Per fare il vino ci vuole l’acqua.
O meglio, ci vuole la giusta quantità d’acqua e magari disponibile in vigneto nei periodi giusti. Un’esigenza che con il climate change sta diventando un’utopia.
Anche nel corso di un’annata caratterizzata dall’estrema piovosità primaverile come il 2023, la vite ha comunque accusato periodi di forte stress idrico nei mesi di marzo e aprile e addirittura a inizio ottobre.
Altalena tra siccità e alluvione
L’osservatorio europeo sulla siccità (Edo, European drought observatory) ha infatti registrato nella prima decade di ottobre condizioni di allerta per le colture sul 35,6% del territorio del vecchio continente (compresa l’Islanda!), con allarmi gravi sull’1% della superficie. Un’allerta in un periodo in cui di solito si trascurano le esigenze irrigue delle colture (della vite di sicuro) e che ha riguardato pressoché l’intera penisola italiana, con alcuni punti da allarme rosso in Puglia e Sicilia.
Dati riportati da Irene Diti, dell’Università di Piacenza, nel corso del convegno “Verso una viticoltura sostenibile con meno acqua”, organizzato lo scorso 9 novembre al Rive di Pordenone dal comitato scientifico della rassegna internazionale di viticoltura ed enologia con la moderazione di Lorenzo Tosi.
Poi, neanche un mese dopo, sono tornate le alluvioni, con il loro carico di allagamenti, frane, dissesto idrogeologico e di morti, questa volta nel versante meridionale dell’appennino tosco-emiliano. Un’altalena climatica che mette in evidenza il ruolo dell’uomo e la necessità di un’accorta gestione dell’acqua irrigua e del rischio idraulico anche nel vigneto.
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«I suoli – rileva Giuseppe Corti, Direttore del Crea Agricoltura e Ambiente – sono diventati più chiari anche nei vigneti per la forte diminuzione della sostanza organica». Nei suoli destrutturati le particelle sono infatti preda dell’energia cinetica dell’acqua, che dipende dalla pendenza e dal coefficiente di penetrazione.
Se i suoli diventano chiari
Colpa dell’eccessivo ricorso alle lavorazioni profonde e ai fertilizzanti azotati nell’ultimo mezzo secolo. Ma anche a una gestione agronomica non accorta, ad esempio negli inerbimenti dell’interfila. «L’aumento dell’erosione dei suoli – continua Corti – è legato a questa imperizia tecnica e poi esasperato dal climate change».
Un effetto che nei vigneti è evidenziato dalla formazione di “scalini” tra fila e interfila. «In pochi decenni – denuncia Corti - abbiamo perso il 35% della ritenzione idrica a livello nazionale. Questo significa che i suoli trattengono il 35% di acqua in meno, amplificando i problemi di allagamenti a valle quando si registrano eccessi pluviometrici e quelli legati agli stress idrici e termici delle colture nei periodi siccitosi.
Vitigni assetati e meno
Tanto che la gestione dell’irrigazione del vigneto, un tempo considerata non necessaria, è diventata invece centrale per assicurare la qualità delle produzioni vinicole. «Nel corso degli anni – spiega Giovanni Battista Tornielli, dell’Università di Verona – il fabbisogno idrico del vigneto è stato stimato in maniera molto differente da diversi lavori scientifici ».
Si va dai circa 8 litri per pianta al giorno (Yunusa et al, 1997) a oltre 60 (Williams e Ayars, 2005). Una variabilità che dipende dalle tecniche colturali e dalla genetica. «Le varietà si distinguono infatti per la loro rapidità di reazione, ovvero di chiusura degli stomi in situazioni di stress, in isoidriche come Montepulciano, Tocai, Cabernet sauvignon e anisoidriche come Sangiovese, Chardonnay, Nebbiolo, Glera ecc».
In media comunque si può considerare che un ettaro di vigneto consumi circa 400 mm di acqua per stagione (ovvero 4mila metri cubi: una bolletta salata in caso di mancanza di precipitazioni).
Gli accorgimenti per contenere questo elevato consumo e per mitigare lo stress idrico sono:
- limitare l’espansione delle chiome (che però vuol dire anche limitare le rese);
- ridurre le densità di impianto;
- aumentare (come detto) la capacità di ritenzione idrica del suolo;
- gestire l’inerbimento;
- applicare induttori di resistenza e biostimolanti;
- gestire l’irrigazione e lo stress con tecnologie avanzate;
- fare affidamento su altre varietà e soprattutto su nuovi portinnesti.
