Da concetto astratto a buone pratiche quotidiane di vigna e di cantina.
La sostenibilità – ambientale, economica, sociale – è da tempo il megatrend del pianeta, che la pandemia ha soltanto accelerato, puntando i riflettori sulle filiere produttive più sensibili o più inquinanti.
Già le organizzazioni internazionali avevano scandito una scaletta temporale d’obiettivi – dalla decarbonizzazione alla transizione digitale – attraverso piani e programmi come Agenda 2030 delle Nazioni Unite o gli ambiziosi traguardi dell’Europa, previsti per il 2050. Ma tutto il repertorio di buoni principi va però trasferito e calato nel quotidiano, tradotto in lavoro, in pratiche, in processi produttivi. Una sfida ambiziosa e impegnativa che anche il mondo del vino comincia ad affrontare.
Articolo pubblicato su Terra e Vita 34/2021
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Impegni crescenti
Un buon esempio a cui altri territori e comparti produttivi potrebbero guardare con interesse ci arriva dall’Alto Adige, una provincia con un modello agricolo che la FAO vorrebbe “promuovere” nel mondo. E ancora una volta è il vino il capofila di questa transizione innovativa. Si chiama, anche questo progetto, Agenda 2030 ed è stato lanciato un paio d’anni fa dal Consorzio dei Vini dell’Alto Adige.
Non è più quindi una novità, ma un piano che di anno in anno fissa il raggiungimento di determinati obiettivi, poichè è naturale che una transizione, al pari di una riforma, si possa realizzare solo per piccoli passi.
Così entro il 2021, attenendoci al programma, dovrebbe entrare in azione una rete di rilevamento dell’umidità del terreno, con documentazione obbligatoria (oggi non lo è) nel quaderno di campagna di tutte le attività d’irrigazione, questa a partire dal 2022. In seguito nel 2023, secondo la “scaletta”, sarà vietato l’uso d’erbicidi sintetici nei filari sotto il vigneto, riducendo a 30 cm. la larghezza delle fasce diserbate. E ancora: nel 2025 i concimi minerali azotati saranno sostituiti da concimi organici e concimi verdi.
Questi sono soltanto tre passaggi chiave di Agenda 2030, un piano che agisce in realtà su 5 livelli (suolo, vigna, clima, persone e territorio) attraverso 12 interventi e macro-obiettivi. Quali? Oltre ai già citati, la sostituzione dei materiali sintetici monouso (spazzole, erogatori, fili trancianti di tosaerba, etc) con altri biodegradabili. Ma anche il vademecum pratico per promuovere la biodiversità tra i vigneti e addirittura il concorso annuale per premiare il viticoltore più ecologico dell’Alto Adige. E poi: l’impronta di carbonio per misurare l’impatto delle attività della cantina: in vigna, tra imbottigliatrici e tappatrici, sui camion, sulla rete logistica, sui canali di vendita. Obiettivo finale: ridurre le emissioni climalteranti entro il 2030.
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Esperienze in campo
Con un occhio rivolto a questa cornice d’azione siamo quindi andati a curiosare tra alcune cantine dell’Alto Adige per raccogliere impressioni e testimonianze, parlando di sostenibilità, di sfide, minacce e opportunità con i produttori. La vitivinicoltura altoatesina, oggi tra i territori leader sui bianchi di qualità, è caratterizzata da grande varietà e complessità di suoli e microclimi, da diversità geologiche tra una sponda e l’altra della valle, da eterogeneità di esposizioni e da parcellizzazione del vigneto. Conta 5.400 ettari e 5mila contadini, 20 vitigni utilizzati, una produzione che per il 75% fa riferimento a 13 cantine sociali (105 piccoli produttori fanno appena il 5%). Ma anche 150 tipi di suolo censiti e oggi un progetto per riconoscere 84 Unità Geografiche Aggiuntive (Uga).
Lo Strasserhof di Novacella, nei pressi di Varna, è tra le più antiche aziende vitivinicole della Valle Isarco. Questo tradizionale maso gode di una posizione soleggiata unica, incastonato tra vigneti idilliaci: filari tra i 680 e i 750 metri slm esposti a sud ovest, su terreni leggermente ghiaiosi e sabbiosi, che danno note fruttate ai bianchi e uve sufficienti per 55mila bottiglie l’anno. Totale delle vigne: 6,5 ettari, di cui 2,5 nella vicina Bressanone (www.strasserhof.info).
Oggi a guidare la cantina è Hannes Baumgartner, una figura di primo piano nella provincia vitivinicola altoatesina, non solo per i premi della critica enologica, anche per il ruolo di responsabile dell’Associazione Vignaioli dell’Alto Adige, che riunisce 105 piccoli produttori e viticoltori, ciascuno con 1-2 ettari di vigna. Baumgartner è inoltre nel cda del Consorzio Vini dell’Alto Adige, conosce dunque l’ambizioso progetto Agenda 2030.
