Insospettabili vitigni aborigeni

La biodiversità del vigneto italiano, formata oggi da 600 varietà iscritte a registro, deriva in realtà da un ristretto pool di solo 8 vitigni “padri” per lo più sconosciuti. Radici limitate per sorreggere tutto il peso della nostra tipicità

Qual è il vitigno italiano più “autoctono”?

La tipicità paga e negli ultimi anni sono aumentate a dismisura le ricerche per le iscrizioni al registro varietale di nuovi vitigni “locali” o presunti tali (107 negli ultimi 11 anni, si legga al proposito A.Palliotti et al. su VVQ 4/2021).

Una caccia innescata dal successo commerciale  di questi vitigni e dall’idea che i vitigni selezionati localmente abbiano una capacità di adattamento migliore, che siano in qualche modo “in armonia” con i territori in cui vengono (ri)scoperti.

Editoriale del numero 4/2021 di VVQ

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Il primato per la primogenitura

Una proliferazione che innesca per reazione l’impellenza di distinguersi e che ha riacceso lo scontro per il primato della “primogenitura”.  Ma a sorpresa i vitigni italiani più “antichi” non sono né il Sangiovese, né il Nebbiolo o il Montepulciano, ma degli outsider completi.

Segnatevi questi nomi: Strinto porcino, Visparola e poi Termarina (o Sciaccarello), Orsolina e Uva Tosca.

el nostro Paese ne sono rimasti solo pochi filari in Basilicata, Sicilia o sui colli di Parma, ma sono loro, assieme ai più noti Mantonico bianco, Aglianico, Bombino bianco e Garganega, le varietà fondatrici della stirpe italica delle uve da vino. Un club che a sorpresa è estremamente ristretto. Lo rivela lo studio genetico del germoplasma viticolo che ha messo insieme otto istituzioni scientifiche italiane e che è stato recentemente pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Plant Science”.

1.232 varietà uniche, tolte le sinonimie

Valeria Terzi del Crea Genomica e Bioinformatica di Fiorenzuola d’Arda e Manna Crespan del Crea Viticoltura ed Enologia di Conegliano spiegano che lo studio ha puntato ad analizzare il germoplasma italiano nella sua ricchezza varietale, ovvero le centinaia di varietà di Vitis vinifera e di ibridi dei vigneti collezione delle nostre principali istituzioni scientifiche più il migliaio di genotipi analizzati in studi precedenti in Italia, Grecia, Caucaso. In tutto, eliminati i casi di sinonimie (nomi diversi, ma stesso profilo genetico), 1.232 varietà uniche.

La "mira" del marker SNP

Lo strumento utilizzato si è rilevato particolarmente potente: la “genotipizzazione SNP”. Un numero elevato di marker molecolari ottenuti dal sequenziamento di 50 vitigni importanti per la viticoltura italiana ha infatti consentito di individuare i singoli polimorfismi (variazioni) di nucleotide, mutazioni che si verificano durante la replicazione del patrimonio genetico. Ottenendo i profili Snp delle 1232 varietà. Si leggono “snip” e sono dei veri cecchini per individuare sinonimie e parentele: consentendo di identificare 92 nuove coppie genitore-figlio (smentendo clamorosamente anche alcune presunte paternità) e in 14 casi si sono ricomposte intere famiglie, individuando entrambi i vitigni “genitori”.

Visparola sulla costa adriatica,
Strinto Porcino su quella tirrenica

La ricostruzione del pedigree ha messo in luce in particolare il ruolo chiave di Visparola e Strinto Porcino, quest’ultimo risultato il vero progenitore del Sangiovese. Evidentemente gli antichi viticoltori non si fidavano della tipicità, ma si sono portati appresso, nel corso dell’espansione della viticoltura da Sud a Nord lungo la penisola, la Visparola (che potrebbe costituire l’anello di collegamento che le varietà greche) lungo la dorsale adriatica e il Sangiovese lungo quella tirrenica.

Il valore della "tipicità"

Gli studi non sono terminati, alcune varietà ancora non sono stare inserite in questo atlante parentale, ma la prima considerazione che emerge riguarda la limitatezza delle “radici” che sostengono la nostra tipicità. Solo negli ultimi anni è ripresa di gran lena l’attività di miglioramento genetico con l’obiettivo di associare nella stessa varietà caratteri qualitativi e la capacità di resistere agli attacchi dei patogeni. Un impegno che, alla luce di questi risultati, diventa oltremodo strategico per difendere il nostro patrimonio varietale.

La seconda considerazione riguarda la presunzione del valore della nostra tipicità: ha ancora senso setacciare lambruscaie, antichi vigneti e campi collezione per individuare nuove antiche varietà?

Il consiglio, nel dubbio, è quello di avviare da subito l’iter per la registrazione almeno di Strinto porcino e di Visparola.

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Insospettabili vitigni aborigeni - Ultima modifica: 2021-05-26T17:37:14+02:00 da Lorenzo Tosi

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