Filari abbattuti dalla rotta del Sillaro

In prima linea sia nella prima che nella seconda alluvione. I vigneti dell'azienda Gandolfi vicini alla riva destra del Torrente Sillaro hanno subito il forte impatto meccanico che ne ha causato lo sradicamento, mentre il resto degli impianti ha sofferto per la sommersione. Ma in questo caso la maggiore presenza di sabbia e minore di limo nei depositi fangosi lasciati spinge a un minimo di ottimismo per la produttività futura

Un posto in prima fila per osservare l’inizio dell’alluvione.

Un punto di vista “privilegiato” (ma l’ironia è particolarmente amara in questo caso) quello di Marco Gandolfi, titolare dell’omonima società vitivinicola a Spazzate Sassatelli, nell’Imolese.

Prima il fontanazzo, poi il crollo dell’argine

La sua azienda si estende infatti sulla riva destra del torrente Sillaro nel punto in cui, per primo, ha rotto gli argini sia nella notte del 2 maggio che del 16. «La prima inondazione è stata “soft” – dice -, l’acqua infatti è sgorgata da un fontanazzo che si è aperto sull’argine destro, un flusso d’acqua comunque sufficiente per allagare migliaia di chilometri quadrati di pianura intensamente coltivata a seminativi, frutteti e vigneti».

I vigneti dell'azienda Gandolfi abbattuti dalla furia dell'alluvione del 16 maggio

«La notte del 16, invece, è stato uno tsunami: la forza delle acque ha distrutto le opere di consolidamento già effettuate e fatto crollare l’argine per circa 50 metri». «Tutte le acque e il fango che hanno poi invaso la pianura a nord di Imola sono passate dalla mia azienda e da un mese non faccio che spalare ininterrottamente fango».

La massiccia esondazione ha travolto i 13 ettari di vigneti che Gandolfi coltiva in pianura abbattendo numerosi filari e mettendo in forte sofferenza, a causa dell’asfissia radicale, le viti rimaste in piedi (altri 30 ettari di vigneti sono sulle colline di Dozza, tra Imola e Bologna, dove l’azienda ha dovuto fare i conti con i danni delle frane).

Gli istrici c’entrano eccome

Esemplari di istrice

In mezzo a tante polemiche del giorno dopo, e alla caccia grossa a presunti responsabili, Gandolfi ha la “fortuna” di poter raccontare come sono andati i fatti. «Gli ambientalisti sorridono con ironia quando sentono parlare di istrici, ma le loro tane c’entrano eccome».

La pianura romagnola, così come la conosciamo oggi, è infatti il risultato di secoli di esemplari opere idrauliche che hanno regimato le acque per ricavare terra da coltivare e abitare. Un reticolo di canali, sifoni e pompe amministrati dai diversi consorzi di bonifica. E poi ci sono i corsi d’acqua naturali, il cui alveo nel corso della storia idrogeologica di questi luoghi si è spostato continuamente di chilometri, da est a ovest, fino ad essere imbrigliato in arginature pensili che nel caso del Sillaro a Spezzate Sassatelli arrivano a 10-12 metri di altezza.

L’habitat ideale per istrici, tassi, volpi e nutrie. L’istrice in particolare costruisce vaste tane, ricche di cunicoli e dotate di vaste aperture nella parte asciutta della china degli argini che diventano punti di rottura preferenziali quando la portata e la pressione delle acque crescono. «Sono animali abitudinari, percorrono sempre gli stessi itinerari e il sentiero solcato negli erbai di medica che coltivavamo sotto l’argine puntavano proprio verso il punto dove poi si è creato il fontanazzo».

Il ruolo di questi animali è emerso con chiarezza anche nella recente alluvione che ha colpito otto anni fa il modenese con la rottura dell’argine del fiume Secchia e la legge regionale dell’11 febbraio 1992 impone il controllo e contenimento degli animali con abitudini fossorie.

Sillaro “tappato” dai sedimenti

Il crollo dell’argine della notte del 16 maggio ha poi messo in evidenza un ulteriore punto debole del Sillaro. «Il corso d’acqua – racconta Gandolfi – era intasato da metri e metri di sedimenti, come se ci fosse un ulteriore argine “traverso” che deviasse le acque verso la pianura». Il dragaggio e la corretta pulizia dei fiumi sono oggi al centro delle polemiche televisive tra geologi, spesso non pienamente consci dell’andamento pensile dei corsi d’acqua romagnoli. Il fatto è che le enormi quantità di sedimenti presenti nel Sillaro ha impedito alle acque di raggiungere le casse di espansione previste più a nord dall’ultimo Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico dell’intero bacino Reno, ma Gandolfi non si perde in sterili polemiche.

Il ripristino dei vigneti

La sua azienda è in leggera pendenza e questo ha salvaguardato le vigne dalla completa sommersione. «Il fango degli appezzamenti più lontani dagli argini si sta già seccando e stiamo già provvedendo alla sua rimozione e alla pulizia della parte area, dove continuiamo a trovare di tutto. Nei vigneti più occidentali è invece ancora presto per immaginare qualsiasi intervento di ripristino».

Un ulteriore elemento in favore di Marco è l’aspetto di questa fanghiglia: più scura e “globosa” rispetto ai sedimenti lasciati dal fiume più a est (leggi il reportage sull’azienda di Federica Pratella). In questo caso la maggiore presenza di sabbia, e quindi la minore incidenza di asfissia radicale, spinge all’ottimismo rispetto all’impatto dell’alluvione sulla futura produttività dei vigneti rimasti in piedi.

 

Filari abbattuti dalla rotta del Sillaro - Ultima modifica: 2023-06-06T08:44:15+02:00 da Lorenzo Tosi

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