La conversione dei lieviti “cattivi”

Saccharomycodes ludwigii, un lievito alterativo ma con interessanti effetti "aromatici"
Il caso Saccharomycodes ludwigii: un lievito controverso, capace di dannose alterazioni di vini e mosti. L’osservazione della possibilità di modulare la produzione della maggior parte dei suoi metaboliti secondari mediante fermentazione mista con Saccharomyces cerevisiae apre le porte ad un suo utile utilizzo per migliorare l’aroma varietale nei vini bianchi (ma non dei rossi)

Saccharomycodes ludwigii è un lievito noto per la sua capacità di contaminare succhi di frutta e bevande fermentate come vino e sidro.

Raffaele Guzzon

Morfologicamente è un tipico lievito apiculato, con gemmazione bipolare e cellule di grandi dimensioni (10 - 12 micrometri). La sua scarsa sensibilità all’anidride solforosa può causare seri problemi nel settore enologico.

S. ludwigii ha anche una notevole tolleranza alla CO2, dunque può deteriorare bevande gassate, così come vini dolci, da cui è stato frequentemente isolato dimostrando notevole osmotolleranza. L’insieme di questi caratteri ne fa un temibile agente alterativo, soprattutto in cantine che si dedichino alla presa di spuma e negli impianti di imbottigliamento, data la resistenza all’acido sorbico e al DMDC (Dimetil Dicarbonato, si veda il box 1).

In enologia vi sono microrganismi alterativi, altri utili al processo di vinificazione e, infine, alcune specie il cui ruolo è controverso perché dotate di interessanti proprietà enologiche, ma anche capaci di danneggiare vini e mosti.
Tra questi vi è certamente Saccharomycodes ludwigii

S. ludwigii ha buone attitudini fermentative, può produrre fino al 12% v/v di etanolo al quale accompagna modeste dosi di acido acetico, frequentemente inferiori a 2 g/L, con numerosi ceppi che non superano gli 0.3 - 0.5 g/L. Diversi autori hanno osservato come S. ludwigii aumenti la sua produzione di glicerina, acido acetico e acetato di etile in ambienti con alte concentrazioni zuccherine, un fenomeno che può essere correlato al meccanismo di adattamento allo stress osmotico del lievito, per prevenire la disidratazione delle cellule.

La sintesi della glicerina comporta l’ossidazione di NADH a NAD+ e il parallelo accumulo di acido acetico consente la rigenerazione del NADH. Una risposta simile è stata osservata per mitigare il danno causato da tossine killer prodotte da Pichia membranifaciens, sebbene la correlazione tra i due fenomeni sia solo parzialmente esplorata.

Sintesi da VVQ 1/2022

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S. ludwigii è caratterizzato dall’elevata produzione di metaboliti secondari, come isobutanolo, alcol amilico, alcol isoamilico, acetaldeide, acetoino e acetato di etile, molecole che possono alterare il profilo organolettico del vino al superamento delle soglie di percezione.

Tuttavia, quasi a confermare il comportamento controverso, alcuni ceppi di questa specie hanno dimostrato un’elevata produzione di acido succinico, coinvolto nella sensazione “minerale” del vino e glicerolo. Un’altra peculiarità di questo lievito è la capacità di rilasciare polisaccaridi, incrementando corpo e struttura del vino, di questo parleremo diffusamente più avanti (clicca per saltare al punto). Oltre ad assimilare un’ampia gamma di composti carboniosi, S. ludwigii è in grado di degradare alcune molecole tossiche presenti nel vino, a tutto vantaggio della salubrità di questa bevanda.

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Le applicazioni enologiche

Per le caratteristiche menzionate S. ludwigii è stato considerato per lungo tempo un lievito alterativo (si veda il box 2).

Questo concetto è in fase di revisione grazie a diversi studi che ne hanno dimostrato i vantaggi nella produzione di vino e di altre bevande fermentate. Il punto di svolta nelle applicazioni enologiche di S. ludwigii, così come di altri lieviti non-Saccharomyces, è stata l’osservazione che è possibile modulare la produzione della maggior parte dei metaboliti secondari mediante fermentazione mista con Saccharomyces. cerevisiae, poiché quest’ultimo può influenzare fortemente il metabolismo delle altre specie microbiche senza esserne, al contrario, danneggiato. In questo modo si minimizzano eventuali effetti dannosi, privilegiando i caratteri utili nella vinificazione. Nel caso di S. ludwigii è possibile ridurre gli alti livelli di acetato di etile e acido acetico migliorando la resa in esteri, con un impatto positivo sul profilo aromatico del vino.

