Vitigni autoctoni o internazionali? «Tutti e due». Rossi o bianchi? «Entrambi». Vigneti di pianura o di collina? «Idem come sopra». La tradizione delle doc o l’originalità di creazioni non vincolate da disciplinari? «Anche in questo caso la risposta è doppia». E riguardo al metodo di produzione? «Esclusivamente biologico, certificato e applicato in maniera rigorosa sui 25 ettari di vigneti aziendali e in cantina».
Un mantra che è l’unica regola inderogabile per l’eclettico Augusto Zuffa, titolare delle omonime Cantine, e che rappresenta l’eredità più preziosa lasciata dalla sensibilità ecologica del padre Marino, vitivinicoltore attento all’ambiente, alla salute e alla biodiversità del vigneto da ben prima che l’agricoltura biologica fosse definita per legge.
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Far ripartire la Romagna
Benvenuti a Imola, porta d’ingresso della Romagna, una terra dove l’inclinazione per l’originalità genera un multiverso di interpretazioni enologiche, schiacciate però da un’ambiguità tra qualità e resa, tra produzioni di massa e selezioni per intenditori, che ha creato non pochi problemi di identità fino al recente passato.
Ma è proprio dall’esperienza di Zuffa che questo territorio, martoriato dalle recenti pesanti alluvioni, smottamenti, grandinate a tappeto, crisi inflattiva e diffuse fitopatie, può trovare lo spunto per ripartire.
La fiducia incondizionata e contagiosa nel biologico è infatti il jolly che ha permesso ad Augusto di conquistare carati di nobiltà, affrancandosi dalla mancanza di un riconosciuto blasone territoriale. Arrivando a rappresentare l’Italia all’Expo 2015 di Milano e all’Organic Lifestyle di Bruxelles del 2016 (con il Vinea Zuffa Expo 2015, blend di 10 cloni di Sangiovese invecchiato 30 mesi in caratelli di rovere francese), a essere premiato come migliore rappresentante della tradizione italiana all’Expo di Shangai.
A guadagnarsi una forte vocazione internazionale risultando tra i primi a esportare vino in Cina, a sedurre il mercato americano e giapponese grazie anche alle certificazioni Nop e Jas di Suolo e Salute, a garantire una presenza costante a manifestazioni come il Fancy Food di New York o all’ExpoVinis di San Paolo in Brasile.
Attrazione per l’innovazione
Merito anche della forte attenzione per l’espressione aromatica varietale che conferisce a tutta la gamma dei vini di Cantine Zuffa una caratteristica impronta stilistica.
«Utilizziamo in cantina – spiega Augusto, che oltre ad essere il titolare è anche il winemaker - diverse tecnologie innovative, alcune delle quali brevettate, per ottenere vini profumati ed eleganti senza dover impiegare additivi e solfiti». In alcuni casi Cantine Zuffa ha contribuito direttamente alla loro messa a punto:
- pressatura soffice sotto vuoto, che evita qualsiasi contatto fra aria e pigiato con un sistema brevettato di riutilizzo di gas inerti come CO2 prodotta in cantina;
- fermentazione in assenza di ossigeno, grazie alla saturazione con gas inerti come azoto e CO2, e senza solfiti aggiunti, sostituiti da antiossidanti naturali, come le proantocianidine estratte dai vinaccioli e i tannini ellagici estratti dalle bucce di uva e dalle galle di quercia;
- criomacerazione delle uve intere, per aumentare l’estrazione degli aromi delle bucce, ma non degli enzimi, assicurando maggiore stabilità alle ossidazioni;
- presa di spuma diretta in autoclave, per esaltare l’espressione varietale anche nelle bollicine.
Un’attrazione per la tecnologia che, ai fanatici della naturalità, può sembrare eccessiva, ma che invece è da collegare direttamente alla forte attenzione alla biodiversità che caratterizza ogni attività di questa cantina.
Un’esplosione di vita
Pavoni, conigli bianchi che gironzolano liberi davanti all’enoteca, un prato polifita per i pranzi all’aperto, un “giardin vigneto” con tutte le varietà coltivate da Zuffa allevate ad alberello: l’esuberante moltitudine di esseri viventi ospitati da questa azienda accoglie infatti gli ospiti fin dall’ingresso nell’agriturismo.
In vigneto l’inerbimento spontaneo è una prassi ante-litteram introdotta fin dagli anni ’80 da babbo Marino, quando la volontà di preservare la salute e la ricchezza microbiologica del suolo, anche a costo di perdere in resa, suscitava ancora l’ilarità dei vicini.
Negli impianti allestiti vicino alla sede aziendale, a nord dell’asse della via Emilia e nelle vigne vecchie collinari, a 208 metri slm, trovano spazio Pinot nero, Chardonnay, Pignoletto, Albana, numerosi cloni di Sangiovese, Barbera, Cabernet sauvignon, ecc. Sia per garantire la razionale gestione della manodopera in vendemmia, dalle precoci basi spumante alle surmaturazioni tardive dei rossi, ma anche per assicurare un’ampiezza di gamma che soddisfi la continua voglia di sperimentare di Augusto.
