L’11 luglio 1891 nasce a Padergnone (TN) Rebo Rigotti, primo di cinque figli di Pietro Rigotti, agricoltore in Valle dei Laghi e rinomato produttore di Vino Santo, e Antonia Marzani, di origini nobiliari e proveniente da Salerno.
Affascinato dalla professione del padre, frequenta l'Istituto Agrario di San Michele e qui si diploma, cosa che gli consente poi di lavorare presso alcune aziende vitivinicole trentine e di ricoprire importanti ruoli presso organi operanti nel settore agricolo provinciale.
La sua vita professionale ha una svolta nel 1936, quando vince un concorso ministeriale in seguito al quale viene assunto a tempo indeterminato come sperimentatore presso la Stazione Sperimentale di San Michele. Ma, come ci racconta Andrea Morelli, suo compaesano e giovane diplomato in enologia all’Istituto Agrario di San Michele, «questo lo portò a lavorare in condizioni precarie, alle quali dovette fare fronte in assenza di attrezzature adeguate. Gli venne affidato anche l'incarico di procurarsi gli strumenti necessari per completare i lavori di ricerca che gli venivano commissionati, e per quasi vent'anni fu l'unico sperimentatore in servizio affiancato da semplici apprendisti».
Abbiamo ricostruito la vita e le opere di Rebo Rigotti in una chiacchierata con Andrea Morelli e Marco Pisoni, produttore di Vino Santo Trentino.
Le ricerche in viticoltura
Andrea, in quali comparti condusse le proprie ricerche Rebo Rigotti?
«Principalmente nel miglioramento genetico delle colture agrarie presenti in Trentino e nella sperimentazione di nuove colture provenienti dall’estero sul nostro territorio. In particolare egli cercò, attraverso la tecnica dell’incrocio, di ottenere nuove varietà che migliorate sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Molti anni furono dedicati alla ricerca di varietà di patata adattabili al clima trentino e resistenti alle virosi, anche se gli enormi sforzi compiuti nell'ambito delle colture erbacee (tra cui anche il grano) non portarono i risultati sperati. I più importanti progressi si ottennero, invece, per le colture arboree (melo, pesco, albicocco), in modo particolare per la vite. Molto importante fu l’incrocio tra Merlot e Teroldego eseguito nel 1948, che portò allo sviluppo di una nuova varietà, il Rebo, coltivato in origine solo in Trentino, ma che successivamente si è diffuso in altre regioni italiane - grazie alle sue caratteristiche qualitative che lo rendono un’ottima varietà da taglio, capace di conferire elementi pregiati ai vini rossi italiani - ma anche all’estero».
Dove per esempio?
«Oggi lo si trova coltivato in Europa dell’Est. Qui la ricerca di nuove varietà dall’alta validità enologica e la scarsità di vitigni autoctoni hanno permesso l’impianto di diversi ettari di Rebo, anche grazie all’opera di comunicazione e commercializzazione dei vivaisti italiani. Su tutte, una cantina russa affacciata sul Mar Nero produce un Rebo in purezza passato alla storia per essere stato servito durante la cena tra Putin e Macron, prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Il team agronomico ed enologico di questa tenuta ha una forte componente italiana. E infatti possiamo affermare che il Rebo sia presente in molti Paesi del mondo perché introdotto da esperti del settore italiani, che ne conoscono le enormi potenzialità. Lo troviamo anche nella regione del Rio Grande do Sul, in Brasile, dove una grande fetta di popolazione è discendente di immigrati trentini. Qui il Rebo è molto coltivato e apprezzato in quanto capace di resistere alle muffe in ambienti così umidi, nonché per la sua rusticità».
Il Rebo è l’unica varietà da incrocio ottenuta da Rigotti?
«No, certo. Ricordiamo anche il Goldtraminer, il Sennen (in onore dell'omonimo fratello di Rebo, che tanto si impegnò in campo per rendere possibili gli esperimenti condotti dal genetista) e il Gosen (collaboratore di Rebo negli ultimi anni di lavoro prima del pensionamento). Il Goldtraminer risulta interessante per la sua capacità di resistere ai marciumi, caratteristica che rende questa varietà ottima per la produzione di vini da vendemmie tardive molto aromatici, tanto da riuscire a superare l'aromaticità del pregiatissimo genitore Traminer. Il Sennen produce un grappolo dalle caratteristiche morfologiche particolari, ovvero lungo, spargolo e alato, che rendono questa varietà adatta all'appassimento sui graticci (o arèle) per l'ottenimento di vini rossi alcolici e molto strutturati. Il Gosen, invece, è poco coltivato e si presta all'aggiunta in assemblaggi in stile bordolese».
Scrittore e inventore
Rigotti lasciò anche importanti documenti scritti.
