Terroir, qualità, tipicità, unicità: tutto assume un significato diverso se viene visto al microscopio. Perché ciò che rende “diverso” un grande vino spesso non è nel suolo, ma nell’aria. Negli ultimi anni la scoperta del ruolo dei non Saccharomyces ci ha consentito di inquadrare con una nuova ottica il mondo dei lieviti. Non più solo fabbriche di alcol, ma veri e propri alleati che collaborano, spesso in squadra, per il raggiungimento di un risultato unico, in campo enologico e non solo. Ognuno diverso, ognuno con le proprie specifiche caratteristiche da impiegare al meglio.
Sei un giovane enologo o biotecnologo?
Ti piacerebbe essere lo scopritore del lievito del futuro?
Aderisci al Bando del Premio Bioenologia 2.0
Un tesoro da scoprire
Caratteristiche che non devono essere perdute. C’è un tesoro da scoprire nascosto tra i filari dei vigneti, tra le foglie delle siepi, tra i petali dei fiori, ma occorre fare presto. I cambiamenti climatici stanno incidendo sulla composizione della microflora spontanea e il resto lo fa l’elevata fitness dei lieviti selezionati, che soprattutto nelle vicinanze delle cantine diventano dominanti rispetto a quelli indigeni.
Bioenologia 2.0 è una realtà italiana che guarda da sempre con un’ottica diversa al mondo
dei prodotti per l’enologia, vinificazione e birrificazione. Da alcuni anni sta lavorando alla ricerca e selezione di lieviti indigeni con lo scopo di rintracciare ceppi con specifiche attività metaboliche ed enzimatiche in grado di valorizzare la qualità e la complessità sensoriale dei vini.
Un’esperienza che Maurizio Polo, fondatore di questa realtà con sede a Oderzo (Tv) vuole condividere facendo da battistrada per lo sviluppo di una nuova generazione di enologi e biotecnologi capaci di vedere con una nuova ottica, naturale e biochimica, all’attività di cantina.
Lo strumento per raggiungere questo risultato è inedito e coinvolge questa testata. Bioenologia 2.0, con il supporto di Laboratorio Polo e con la media partnership di Edagricole e VVQ, Vigne, Vini e Qualità, promuove infatti il 1° premio Bioenologia 2.0 2020, caratterizzato da un montepremi 8mila euro e destinato alla ricerca di lieviti unici ed originali, con attività fermentative non convenzionali. Il bando si rivolge in particolare ai giovani, diplomandi e laureandi alla ricerca di un tema stimolante per la loro tesi (e decisivo per il loro futuro, ricercatori che abbiano isolato in natura (fiori, frutti, ecc.) lieviti ad uso enologico (S.cerevisie e non) con caratteristiche innovative. Le candidature vanno presentate entro il 30 agosto 2020. La premiazione avverrà nel corso della manifestazione Vinitaly 2021. (Bando completo disponibile qui: https://bit.ly/37hkzzY . Per informazioni: eventi.edagricole@newbusinessmedia.it).
Fantasia al potere
La stragrande maggioranza dei lieviti selezionati che utilizziamo in cantina sono stati infatti isolati e messi a punto all’estero, nei laboratori enologici di Bordeaux (Francia), Davies (Usa) e Stellembosch (Sudafrica). «Si tratta di non più di una trentina di ceppi, poco per tutelare la biodiversità microbiologica, messi a punto dall’altra parte del mondo, una situazione che collide con l’importanza che in Italia viene data alla tipicità». La strada scelta da Maurizio Polo da alcuni anni è diversa, alternativa anche a quella di chi mitizza il ruolo dei lieviti autoctoni e gli inneschi fermentativi “spontanei”.