I nuovi portinnesti
Un settore, quest’ultimo, che vive una fase di forte innovazione dopo decenni di immobilismo. «I nuovi portinnesti della serie M – testimonia Eugenio Sartori dei Vivai Cooperativi Rauscedo -, messi a punto dall’Università di Milano, possono dare una risposta alle nuove esigenze della viticoltura». Un assunto che vale in particolare riguardo alla gestione del deficit idrico, salinità e calcare attivo elevato, terreni poveri in nutrienti, la necessità di contribuire allo sviluppo di modelli vitivinicoli sostenibili nell’ottica di un corretto utilizzo delle pratiche di irrigazione e concimazione.
I viticoltori sono affezionati alle vecchie combinazioni d’innesto (una scelta poco accorta soprattutto in caso di ristoppio), ma l’efficacia della risposta al cambiamento climatico dimostrata in particolare da M2 e M4 ne sta facendo crescere la domanda e quindi la disponibilità di barbatelle innestate (oltre 1,4 milioni nel 2023, + 320% in due anni).
Un filone di ricerca che Vcr sta alimentando con 424 semenzali ottenuti da diverse combinazioni di incrocio già selezionati in ambiente controllato e messi a dimora quest’anno in campi con diversa pressione riguardo a nematodi, calcare, siccità, salinità, ecc per individuare i portinnesti per la viticoltura resiliente del futuro.
Una resilienza ricercata anche attraverso corretti approcci nella gestione del suolo e della chioma dal progetto Drive Life coordinato dall’Università Cattolica di Piacenza nell’area dei Colli Piacentini e dell’Oltrepò Pavese. «Le pratiche conservative tradizionali di gestione del suolo - commenta Irene Diti – come la lavorazione del suolo, l’inerbimento spontaneo e anche l’inerbimento spontaneo a filari alterni possono infatti accentuare gli stress multipli estivi in vigneto».
Tecniche conservative da aggiornare
Per questo Drive Life ha testato tecniche “resilienti” alternative come il sovescio, la rullatura, la trincia-andanatura e gli inerbimenti artificiali con miscugli a diverso rapporto C/N (da quelli a maggiore biomassa, ad altri con maggiore presenza di leguminose per l’azotofissazione). Tecniche innovative che hanno permesso alla vite di utilizzare meglio le risorse idriche nei momenti di stress. «È quanto accaduto nel 2022 e nel 2023 – ricorda Diti- quando la pacciamatura sottofila ha portato a significativi risparmi d'acqua, mantenendo livelli di potenziale fogliare più positivi, con buoni livelli di fotosintesi e traspirazione nelle fasi critiche della stagione».
Merito anche della capacità dimostrata dai suoli sottoposti a queste tecniche di ridurre le perdite di acqua nei periodi più caldi e secchi. Un vantaggio in termini di sostenibilità che si è coniugato anche a vantaggi qualitativi, visti i maggiori livelli di acidità delle uve di Mlvasia di Candia dei filari sottoposti a questa gestione innovativa.
Per quanto riguarda la chioma invece, è stato l’uso del caolino ad assicurare una maggiore resilienza alla siccità. «Oltre a mantenere una temperatura della chioma più bassa, il caolino ha consentito infatti di mantenere una performance fotosintetica e una conduttanza stomatica costantemente superiori rispetto al controllo non trattato».
Impianti ad elevate performance
Una gestione agronomica che ormai deve giocoforza contare anche sull’irrigazione e sul ricorso ad un’impiantistica irrigua in grado di garantire alte performance e in perfetto equilibrio tra tecnologia e sostenibilità. «Oggi la vite – dice Marco Sozzi dell’ Università di Padova - è una delle colture dove l’irrigazione è meno diffusa (solo l’8 delle superfici a livello mondiale, contro il 20% delle estensive), ma per quanto riguarda il nostro Paese la tecnica di gran lunga più diffusa è quella della microirrigazione (60%)».
Un dato che testimonia la propensione dei viticoltori ad irrigare con saggezza, con buone pratiche agricole che fanno leva su:
- stime dei fabbisogni idrici (in base a varietà, clima e suolo);
- corretta progettazione degli impianti/attrezzature;
- scelta dei momenti di intervento irriguo attraverso strumenti “smart” come sensori, dss, bilancio idrico, ecc.
- continua manutenzione e controllo degli impianti;
- realizzazione di invasi individuali o interaziendali;
- e magari recupero delle acque piovane e utilizzo dei reflui.
