Nel mondo del vino, quello del Friuli Venezia Giulia compreso, la competizione tra aziende è sempre molto elevata.
La “Rete d’impresa Pinot bianco nel Collio”, ha scelto la strada opposta: quella della collaborazione tra imprese di prossimità con l’obiettivo dichiarato di lavorare per valorizzare un tratto distintivo della produzione di eccellenza dal Friuli VG, ovvero la capacità di un vitigno internazionale come il Pinot bianco di esprimere al meglio le peculiarità di una terra unica come il Collio.
E gli snodi di questa “Rete” mettono insieme sette nomi storici e di primo piano del vino friulano come: Castello di Spessa, Livon, Russiz Superiore, Schiopetto, Toros, Venica & Venica e Pascolo, attive in 4 Comuni diversi (la metà di quelli che compongono il Collio), con una produzione che equivale al 2% dell’intera Doc (raccolta su 16 ettari di vigna dedicata, il 30% circa di tutto il Pinot bianco del Collio).
I numeri della qualità
Il Collio è una terra - un’area collinare divisa tra Italia e Slovenia, con la parte italiana occupata da 1.500 ettari di vigneti - dove, anche se il Pinot grigio rappresenta la superficie dominante con il 30% della produzione, il Pinot bianco, che oggi è inferiore al 10% (per un volume intorno alle 76.000 bottiglie), ha una sua espressione precisa di estrema qualità. La “Rete” è un progetto innovativo promosso da cantine che credono in questo vitigno come simbolo di una produzione d’eccellenza, in una regione nota nel mondo proprio per i suoi grandi vini bianchi. Uno degli obiettivi della “Rete” è esaltare le peculiarità del territorio. Per questo i retisti si considerano “sentinelle” del Collio, impegnate nell’intento di preservare il Pinot bianco e lanciarlo nel firmamento dei vitigni a bacca bianca più conosciuti e apprezzati.
Vino finissimo e senza rivali
L’arrivo delle prime barbatelle di Pinot bianco nel Collio Goriziano (che, allora, era Friuli Austriaco) si deve al conte Teodoro de La Tour, di Capriva del Friuli, attorno al 1860. Già nel 1884, l’allora direttore dell’Istituto Chimico-Agrario di Gorizia, Giovanni Bolle, lo inserisce in un elenco di “vini fini” meritevoli di essere diffusi nel territorio. Nel 1891, il IV Congresso enologico austriaco ne consiglia la coltivazione e lo definisce un vino finissimo e senza rivali (all’infuori del Sauvignon…).
Dopo le distruzioni del primo conflitto mondiale, la Stazione sperimentale di Conegliano, tra gli altri, consiglia ai viticoltori l’impianto del Pinot bianco.
Nel 1930, l’agronomo e ampelografo Guido Poggi, scrive che tra i tre Pinot, il bianco supera tutti se coltivato in collina: “Fa onore alla enologia friulana ed è capace di dare dei prodotti da invecchiamento di assoluta superiorità, degni di figurare sulle migliori tavole e tali da gareggiare con i tipi francesi”.
Dunque, il Pinot bianco, è ormai un vitigno storico, nel Collio. Di più: l’”anima nobile del Collio”, lo definisce la “Rete”. Da oltre 160 anni ha preso fissa dimora nel territorio friulano, trovando le condizioni climatiche ottimali per esaltare tutte le sue qualità, con discrezione. Di difficile gestione, ama le zone fresche, necessita di una buona esposizione e richiede molta cura. Un vitigno delicato, tra i filari, ma anche nel calice: il vino Pinot bianco conquista con la sua finezza e si può considerare tra i vini bianchi più eleganti al mondo.
Un terreno ideale
Secondo i produttori della “Rete”: “Il Pinot bianco è un vino da condivisione, un vino intimo che unisce le persone e crea nuovi legami. Il grappolo stesso nasce chiuso a pugno, compatto, gli acini si stringono vicini per proteggersi dall’esterno. Come una famiglia, in cui ognuno si sostiene a vicenda. Così anche le sette aziende del “Pinot bianco nel Collio”, hanno scelto di unire gli intenti ed ergersi a protezione del proprio territorio, creando un progetto comune che possa innalzare il valore non solo del Pinot bianco, che qui trova un terreno ideale per generare vini di struttura, longevi e apprezzati ovunque, ma anche di tutte le famiglie che lo vivono ogni giorno”.
A proposito di terreno del Collio, si deve sottolineare la sua composizione, da sempre favorevole alla crescita della vite del Pinot bianco (il Poggi, nel 1891, scriveva che qui è “adattissimo e ferace” – fecondo -). Parliamo delle marne eoceniche (dette ponca) che, con il pH alcalino, danno luogo alla formazione di carbonato di calcio il quale determina le caratteristiche aromatiche dell’uva e la sapidità del vino. Alle quali devono essere aggiunte le favorevoli condizioni climatiche e le sapienti cure, sempre più indirizzate alla sostenibilità come indicato dall’Agenda 2030, degli abili vignaioli della “Rete”.