando le singole molecole, nei mosti di uve infettate si sono registrate quantità maggiori di molecole responsabili dei sentori tipici dei chiodi di garofano (4-vinilguaiacolo), di molecole che conferiscono ai vini note di miele (fenilacetaldeide), note speziate (4-terpineolo), note di caramello (omo-furaneolo). Al contrario, si sono registrate concentrazioni maggiori di etil-4-idrossibutanoato (note fruttate) in mosti da uve sane”, afferma Michela Azzolini, del Centro per la Sperimentazione in Vitivinicoltura, presentando i risultati delle analisi organolettiche. La botrite dunque modifica la composizione chimica dei mosti aggiungendo complessità al vino. Questo è ben visibile dall’analisi sensoriale condotta considerando 16 descrittori comunemente usati per il vino Recioto di Soave. Il grafico qui sotto indica in maniera inequivocabile una complessità aromatica maggiore nel vino botritizzato rispetto alla sua variante tradizionale. La presenza della muffa nobile, dunque, permette di creare vini chiaramente diversi – in genere più complessi dal punto di vista aromatico – rispetto alla loro variante non botritizzata.
Le ricadute pratiche
Maggiore complessità aromatica, dunque,e possibilità di condurre infezioni controllate e di modulare così il profilo organolettico dei vini. Ma: a chi serve? La risposta viene da Giacomo Zapparoli (Università degli Studi di Verona), che afferma: “Serve a quei produttori di passito, Amarone, Recioto, Vin santo e tanti altri, che ritengono che la botrite possa contribuire in modo significativo a caratterizzare il proprio vino”.
La botrite come strumento di marketing? “Diciamo la botrite come elemento per diversificare, ovvero per poter offrire al cliente due tipologie di vino, quella tradizionale e quella nobile”, senza peraltro togliere al viticoltore la possibilità di personalizzare il vino: tipologia di uva da infettare, quantità di uva da botritizzare, stadio a cui far sviluppare la muffa, grado di appassimento, uvaggi con diverse percentuali di uva botritizzata, sono tutti elementi che ognuno potrà scegliere per creare un vino unico. Si apre, dunque, anche per la Valpolicella la possibilità di produrre vini botritizzati in maniera controllata e modulata, in maniera costante e continua negli anni. Si apre insomma la possibilità di produrre il Passito nobile della Valpolicella.
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Due le modalità di inoculo artificiale di botrite in post-raccolta testate: tramite immersione dell’uva nella soluzione di inoculo o tramite spruzzo di quest’ultima sulle uve (foto), previo ferimento degli acini per favorire la penetrazione del fungo.[/box]
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Se la Botrite in Valpolicella c’è, come afferma Daniele Accordini (nella foto) ‒ direttore generale di Cantina Valpolicella Negrar ‒ allora per quanto si cerchi di tenerla lontana, essa gioca comunque un ruolo nella produzione dei vini passiti. Sarebbe interessante chiedersi quale sia la relazione tra un vino famoso come l’Amarone e la botrite, ovvero quale ruolo la botrite giochi nei vini di successo. “Si tratterebbe di andare ad analizzare la presenza di molecole marcatrici della Botrite e vedere quale ne è la componente nel vino Amarone, per capire quanto il successo di questo vino possa dipendere dalla Botrite o da altri parametri: tecniche di appassimento, di vinificazione etc.”, afferma Daniele Accordini. Se si scoprisse che le caratteristiche dell’Amarone (e quindi il suo successo) dipendono anche dalla Botrite, comunicandolo, si otterrebbe un elemento di marketing territoriale molto importante. L’Amarone sarebbe il primo vino secco rosso a livello mondiale ad avere un legame con la Botrite.[/box]
[box title= "Finale all'italiana" color= "#c00"]
I sette anni di ricerca hanno portato ad evidenziare la possibilità di creare una procedura standardizzata per la produzione di passiti botritizzati, vini pur sempre di terroir, ma diversi dai tradizionali. Una via che potrebbe occupare una sua nicchia sul mercato. Ma per rendere tale opportunità anche matura per essere applicata in cantina, occorrono protocolli standard, prove su campo, vinificazioni di maggiore entità ed infine standardizzazione di tutto il processo. Siamo lontani da questo risultato. Le ricerche condotte a San Floriano sono il primo passo, ma occorrerebbe ancora sperimentazione, per condurre la quale sembra però non vi siano fondi... Finale all’italiana: bloccati in vista di un traguardo![/box]
Articolo a firma di Maria Luisa Doldi
Approfondimenti a cura dell'Autore
PER APPROFONDIRE
Botrite: carta d’identità
La Botrytis cinerea è un fungo filamentoso patogeno necrotrofico e cosmopolita che si può sviluppare nella forma effluorescente (muffa grigia) o infavata (muffa nobile).
La forma effluorescente (marciume grigio) si verifica in corrispondenza della maturazione e richiede una costante e prolungata condizione di terreno imbibito o un elevato grado di umidità atmosferica. L'infezione provoca la caduta dei grappoli colpiti. La forma infavata invece (muffa nobile) si verifica quando, in condizioni generali di clima più caldo e secco, si alternano condizioni umide per effetto della deposizione della rugiada mattutina o di episodi piovosi che innalzano il grado di umidità e favoriscono una diffusione limitata del fungo che aumenta, per l'appassimento, il grado zuccherino dell'uva senza danneggiarla eccessivamente. La muffa può fare la sua comparsa sia sulle uve in via di appassimento che su quelle lasciate a seccare.
La variabilità nella composizione delle uve
Le analisi chimiche dei mosti hanno indicato una elevata variabilità nei contenuti di glucosio, fruttosio, laccasi, acido gluconico e glicerolo non solo tra uve infettate ed uve sane, ma anche tra ceppo e ceppo utilizzato per l’inoculo (vedere grafico qui sotto), a conferma dell’esistenza di differenze tra ceppi diversi di botrite (Fonte: Centro per la Sperimentazione in Vitivinicoltura)
Bibliografia
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