«A lui si deve la “Carta Viticola del Trentino”. Commissionatagli dal Comitato vitivinicolo nel 1950, aveva come obiettivo quello di fotografare la realtà viticola del Trentino e di estrapolarne i dati necessari per far partir una conversione varietale, con il fine ultimo di aumentare la qualità dei vini. E inoltre, è del 1933 il suo “Manuale di Agraria per la Cultura Popolare” redatto in due edizioni e che rappresentava una guida teorico-pratica per l'insegnamento di tale materia».
E fu anche inventore.
«Esatto, fu costretto a inventarsi i macchinari necessari a condurre le proprie sperimentazioni. Tra gli altri, uno strumento per le ricerche di nuove varietà di uva da tavola, sempre mediante la tecnica dell'incrocio. La caratteristica fondamentale di cui dovevano essere dotate le uve perché fossero ritenute “interessanti”, e quindi soggette a ulteriori prove, era quella di essere in grado di sopperire alle problematiche relative al trasporto e alla conservazione. Tale apparecchio venne chiamato “resistenziometro”, in quanto misurava la resistenza allo schiacciamento e al distaccamento dell'acino dal pedicello. Questo apparecchio venne premiato con la medaglia d'oro alla Terza Mostra delle uve da tavola di Piacenza, a dimostrazione di quanto fosse valida questa procedura per l'intero settore».
Le sperimentazioni sulla muffa nobile
Marco, Rebo Rigotti diede anche un impulso importante alla produzione di Vino Santo. Come?
«Si trattò di una sperimentazione molto importante soprattutto per la Valle dei Laghi, famosa per la produzione del Vino Santo, ovvero lo studio dei ceppi fungini che si sviluppano durante l'appassimento sulle uve Nosiola. Per questo motivo vennero messe in appassimento uve Nosiola trattate con Botrytis cinerea, uve Nosiola trattate con Penicillium (fungo concorrente della Botrytis) e uve Nosiola non trattate. Dalle ripetute osservazioni svolte nel corso dell'appassimento, venne riscontrato un enorme sviluppo del fungo Penicillium a danno della Botrytis, probabilmente a causa dell'ambiente scuro in cui avveniva l'appassimento, che favorisce lo sviluppo del fungo. Da questo studio emerse l'esigenza di creare le condizioni affinché le uve arrivino all'appassimento con il più grande numero di acini infavati da Botrytis cinerea, rendendo ipotizzabile un insemenzamento di conidi di Botrytis sulle uve prossime alla vendemmia».
Sappiamo che fu un personaggio molto eclettico. A quali altre attività si dedicò?
«Tra il 1930 e il 1949 tenne molte conferenze agrarie su incarico della Cattedra provinciale d'Agricoltura, lezioni di economia domestica e corsi di agraria per insegnanti delle scuole elementari, ma anche ai carcerati. Il prof. Rigotti si interessò molto anche all'apicoltura nel suo tempo libero, e si dispiaceva quando trovava api morte a causa dell'eccessivo utilizzo dei prodotti fitosanitari in ambito agricolo. Un altro merito che non gli viene riconosciuto ma grazie dal quale la frutticoltura trentina ha tratto grande giovamento fu quello di scrivere per la prima volta della varietà di mela Golden con possibile capacità di adattamento per il nostro ambiente. La descrizione della varietà e la storia che portò alla sua scoperta in America vennero riportate nell'edizione dell'Almanacco Agrario del 1934, sotto il titolo di “Frutte nuove”. Di certo non si possono attribuire al prof. Rigotti tutti i meriti per aver introdotto la Golden in Trentino, facendola diventare la mela più qualitativa e famosa sul mercato nazionale, ma egli diede un grande contributo».
Un uomo determinato e rivoluzionario
«In conclusione - afferma Andrea Morelli - non si può che apprezzare questo uomo che, tra tutte le difficoltà che ha incontrato, ha cercato ininterrottamente di perseguire in maniera convinta un miglioramento radicale del comparto agricolo trentino, che aveva bisogno di un rinnovamento importante per competere a livello nazionale ed europeo, vista l’ormai prossima entrata in vigore del Mercato Comune Europeo. Ancora oggi è una figura a molti sconosciuta, purtroppo, ma che merita come tanti altri personaggi il rispetto e l'ammirazione per i risultati raggiunti, soprattutto per l'impegno che mise nell'“educare” contadini e famiglie, diffondendo le conoscenze agrarie. Per questo il paese di Padergnone è e sarà sempre fiero di avere “cresciuto” un uomo così determinato e rivoluzionario, rimasto sempre affezionato al luogo di provenienza, anche quando per lavoro dovette trasferirsi stabilmente a Trento”.