«Il biologico – esclama - richiede alta professionalità e una cura continua del vigneto». L’attenta gestione della (ridotta) fertilità dei suoli franco argillosi, le potature tardive, l’irrigazione a goccia, il diradamento dei grappoli, la gestione dell’inerbimento, la raccolta manuale e la selezione delle uve mirano a preservare la ricchezza aromatica delle uve. Perché la biodiversità del vigneto si deve rispecchiare, secondo Zuffa, nella ricchezza dei profumi del vino che produce.
La tipicità nei bianchi
Preservati dall’attento controllo delle temperature in cantina (è l’energia prodotta in proprio con i pannelli fotovoltaici a far quadrare poi i conti per la carbon footprint aziendale) e da una predisposizione per la vinificazione in riduzione che è il segreto di Zuffa per far emergere un’impronta di tipicità anche nei bianchi internazionali. E persino una variabilità legata all’effetto annata. Così Il Pignoletto “Pino Lieto” del 2021 che degustiamo arriva a esprimere una complessità aromatica fruttato- erbacea di fiori di campo con intense note di salvia mentre lo Chardonnay “Emozione” Colli d’Imola Doc, dello stesso anno, presenta fresche note di frutti bianchi ma si differenzia dalle annate precedenti per l’intensa mineralità, quasi ematica, preservata dalla “catena del freddo” garantita con cura dal vigneto alla cantina e legata all’effetto dell’estrazione selettiva della criomacerazione delle uve intere.
L’attenzione alla preservazione del vino dalle ossidazioni diventa ancora più evidente nella degustazione dell’Historia Dry Rosè Gran Cru, un best seller che Zuffa presenta con orgoglio. Nei rosati questo aspetto è infatti centrale, vista la necessità di estrarre polifenoli, che possono risultare poi instabili, per donare il colore (che nel caso in questione è una buccia di cipolla tenue). Gli aromi primari di questo uvaggio di Pinot nero e Barbera sono però intatti, floreali e fruttati di pompelmo rosa, rosa canina, fragola di bosco e ribes. Effetto dell’attento assemblaggio tra la frazione di mosto non macerata e una con leggera macerazione e poi dalla protezione assicurata dalla permanenza sui lieviti nell’unica fermentazione in presa di spuma diretta in autoclave, una strada alternativa alle rifermentazioni dei Metodo Classico e Martinotti.
Rossi personalizzati
È però nei rossi che si apprezza maggiormente lo stile enologico di Zuffa. “Per mamma” è infatti un Cabernet sauvignon riserva, da uve leggermente surmature che abbina ciliegie sotto spirito e tabacco. Creato sullo stampo del ricordo delle preferenze gustative della madre di Augusto.
L’AleAugust Cru è invece un Sangiovese atipico che nasce per rispondere a una precisa sfida enogastronomica lanciata dallo Chef Alessandro Marchionni (l’etichetta è una crasi tra i nomi di battesimo dei due amici inventori), che voleva un rosso morbido e piacevole, con un preciso bouquet di «foglie di tabacco cubano, pepe rosa e fiori rossi» da abbinare ai propri piatti. Un risultato centrato in sette anni di prove, grazie all’attento dosaggio dei diversi cloni di Sangiovese, delle vinificazioni in acciaio ma anche nelle vasche in cemento riscoperte per l’occasione, nei calibrati affinamenti in carati di rovere. Un esperimento riuscito, visto che l’AleAugust è oggi il vino di Cantine Zuffa più esportato in Nord Europa, Usa, Cina ed Australia.
Vini personalizzati che sembrano ribaltare, per i rossi, lo schema seguito da Augusto per i bianchi, ma che dimostrano invece che i grandi vini non si fanno in vigneto, non si elaborano in cantina.
Nascono invece, molto prima, nella testa dei grandi winemaker.
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La resilienza del bio
Prima l’alluvione, poi la peronospora, infine le pesanti grandinate. Per la viticoltura romagnola il 2023 sarà ricordato come un annus horribilis. «Le perdite nei nostri vigneti – conferma Zuffa,– vanno dal 30 all’80%». A pesare però non è il metodo di produzione: «certo, siamo dovuti intervenire molte volte, ma non abbiamo superato i limiti dei dosaggi del rame, anche perché il vigneto gestito in biologico dimostra nel tempo maggiori doti di resilienza». A tagliare le rese è stata invece la difficoltà ad assicurare la necessaria tempestività per effettuare i trattamenti soprattutto nei vigneti di collina, il cui accesso era impedito da frane e smottamenti. Le preoccupazioni economiche di Zuffa sono però legate anche ad altri fattori, come il boom dei costi delle spedizioni all’estero. L’attenzione per la qualità aromatica spinge infatti Augusto ad evitare il trasporto via mare. «Il costo applicato– spiega Zuffa – dagli spedizionieri per gli Usa via aereo è però quadruplicato durante il periodo del lockdown, passando da 3,77 € a bottiglia a oltre 16». «Oggi ci siamo stabilizzati attorno a 12 €». Un sovrapprezzo che incide notevolmente per una cantina con una forte vocazione internazionale.