Cellule di Saccharomycodes ludwigii isolate nel vino

Esperimenti di fermentazione mista tra S. ludwigii e S. cerevisiae hanno fatto registrare un aumento della produzione di glicerina e acetato di isoamile, mediamente il 20%, mentre la concentrazione di 2-feniletanolo è risultata circa 200 volte maggiore di quanto ottenibile in una fermentazione pura di S. cerevisiae, pur mantenendo una bassa acidità volatile. Un’ulteriore selezione di ceppi di S. ludwigii potrebbe consentire di minimizzare i più comuni limiti di questo lievito, come l’alta produzione di acetaldeide e acetato di etile, così come una migliore definizione dei parametri fermentativi adatti a questa specie. Ad esempio, la temperatura pare giocare un ruolo fondamentale nel regolare l’attività di S. ludwigii. Una minore produzione di acetaldeide, acetoino e acetato di etile è stata ottenuta fermentando a 25 °C, rispetto a quanto osservato a 15 °C. A 30 °C l’attività β-glucosidasica di alcuni ceppi di S. ludwigii si è dimostrata doppia, rispetto a quella di S. cerevisiae, favorendo il rilascio di composti aromatici primari, soprattutto in varietà a bacca bianca.

Al di là delle considerazioni sui prodotti secondari della fermentazione alcolica, uno dei fattori di maggiore interesse nell’impiego di S. ludwigii è la possibilità di ridurre la resa in alcol. S. ludwigii può abbassare la produzione di etanolo in colture miste con S. cerevisiae, con una riduzione anche del 2% del grado alcolico rispetto alla coltura pura di S. cerevisiae.

Inoltre, numerosi studi hanno dimostrato la capacità di questo lievito di rilasciare polisaccaridi nel vino non solo nel tradizionale affinamento sui lieviti, a seguito dell’autolisi cellulare, ma anche durante la fermentazione alcolica.

Tale fenomeno è proprio delle cellule di lievito vitali, grazie all’idrolisi controllata delle pareti cellulari (attività β-glucanasica) per consentire la gemmazione cellulare. Il “nostro” lievito ha mostrato un’elevata capacità di rilasciare polisaccaridi durante il processo di fermentazione, fino al 300 % in più rispetto a S. cerevisiae, mentre i tassi di rilascio di polimeri cellulari dovuti alla lisi post-fermentativa sono maggiori del 200%, rispetto a S. cerevisiae.

Effetto sulla struttura dei vini

I polisaccaridi più abbondanti sono le mannoproteine e la chitina. I polisaccaridi, soprattutto nei vini rossi, possono migliorare il corpo, la dolcezza e la rotondità del vino, favorendo la persistenza aromatica, la stabilità proteica e tartarica e la riduzione dell’astringenza. I polisaccaridi interagiscono anche con i composti aromatici terziari, conferendo una minore percezione degli aromi del legno nei vini a lungo invecchiamento, oltre a stimolare la fermentazione malolattica, e possono migliorare la qualità della spuma negli spumanti. La protezione esercitata dalle mannoproteine contro l’ossidazione dei composti fenolici consente di mantenere integre la capacità antiossidante e antinfiammatoria del vino; inoltre, queste molecole rilasciate dai lieviti sono in grado di adsorbire ammine biogene e ocratossina A, rendendo il vino più salubre.

Un’altra applicazione interessante di S. ludwigii è l’elaborazione dei cosiddetti “vini di frutta”, bevande fermentate a base di differenti matrici vegetali, diffuse in differenti continenti, in cui si può sfruttare l’elevata produzione di composti aromatici e acidi organici. Questo tipo di bevanda è tradizionalmente prodotta con un profilo aromatico semplice in diverse parti del mondo, principalmente perché si impiegano ceppi di S. cerevisiae non specificamente selezionati per queste applicazioni. Le fermentazioni miste o sequenziali potrebbero contribuire a migliorare il profilo sensoriale di queste bevande, il che costituisce un’opportunità per l’uso di S. ludwigii grazie alla sua elevata produzione di acetato di etile, acetato di isoamile e alcoli amilico, isoamilico o 2-feniletilico, oltre che per l’elevata attività enzimatica utile a valorizzare eventuali precursori aromatici presenti nella materia prima.

Gli obiettivi per la selezione di ceppi starter

Lieviti su piastra petri

Lo studio delle caratteristiche fisiologiche delle specie di lievito diverse da S. cerevisiae è un’interessante strategia per comprendere come i microrganismi rispondono agli stress ambientali, sia per contenerli in caso siano alterativi, sia per arrivare alla selezione di starter commerciali. Nel caso di S. ludwigii entrambe le finalità sono interessanti, e il confronto con Brettanomyces bruxellensis, un altro noto lievito alterativo, è inevitabile almeno a quanto si legge nella letteratura scientifica sull’argomento.

