Sottofilari “piastrellati” dall’alluvione

Dopo giorni di sommersione totale, strati e strati di limo depositato dalle esondazioni dei fiumi si stanno solidificando nei vigneti dell’azienda di Federica Pratella a nord di Imola. Le contromisure per tutelare l’apparato radicale e per ripristinare quello vegetativo

Un metro e mezzo di acqua in casa nella notte del 2 maggio. Quasi 2 metri in quella del 16 maggio.

Ma non bastano i numeri per comprendere l’impatto della doppia alluvione della Romagna sull’azienda agricola di Federica Pratella, nelle campagne a nord di Imola, nei pressi della frazione di Sasso Morelli. Anche perché, come spiega Federica, la sede aziendale e l’area cortiliva sono in una posizione più elevata rispetto al piano di campagna.

Federica Pratella, titolare dell'omonima azienda a Nord di Imola

 

Un mondo sommerso

«I 15 ettari di vigneto – puntualizza- e i 32 di seminativi sono stati in realtà coperti anche da 3 metri di acqua, in particolare nella seconda esondazione del fiume Sillaro». La sua azienda completamente allagata è stata anche ripresa dall’alto nel primo servizio sull’alluvione mandato in onda dal TG1 Rai. Una marea che ha portato via tutte le colture erbacee: grano, cipolla e bietola da seme, mentre Federica sta facendo il possibile per salvare i filari di Pignoletto, Chardonnay, Trebbiano, Malvasia e Ancellotta da cui, con la sua competenza, riusciva a ricavare una ricca e apprezzata produzione aziendale.

Il torrente Sillaro è stato il primo corso d’acqua a sfondare gli argini in entrambe le alluvioni (nella seconda i corsi d’acqua usciti dal loro alveo tra Bologna e Cesena sono arrivati addirittura a 24), è a circa 4-5 chilometri in linea d’aria e la sua acqua, dopo essersi sparsa per la pianura, ha superato di slancio il canale Ladello che lambisce il confine occidentale dell’azienda di Federica.

Il setaccio della sedimentazione

Sottofilari piastrellati dal limo

In un alluvione come questa anche le distanze longitudinali incidono sull’entità dei danni perché, per la legge di Stokes (per la quale la velocità di sedimentazione delle particelle è inversamente proporzionale al loro raggio), il tempo che ha impiegato l’acqua del Sillaro per raggiungere questi campi è stato sufficiente per  depositare qui strati e strati di limo.

Negli appezzamenti più vicini all’argine (leggi qui) è invece più presente la sabbia («Tutta questa fanghiglia – ricorda Federica - è arrivata solo con la seconda ondata: è quel che resta delle nostre colline, prima indebolite e poi franate con la seconda ondata di maltempo»).

La melma bianchiccia, con intrusioni rossastre e verdognole, che ricopre copiosamente ogni centimetro quadrato di questa azienda, si sta lentamente asciugando e crepando, piastrellando i sottofilari con una crosta impermeabile all’ossigeno che rischia di dare il colpo di grazia alle radici delle viti. Già provate dal lungo periodo di sommersione («anche 20 giorni senza soluzione di continuità, sommando le due alluvioni, in alcuni casi»).

Lavorazioni sì, ma come?

La prima emergenza a cui fare fronte è questa: impossibile rimuovere tutta questa fanghiglia («come smaltirla?»), ma occorre fare attenzione anche ad intraprendere lavorazioni leggere del suolo. Federica si confronta al proposito con Marisa Fontana, agronoma libera professionista.

L'azienda di Federica Pratella sommersa dalle acque nel servizio del TG1 subito dopo l'alluvione della Romagna

Da queste parti c’è chi ha già rimesso in funzione gli erpici, a denti o a dischi, ma occorre fare attenzione. La profondità di lavorazione deve infatti essere estremamente ridotta per tutelare il più possibile il capillizio radicale. L'apparato radicale può essere infatti ampiamente compromesso dalla prolungata sommersione e va tutelato il più possibile. «L’ideale sarebbe riuscire a spostare lo strato melmoso di lato, verso il sottofila, per lasciare le radici libere di respirare, ma senza rincalzare troppo per non stimolare l’affrancamento delle viti»).

Nutrizione fogliare

La seconda preoccupazione riguarda l’apparato vegetativo: «I vigneti qui sono un campo sperimentale a cielo aperto: presentano sintomi differenti in base alla durata della sommersione e anche al tipo di portinnesto impiegato».

Apici vegetativi brachizzati, allessamento delle foglie, clorosi o comunque viraggi di colore, filloptosi, aborti fiorali, viticci con le cime rinsecchite come se soffrissero di carenze idriche. Le viti lanciano un campionario di segnali difformi da interpretare. «Per sostenerle dalle presumibili carenze minerali, innanzitutto di ferro e manganese, stiamo procedendo con dei trattamenti a base di alghe e concimi fogliari».

L’impatto sulle prossime annate

Ma purtroppo, come fa notare Federica, l’impatto dell’alluvione sulle colture arboree, a differenza di quanto capita per le erbacee, non è limitata all’anno in corso, ma farà sentire il suo peso anche nei millesimi a venire.

Esperienze in merito sono scarse, ma il ricordo di un anziano tecnico di questa zona è vivo su un’alluvione simile capitata più di 50 anni fa (1972), anche se allora la stagione coincideva con un più razionale autunno. «Per anni le viti hanno manifestato ritardi e asimmetrie nel germogliamento. Anomalie che si trascinavano fino alle vendemmie».

«Allora, però, il drenaggio era ancora effettuato con lunghi fossi e i terreni erano molto più compatti a causa delle lavorazioni: speriamo che le attenzioni destinate alla struttura del suolo negli ultimi decenni producano i loro frutti».

Sottofilari “piastrellati” dall’alluvione - Ultima modifica: 2023-06-07T00:53:53+02:00 da Lorenzo Tosi

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