«Parlare di lieviti autoctoni – spiega Polo – non ha senso. I lieviti sono costantemente “in viaggio”, trasportati da insetti e altri vettori, la microflora presente in vigneto cambia anche radicalmente anno dopo anno, per questo ha più senso parlare di lieviti indigeni». In Spagna i lieviti indigeni sono chiamati levaduras de flor (letteralmente “lieviti da fiore”), e la flor è tipicamente lo strato di lievito che si forma sulla superficie dello sherry in fermentazione, e proprio sui fiori Bioenologia 2.0 ha trovato e sviluppato uno dei suoi primi lieviti naturali commercializzati “in crema” (il protocollo che la realtà di Oderzo ha messo a punto per i lieviti solidi ha consentito ad Oiv, l’organizzazione mondiale per la vite e vino, di stabilire lo standard di riferimento) .
Cercasi soluzioni “tecniche”
Saccharomyces bayanus var. uvarum (Atecrem Iris) è stato infatti isolato sui fiori di giaggiolo nella Marca trevigiana. Un ceppo particolarmente adatto per uve rosse, fortemente aromatico con aromi di frutti di bosco stabili nel tempo, selezionato per la sua capacità di non produrre solfiti e solfuri.
«Consente anche una significativa produzione di acetati ed esteri, caratteristiche uniche che consentono di ottenere vini di elevata complessità». Un risultato che ha spinto Bioenologia 2.0 a proseguire su questa promettente strada. «Abbiamo isolato lieviti dalle matrici più impensabili, e ne abbiamo potuto brevettare alcuni per le caratteristiche assolutamente uniche».
Come Schizosaccharomyces pombe in crema (Atecrem 12H), caratterizzato dalla capacità di ridurre al minimo la produzione di volatile, di solfuri e di solfiti. Responsabile di elevata produzione di glicerina e di una fermentazione maloalcolica che dona una rotondità “naturale” ai vini rossi. «Un vero “enologo” – assicura Polo- che lavora dall’interno dei mosti e dei vini. È infatti caratterizzato da un’elevata fitness e questo ci ha permesso di utilizzarlo per la sua funzione di biocontrollo in alcuni casi di avvio di fermentazioni anomale».
Un esempio che mostra come la scelta del giusto lievito non abbia solo funzioni “aromatiche”, ma soprattutto “tecniche”.
L’originalità del made in Italy
«L’enologia – è la convinzione di Polo - è biochimica e i protagonisti sono essenzialmente i lieviti e i batteri, l’enologo più efficace non è quello che deve intervenire per “sistemare” le fermentazioni con pesanti interventi chimici e fisici, ma è quello che sa applicare le proprie conoscenze biologiche e biotecnologiche per guidare le fermentazioni. E i lieviti del futuro lo aiuteranno sempre di più in questo obiettivo».
Una ricerca che Maurizio Polo e il suo staff portano avanti da 15-20 anni. Una goccia nel mare della biodiversità della microflora presente in Italia. Per questo, assieme alla nostra rivista, Bioenologia 2.0 ha individuato un percorso per stimolare l’intraprendenza degli enologi e biotecnologi in erba che vogliono mettersi in gioco aderendo al 1° premio Bioenologia 2.0 2020.
«Ogni nicchia biologica può nascondere il ceppo del futuro, vogliamo condividere la nostra passione con i giovani che vogliano rimboccarsi le maniche e applicare le proprie competenze per assicurarsi, al di là del premio, anche una promettente chance professionale».
Le proposte che arriveranno verranno vagliate da una giuria di esperti (vedi https://bit.ly/37hkzzY) e verificate in un’attività sperimentale condotta presso i laboratori di Oderzo. «Non cerchiamo particolarità aromatiche da conservare nei magazzini frigoriferi, ma soluzioni che assicurino vantaggi tecnici subito applicabili e magari “brevettabili”. Adatte non solo per gli obiettivi enologici, ma anche per la produzione di birra, sidro o per l’elevata funzione di biocontrollo».
«Tecnologie – conclude Polo - come l’osmosi inversa o le resine cationiche possono essere utili ma non consentono di caratterizzare il made in italy. La strada per esaltare la nostra tipicità e la nostra originalità è quella biologica». Il concorso punta a condividere questo obiettivo.
Articolo pubblicato sul numero 8/2019 di VVQ