S. ludwigii, come B. bruxellensis, è capace di sopravvivere e proliferare al termine della fermentazione alcolica, anche in presenza di SO2. A questo proposito sono stati effettuati molti studi al fine di indagare basi genetiche che consentono a questi lieviti di adattarsi a condizioni così sfavorevoli. Certamente un aspetto cruciale è la capacità di assimilare differenti substrati nutrizionali come etanolo e acidi organici, oltre che zuccheri minori non fermentescibili da parte di S. cerevisiae. Oltre alla presenza di geni specifici per il metabolismo dei diversi carboidrati, alla presenza di geni capaci di codificare proteine di resistenza agli shock, termico e chimico, è essenziale per conferire resistenza ai ceppi di lievito. In questo si osserva una notevole variabilità interna alla specie, anche in termini geografici, ovvero fra ceppi isolati in areali e contesti produttivi differenti.

Riguardo alla selezione di ceppi starter di S. ludwigii, partendo dalle considerazioni già richiamate sull’interesse alle co-fermentazioni con S. cerevisiae, l’attenzione dei ricercatori si è concentrata su microrganismi con moderata produzione di acetoino e acetato di etile, oltre che con una buona attitudine nel sintetizzare esteri fermentativi come l’acetato di isoamile e 2-feniletanolo.

Altri aspetti meritori di attenzione nella selezione di ceppi starter di S. ludwigii sono il basso assorbimento di pigmenti e una modesta attività β-glucosidasica, per ridurre l’idrolisi degli antociani glicosidati, preservando dunque la perdita di colore dei vini rossi. A questo proposito vi sono studi sulla capacità di S. ludwigii di produrre piranoantociani (vitisine e vinilfenoli) che formano complessi stabili in grado di contrastare la degradazione dei composti pigmentati, così come la relazione tra la produzione di polisaccaridi e la capacità di questi di stabilizzare i caratteri del vino, durante l’affinamento.

Conclusioni

S. ludwigii è un lievito comunemente considerato un contaminante del vino a causa della sua elevata produzione di acetato di etile, acetoino o acetaldeide, con effetti negativi sul profilo sensoriale a livelli superiori alla soglia di percezione. Tradizionalmente il controllo di questo e di altri lieviti viene effettuato con SO2, che però alle alte dosi richieste, può non essere accettata da parte del consumatore. La maggior parte delle possibili alternative è stata studiata per il controllo di altre popolazioni microbiche e non specificamente per S. ludwigii. Dei pochi studi disponibili, la maggior parte condotti a livello di laboratorio, vi sono indicazioni promettenti, quanto preliminari, riguardo a trattamento con campi elettrici pulsati e raggi gamma.

Tra gli agenti chimici, il DMDC appare scarsamente efficace, mentre i chitosani sono applicabili solo in trattamenti post fermentativi. S. ludwigii ha tuttavia numerose potenziali applicazioni nella vinificazione, soprattutto quando la sua attività è controllata dalla presenza di ceppi di S. cerevisiae, grazie alla capacità di ridurre il grado alcolico e l’acidità volatile, per l’elevata produzione di glicerina, acetato di isoamile, 2-feniletanolo e polisaccaridi. La sua attività β-glucosidasica è tanto utile per migliorare l’aroma varietale nei vini bianchi, quanto dannosa nei vini rossi e dunque i ceppi selezionati di questa specie devono essere accuratamente caratterizzati sotto ogni punto di vista. Non è da dimenticare il potenziale di S. ludwigii nell’industria del sidro e della birra a cui l’estesa e complementare attività enzimatica, rispetto a S. cerevisiae, porterebbe portare molti benefici.

TAB. 1 - Strumenti per la gestione di contaminazioni da parte di S. ludwigii ammessi in enologia (clicca qui per scaricare la versione PDF)