Il livello tecnologico degli irrigatori (statici, dinamici, gocciolatori) e degli erogatori (autocompensanti) impiegati assicura maggiore uniformità di distribuzione soprattutto nelle ali gocciolanti fuori suolo. «Le irrigazioni - raccomanda Sozzi - devono essere programmate e gestite a seconda delle esigenze, meglio se attraverso il monitoraggio del potenziale idrico, evitando inutili sprechi che porterebbero a sovra-adacquamenti e deflusso superficiale».
Come gestire il deficit idrico controllato
La pianificazione dell’irrigazione del vigneto è più complicata rispetto a quella delle altre colture. Occorre infatti trovare un punto di equilibrio tra il fabbisogno idrico della vite e il raggiungimento di un target adeguato rispetto alla qualità aromatica delle uve.
«Un obiettivo – spiega Paolo Sivilotti dell’Università di Udine - che si realizza pianificando un’irrigazione in deficit». Prove specifiche sono state compiute in Friuli nell’ambito del progetto di ricerca Interreg Aquavitis mettendo a confronto tesi con deficit idrico severo, moderato e irrigazione piena. Una strategia, quella di irrigare in deficit, che consente di risparmiare l’acqua in vigneto, con un’inevitabile riduzione produttiva (che può consentire di entrare nei limiti fissati dai disciplinari per le produzioni doc), migliorando però la qualità dei vini prodotti.
La riduzione dell’irrigazione (dal 50 al 20% dell’Etc nelle due tesi a deficit) ha infatti determinato la riduzione del peso (acini da 2,26 a 1,86 g, grappoli da 164 a 145 g) e un aumento degli antociani nelle bucce, mentre la concentrazione delle proantocianidine (una classe di polifenoli presenti nei vinaccioli e anche nelle bucce) apparentemente non è cambiata, ma si è modificata la loro struttura, con una maggiore percentuale di galloillazione nella tesi con stress idrico estremo. Una caratteristica che incide sulla percezione di astringenza dei vini e che quindi può essere positiva o negativa a seconda delle varietà coltivate (da limitare nel caso di vitigni naturalmente ricchi di tannini, da ricercare nel caso contrario).
«Impostare situazioni di deficit idrico moderato – mette in guardia Sivilotti – significa lavorare sulla lama del rasoio: occorre estrema precisione, calcolando le necessità irrigue sulla base di un bilancio idrico e conoscendo in anticipo l’acqua disponibile del suolo (in base alla tessitura) e il livello di evapotraspirazione in base al potenziale idrico pre-dawn». Informazioni che possono essere fornite da Un Dss come Vintel, calibrato alle condizioni operative del Friuli Venezia Giulia e della Slovenia nell’ambito del progetto Aquavitis.
I bandi della nuova Pac
La nuova Pac ha messo in campo sostanziali novità anche sul fronte dell’irrigazione. Sonia Venerus, Responsabile della programmazione Pac 2023-2027 del Friuli Venezia Giulia spiega al Rive di Pordenone che nel Csr (complemento allo sviluppo rurale) della Regione autonoma ci sono preziosi stanziamenti nella misura Srd01 (investimenti produttivi per la competitività delle aziende) e nella misura Srd02 (investimenti per clima, ambiente e benessere animale).
Rispettivamente si tratta di 42,7 milioni di euro destinati al sostegno a nuovi impianti irrigui e 4, per l’ampliamento di quelli già esistenti. Il bando è ormai prossimo all’uscita e Venerus ha spiegato che i criteri di selezione sono stati fissati in base alla coltura, alla zona produttiva ma anche al grado di efficienza degli impianti di irrigazione progettati.
Per info: https://europa.regione.fvg.it/
La triplice azione del Consorzio
Valter Colussi, Presidente del Consorzio Cellina Meduna (ANBI), descrive al Rive di Pordenone gli interventi messi in campo a sostegno degli agricoltori e per valorizzare la risorsa acqua. «Stiamo procedendo al potenziamento delle infrastrutture, in particolare riguardo agli invasi, con la presenza di serbatoi potenziali da 30mln di m3 sul torrente Cellina e 40 mln di m3 sul torrente Meduna».
«Puntiamo ad un miglioramento dell’impiantistica, con un’evoluzione verso micro e subirrigazione e sistemi a bassa pressione con risparmio energetico». «Per favorire al gestione smart della risorsa idrica lavoriamo alla messa a punto di un gestionale per fornire l’acqua in maniera mirata e capillare attraverso impianti di irrigazione di precisione».