“La sostenibilità non deve essere uno slogan, ma un piano serio che richiede di fare un passo alla volta – sottolinea il produttore/presidente -. Noi qui in azienda sono dieci anni che abbiamo eliminato gli erbicidi, ma per l’insieme dell’Alto Adige è un progetto più complesso: abbiamo 5mila contadini che come primo lavoro fanno altro, quindi ridurre o eliminare gli erbicidi significa più ore di lavoro. Soltanto nel medio-lungo periodo si può realizzare un progetto tanto ambizioso, ma l’importante è aver cominciato”.
Pacherhof è sia un hotel con stuben tirolesi dell’XI secolo, tutelate come monumento storico, che un’importante cantina, recentemente ristrutturata, in cui l’antico e il moderno s’incontrano perfettamente, con cura quasi maniacale. L’azienda coltiva silvaner, pinot grigio, kerner, traminer aromatico, grüner veltliner, gewürtztraminer, sauvignon blanc, insomma i vitigni simbolo della Valle d’Isarco. Le vigne di 8 ettari si trovano tra i 620 e gli 800 metri slm, su terreni poveri e molto minerali, sottoposti a forte escursione termica, che favorisce l’acidità (www.pacherhof.com).
Energie rinnovabili per vocazione
Oggi a gestire la cantina c’è Andreas Huber, supportato dalla sorella Monika e dal cognato Michael Laimer, che è stato assessore provinciale all’Energia, insomma uno che di sostenibilità ne capisce. “Da noi è un argomento da sempre sentito – premette Laimer –. Già oggi utilizziamo al 100% energie da fonti rinnovabili, per il calore da 20 anni siamo allacciati all’impianto di teleriscaldamento del comune di Varna, alimentato a legna, mentre da 5 anni ci riforniamo d’elettricità da fonti pulite attraverso Alperia, società municipalizzata green. Inoltre utilizziamo lampade a basso consumo e abbiamo eliminato gli erbicidi quando uscì fuori la storia sul glifosato. Tutto questo comporta più lavoro manuale – conclude Laimer – ma l’obiettivo è molto importante”.
L’Abbazia di Novacella fu fondata nel 1142. Un tempo ospizio per i pellegrini, oggi deve la sua principale economia al vino, alle visite turistiche (60mila l’anno), alle degustazioni e alla vendita diretta. La cantina dell’abbazia è annoverata tra le più antiche cantine attive al mondo e la seconda in Italia per data di nascita, fondata un anno dopo il Castello di Brolio (1141). All’epoca però faceva vino da messa (www.kloster-neustift.it/it/).
Vanta inoltre le vigne più settentrionali dello Stivale: su pendenze notevoli, tra muretti a secco, vendemmie manuali e rese molto basse, in un clima estremo in cui la viticoltura trova i suoi limiti naturali.
Vinifica per 87 ettari, di cui 6 a Novacella, 21 a Bolzano e a Cornaiano per i rossi e produce 850mila bottiglie, di cui 75% bianchi, in due linee, la classica e la Prepositus. Ha quindi scelto vitigni particolari e resistenti al freddo, tipici del mondo tedesco e alsaziano, il kerner, il sylvaner, il riesling, il grüner veltliner. E adesso ha in progetto una linea sperimentale chiamata Insolitus con l’obiettivo di imbottigliare microvinificazioni e condividere le esperienze di ricerca: un migliaio di bottiglie per testare il mercato ed eventualmente inserirle in serie limitata sul canale Horeca.
Per vocazione – termine che calza a pennello – è pure un’azienda sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che sociale ed economico. “Esistiamo dal 1142 e per noi la sostenibilità è stata un tema da sempre profondamente sentito e importante - racconta Elias Holzer, responsabile commerciale Italia -. Dal ’92 siamo autosufficienti per l’energia elettrica e termica. Abbiamo una stazione termica alimentata a ceppato di legno delle nostre foreste di proprietà, cioè circa mille ettari di bosco, ma anche una stazione idroelettrica. E già da diverso tempo abbiamo eliminato dalle vigne i componenti di plastica, i pesticidi, gli erbicidi – conclude -. Facciamo soltanto diserbo meccanico”.
Un Maso a prova di Piwi
Burgerhof Meßner sta per “Maso del Castello”. Menzionato in un documento del XIII secolo, dal 1843 è a conduzione familiare e biologico dal 1983, tra i primi in Alto Adige (www.burgerhof-messner.com). L’enologo Johannes Messner, il proprietario, ha deciso di puntare sulle varietà di uve resistenti ai funghi (PIWI): johanniter, solaris, muscaris, souvignier gris, regent, cabernet cortis, varietà resistenti ai funghi della vite (peronospora e oidio), studiate a Friburgo e ottenute da incroci tra varietà americane ed europee. Appena 1,5 di vigna coltivata anche con sylvaner e muller thürgau.
“C’è più lavoro con queste varietà Piwi ma risparmio un po’ di tempo nei trattamenti – spiega Messner -. All’inizio è difficile, devi aumentare e migliorare il sistema immunitario della vite e conoscere le condizioni di lavoro”.