Apetta ronzante contro fogliolina verde, scatta il derby dei protocolli green sulle etichette di vino italiane.
Confronto-scontro
La definitiva messa a punto del disciplinare del sistema di certificazione della sostenibilità della filiera vitivinicola (v. articolo sul n 4/2022 di VVQ) chiude infatti il cerchio – o quasi - dell’integrazione dei diversi standard italiani arrivando a una piena e condivisa definizione nazionale di vino sostenibile. La prossima vendemmia del millesimo 2022 terrà quindi a battesimo la prima annata che si potrà fregiare del logo Sqnpi, quello dell’ape della “Qualità sostenibile” che si confronterà (o scontrerà?) con quello della foglia verde dell’agricoltura biologica certificata, condividendo lo stesso segmento di mercato.
Editoriale di VVQ 4/2022
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Cos'è il vino sostenibile?
Da una recente survey di Nomisma-Wine Monitor presentata all’ultimo Vinitaly emerge infatti che per i consumatori italiani un vino è sostenibile quando:
- è prodotto nel rispetto dell’ambiente (26%);
- minimizza l’uso di fertilizzanti e pesticidi (16%);
- rispetta il patrimonio culturale e paesaggistico di un territorio (14%);
- ha una confezione a minore impatto ambientale (11%);
- salvaguarda la biodiversità (10%);
- è biologico (9%);
- rispetta i diritti dei lavoratori (7%),
- garantisce lo sviluppo economico dell’azienda produttrice (6%).
Ovvero: il 72% privilegia la sostenibilità ambientale e solo il 27% quella sociale o socioeconomica.
Tuttavia un’altra recente ricerca riguardo ai marchi di vino sostenibile più conosciuti dai consumatori italiani ha messo al primo posto il logo di Libera Terra, che identifica un progetto di recupero sociale e produttivo di beni liberati dalle mafie. La sostenibilità sociale torna così al primo posto, dimostrando il vantaggio ma anche il limite connesso all’estrema elasticità del termine “sostenibilità”.
Una marcia in più sul fronte "social"
Il disciplinare del nuovo sistema italiano ne ha tenuto conto: lo standard Sqnpi è stato infatti integrato con ulteriori requisiti etico-sociali (obbligatori dal 2023) con cui l’azienda vitivinicola deve dimostrare di contribuire allo sviluppo economico delle comunità rurali. Riempiendo così le lacune oggi presenti nell’agricoltura biologica.
Una carenza a cui il bio potrebbe far fronte, almeno a livello nazionale, con un disciplinare “rafforzato” sul lato degli impegni sociali, utile in relazione alla sfida di raggiungere entro il 2027 (tre anni prima rispetto al resto d’Europa) l’obiettivo del 25% di superficie agricola nazionale.
Il riconoscimento transnazionale del bio
Il favore del bio gioca infatti il riconoscimento internazionale garantito dal sistema delle equivalenze (mentre il sistema Sqnpi deve ancora conquistare il mutuo riconoscimento degli standard di sostenibilità presenti nei principali mercati di riferimento) e il disciplinare più restrittivo sul fronte dei mezzi tecnici.
La normalizzazione di Bruxelles
Ma proprio su questo capitolo Bruxelles sta giocando un brutto scherzo all’agricoltura continentale con il nuovo regolamento sugli usi sostenibili degli agrofarmaci che concede una precedenza estrema agli agenti di biocontrollo, mettendo in secondo piano gli input “chimici” per arrivare al loro dimezzamento entro il 2030. Riducendo di fatto le differenze tra produzione green e convenzionale su quello che è forse il capitolo più sensibile. Un approccio simile a quello con cui la Commissione affronta il tema della carbon farming: il piano Fit For 55 prevede infatti che l’agricoltura raggiunga obbligatoriamente la neutralità climatica entro il 2035 (una data estremamente ravvicinata per un obiettivo così impegnativo).
Un doppio salto nel vuoto che non tiene conto del fatto che la sostenibilità per le aziende vitivinicole ha un costo non indifferente. Un impegno in favore dell’ambiente e della comunità che le aziende vitivinicole affrontano con entusiasmo, contando però sul riconoscimento di una valorizzazione della loro produzione.
Una premialità che non è automatica e che sparisce completamente se la sostenibilità diventa semplicemente un obbligo.
Una tendenza all'imposizione che rischia di vanificare un percorso di transizione ecologica che nei nostri vigneti è partita da lontano. Perchè se tutto improvvisamente diventa sostenibile, nulla è sostenibile.