Lieviti non-Saccharomyces sugli scudi. Negli ultimi anni, grazie all’evoluzione della biologia molecolare, si è riusciti finalmente a chiarirne un ruolo che va oltre la complessità aromatica dei vini.
Per approfondire leggi
Sedici lieviti non Saccharomyces che esaltano l’aroma dei vini.
Affinchè l’utilizzo di questi lieviti innovativi abbia successo, occorre però chiarire gli aspetti che ne favoriscono l’insediamento, soprattutto negli inoculi sequenziali.
I trattamenti “enotermi” del passato
Se il XX è stato il secolo di Saccharomyces cerevisie e l’enologia del XXI sarà invece caratterizzata dal recupero della complessità e dai lieviti non-Saccharomyces, nella storia è possibile riscontrare ancora un altro parallelismo.
A causa delle scarse condizioni igieniche, il ridotto controllo delle fasi prefermentative o la limitata cultura microbiologica tra i produttori, quando all’inizio del ‘900 le prime colture di Saccharomyces cerevisiae cominciarono a essere commercializzate in forma liquida e poco conservabile, le garanzie che l’inoculo avesse successo e potesse completare la fermentazione, prendendo il sopravvento sulla popolazione indigena, non erano elevate. Per questo motivo e per limitare le alterazioni dei mosti e dei vini si diffusero nello stesso periodo i primi sistemi di trattamento termico, allora definiti con il termine di “enotermi”, per la pastorizzazione dei mosti, da applicare prima dell’inoculo. Oggi le condizioni sono molto cambiate e le colture selezionate di Saccharomyces cerevisiae sono in grado di dominare in breve tempo l’ambiente del mosto, senza necessariamente eliminare il possibile contributo delle altre popolazioni indigene.
Nuove tecnologie per specie “più deboli”
Quando tuttavia a essere inoculate sono specie più lente o deboli la capacità di colonizzazione del mosto e l’affermazione sulle popolazioni di lieviti e batteri già presenti e adattate all’ambiente non è del tutto scontata.
Per garantire il corretto insediamento dei lieviti non-Saccharomyes utilizzati soprattutto negli inoculi sequenziali, oggi come in passato, si stanno sviluppando e proponendo nuove tecnologie.
Allo scopo di ridurre o eliminare la carica microbica indigena presente nei mosti queste, anziché all’azione del calore, fanno ricorso a trattamenti fisici diversi, in grado di interferire con la vitalità cellulare ma non, se non positivamente, con la qualità delle uve e dei mosti. Tra questi ricordiamo:
- gli ultrasuoni (la cui efficacia antimicrobica è tuttavia stata validata solo in associazione con le temperature più elevate),
- i campi elettrici pulsati,
- le pressioni alte o ultra alte,
- l’ozonizzazione delle uve
- la luce pulsata applicata in continuo all’interno di un tunnel sull’uva diraspata.
Tra queste alcune sono in grado anche di favorire l’estrazione dei composti aromatici e polifenolici delle cellule dell’acino e di ridurre o eliminare la necessità di utilizzo dell’anidride solforosa nelle prime fasi della vinificazione.
La via alternativa all’applicazione dei mezzi fisici, lo abbiamo già detto, è ancora una volta l’uso delle biotecnologie, con la ricerca delle specie microbiche selezionate più adatte nel biocontrollo dei microrganismi indigeni già presenti.