Tecnica Modalità di funzionamento Efficacia
Anidride solforosa La frazione “molecolare” entra nelle cellule e interferisce con il metabolismo energetico, bloccando l’attività cellulare fino alla morte. Scarsa data l’elevata resistenza del microrganismo a questo agente chimico. Utilizzabile sono nelle fasi di finissaggio, meglio se abbinata ad altri trattamenti.
Chitosani I chitosani interagiscono con le strutture esterne della cellula alternandone la permeabilità, alterano il pH intracellulare, veicolano molecole tossiche, inibiscono l’assorbimento di nutrienti essenziali, separano dal mezzo le cellule. La completa inibizione è ottenibile solo con dosi molto elevate (5 g/L), efficaci nell’indurre il blocco dell’attività cellulare già dosi di 10 g/L
Dimetil dicarbonato (DMDC) È una molecola in grado di inibire alcuni enzimi chiave dei cicli energetici cellulari portando alla morte delle cellule. Agisce rapidamente ma perde rapidamente di efficacia, tossico per gli operatori. La dose massima consentita in enologia, 200 mg/L, non è sufficiente ad eliminare S. ludwigii ma può garantirne il rallentamento dell’attività. Da usare se combinato con SO2 o prima dell’inoculo di un LSA sui mosti contaminati.
Ac. organici (sorbati) L’acido sorbico ha un’azione simile a quella del DMDC, sebbene blocchi l’attività cellulare più che eliminare le cellule. Permanendo stabilmente nel vino garantisce protezione a lungo termine contro le rifermentazioni. Le dosi autorizzate in enologia da sole non sono garanzia di una completa inibizione dell’attività di S. ludwigii.
Bio controllo Ceppi di lievito appartenenti ai generi Pichia, Kluyveromyces e

Metschnikowia sono in grado di produrre tossine killer capaci di bloccare il ciclo riproduttivo di altri generi di lieviti, alterare la permeabilità cellulare, rendere i microrganismi più sensibili all’SO2.

Le tossine killer possono selezionare la microflora, inibendo lo sviluppo di lieviti alterativi, tra cui Saccharomycodes e dando un vantaggio competitivo a Saccharomyces cerevisiae.
Campo elettrico pulsato È in grado di alterare le membrane cellulari soprattutto se utilizzato in presenza di etanolo. S. ludwigii si è dimostrato sensibile a questo trattamento che potrebbe consentire una significativa riduzione dell’SO2.
Radiazioni gamma Radiazioni ionizzanti ad alta energia sono in grado di alterare macromolecole essenziali alla vita cellulare. Non vi sono evidenze di una resistenza a questo trattamento maggiore delle altre popolazioni di lieviti di interesse enologico.

 


Affidarsi a SO2? Non sempre è una buona idea

L’SO2 è generalmente utilizzata come antiossidante e per il controllo dei microrganismi alterativi, tuttavia S. ludwigii ha una resistenza decisamente superiore alla media, tale da far prevalere gli effetti negativi dell’SO2 (salutistici, sensoriali, ecc.) ai benefici nel controllo di questo lievito.

La dose di SO2  libera necessaria per inattivare S. ludwigii è pari a 7,8 mM, contro una concentrazione di 1,6 mM per i comuni lieviti vinari. Tale resistenza pare dovuta anche alla capacità di produzione di acetaldeide da parte di S. ludwigii, così come la resistenza a questo agente chimico di enzimi chiave del metabolismo microbico, come la gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi. Anche peculiarità cellulari di S. ludwigii paiono correlate a questa resistenza: il lievito ha un alto contenuto di acidi grassi C18:1 nella sua membrana cellulare e un basso pH citoplasmatico, fattori che favoriscono il trasporto dell’SO2 al di fuori dalla cellula. Un uso eccessivo di SO2 nelle prime fasi della vinificazione potrebbe risultare dunque un vantaggio per lieviti alterativi, oltre che allungare la durata dei processi fermentativi. Meglio dunque approcciare il problema mediante altre strategie di contenimento, riservando le solfitazioni alle fasi di affinamento e finissaggio dei vini.


Il monitoraggio

S. ludwigii ha dimostrato di avere un’elevata capacità alterativa dei vini, anche a basse concentrazioni cellulari. Pertanto un monitoraggio efficace di questo microrganismo è essenziale. Le tradizionali tecniche colturali basate sulla conta su piastra Petri restano la metodica di riferimento per quanto permangono le note criticità, come la difficoltà di osservare popolazioni rare in ecosistemi complessi, i tempi di incubazione, l’assenza di terreni sintetici specifici.

L’uso di bio marcatori, come il basso contenuto di acidi grassi a catena lunga (C18:2 e C18:3) caratteristico di S. ludwigii, potrebbe rivelarsi strumento utile per una rapida identificazione di questo lievito. Tuttavia l’applicazione a livello di queste tecniche industriale richiede l’accesso a banche dati che consentono l’interpretazione di questi profili molecolari in tempo reale, per poter intraprendere azioni correttive immediate. Un’altra alternativa è l’uso di indicatori chimici e organolettici, simili al 4-etilfenolo prodotto da Dekkera/Brettanomyces spp. Isobutanolo, acetaldeide, acetato di etile e acetoino, per quanto non esclusivi di questo microrganismo possono essere utilizzati come indicatori aromatici di S. ludwigii.


Raffaele Guzzon
Fondazione Edmund Mach

La conversione dei lieviti “cattivi” - Ultima modifica: 2022-01-26T16:04:07+01:00 da Lorenzo Tosi

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