Quando i lieviti riducono l’alcol

Lieviti Saccharomyces cerevisiae in 3D.
I lieviti non-Saccharomyces sono una risorsa? Dopo almeno tre decenni nei quali la priorità è stata selezionare lieviti con la massima resa di trasformazione degli zuccheri in alcol, il riscaldamento climatico presenta il conto con vini spesso esuberanti nel contenuto di etanolo. La ricerca mette in evidenza che i microrganismi possono giocare un ruolo determinante, ecco come mettere in pratica queste acquisizioni

Non-Saccharomyces mai così sulla breccia.

Diverse aziende biotecnologiche stanno rivalutando questi lieviti alternativi per le loro attitudini a liberare precursori aromatici o a fermentare in condizioni particolari. Come nel caso di elevate concentrazioni zuccherine, come capita sempre più di frequente per gli effetti del global warming.

La capacità di questi lieviti di produrre diversi composti dal consumo degli zuccheri può così rivelarsi decisamente vantaggiosa perché porta a una riduzione dell’etanolo al termine della fermentazione alcolica (da 0,5% fino al 3%).

Sintesi dell'articolo pubblicato su VVQ 3/2021

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Stesso genere, specie diversa

Ad oggi sono numerose le ricerche pubblicate su questo argomento, meno le applicazioni disponibili per gli enologi. Ecco un breve excursus di quanto è stato fatto. Tra i lieviti alternativi a S. cerevisiae il primo gruppo di interesse riguarda le altre specie rientranti nel genere Saccharomyces, ad esempio Saccharomyces uvarum. Un lievito capace di produrre vini da uve appassite, e dunque con un elevato potenziale alcolico, con una resa in etanolo più bassa rispetto a S. cerevisiae senza aumento di acido acetico. Inoltre, il profilo aromatico di vini ottenuti da S. uvarum si è dimostrato superiore a quello degli equivalenti ottenuti con S. cerevisiae. Quest’ultimo aspetto conferma la buona capacità di S. uvarum nel liberare precursori aromatici presenti nei mosti, in linea con quanto osservato in ricerche condotte in Nuova Zelanda su Sauvignon.

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Studi condotti su mosti da uve fresche, non appassite, hanno confermato la capacità di S. uvarum nel ridurre l’etanolo nel vino, con differenze che hanno raggiunto i 2 gradi alcolici, rispetto al vino testimone da S. cerevisiae. La diminuzione del grado alcolico si è accompagnata a un incremento di glicerolo, molecola positiva per la definizione qualitativa del vino. Anche Saccharomyces kudriavzevii ha manifestato una buona capacità di ridurre il contenuto di etanolo, se utilizzato in presenza di una forte ossigenazione e di basse temperature di fermentazione. Tuttavia le applicazioni di questo lievito ad oggi non sono andate oltre la scala di laboratorio.

Ibridi promettenti

Un gruppo di lieviti che ha destato interesse per la riduzione del contenuto di etanolo del vino è quello degli ibridi, ottenuti da incroci tra S. cerevisiae e altre specie del medesimo genere. Alcuni di questi hanno dimostrato diversi caratteri interessanti tra cui una notevole resistenza alle basse temperature, la capacità di ridurre la concentrazione di acidità volatile, una peculiare produzione aromatica e la bassa resa di conversione degli zuccheri in alcol. Anche in questo caso come compensazione al minor accumulo di etanolo si è osservato un incremento della concentrazione di glicerolo, soprattutto in fermentazioni condotte a temperature prossime ai 14 °C.

Cambio di genere

Ampliando lo sguardo oltre al genere Saccharomyces vi sono differenti specie di lievito che sono già utilizzate in cantina per il contrasto ai microrganismi alterativi o per regolare il contenuto di acidi organici dei vini. È ragionevole ipotizzare che alcuni di questi microrganismi possano ridurre l’accumulo di etanolo nel vino finito. Se le applicazioni dei lieviti non-Saccharomyces sono numerose, è altrettanto vero che questi lieviti non sono in grado di competere con S. cerevisiae nella conduzione della fermentazione alcolica, pertanto si rende sempre necessario il coinoculo con un ceppo selezionato di S. cerevisiae. Anche per quel che riguarda i lieviti non-Saccharomyces la disponibilità di ossigeno è un parametro fondamentale nel regolare la via di consumo degli zuccheri.

Al contrario di S. cerevisiae lieviti appartenenti ad altri generi microbici sono capaci di attuare il metabolismo respirativo in presenza di ossigeno, anche in eccesso di substrato (zuccheri). Questo fenomeno apparentemente di interesse accademico ha importanti risvolti pratici perché la presenza di un lievito non-Saccharomyces, unitamente a un’adeguata disponibilità di ossigeno, consentirà la conversione degli zuccheri in piruvato e da questo l’attivazione di differenti vie metaboliche che possono portare sia all’accumulo di biomassa, sia alla produzione di composti secondari con un importante rilievo organolettico.

Questo secondo aspetto deve essere considerato attentamente perché alcune molecole derivanti dal piruvato, come gli acidi grassi, possono essere utili nel determinare la qualità del vino a basse concentrazioni, ma risultare sgradevoli se la concentrazione supera la soglia di accettabilità. Anche il metabolismo dei composti azotati dei non-Saccharomyces è ancora in via di definizione. Non è pertanto facile prevedere la risposta di questi microrganismi ai differenti profili aminoacidi dei mosti.

Fermentazione

Non-Saccharomyces  tra ricerca e pratica di cantina

Come abbiamo accennato numerose specie di lieviti sono state studiate per applicazioni riguardanti la riduzione del contenuto di etanolo nel vino.

Sfogliando nella bibliografia si può osservare come diverse specie del genere Candida siano state testate, sia su scala di laboratorio che in impianti produttivi, per questa applicazione. Nelle prove condotte è stato osservato, oltre a una riduzione del titolo alcolometrico, un incremento della concentrazione di glicerolo e acido succinico, una generale riduzione del contenuto di esteri e alcoli superiori e, in alcuni casi, un incremento di zuccheri non fermentescibili come il sorbitolo.

Anche Hanseniaspora uvarum e altre specie affini sono state testate per il medesimo fine. In questo caso gli studi hanno dimostrato un aumento di note aromatiche riconducibili ai frutti rossi (esteri con tutta probabilità), alle note tostate e di caramello. La riduzione del grado alcolico è stata sempre nell’ordine dello 0.6-0.8%.

Un lievito che ha superato la fase di sperimentazione in laboratorio per affacciarsi sul mercato enologico è Lachancea thermotolerans, capace di una diminuzione del tenore alcolico tra lo 0.7 e l’1.2%.

Fenomeni collaterali sono l’aumento delle note speziate e dell’acidità fissa, infatti questo lievito può produrre acido lattico risultando utile nella gestione di uve con uno squilibrio tra zuccheri e acidità. Anche le caratteristiche fisiologiche di alcuni ceppi di Metschnikowia pulcherrima e di due specie del genere Kluyveromyces hanno suggerito di testare le loro potenzialità nel ridurre la resa in alcol.

I risultati di fermentazioni condotte in presenza di una aerazione controllata dimostrano che è possibile una riduzione della resa in etanolo pur proteggendo il mosto dalla eccessiva ossidazione e dall’accumulo di acido acetico. In altri studi Metschnikowia pulcherrima è risultata capace di eliminare fino al 3.8% di etanolo dal vino. Gli effetti osservati sui vini in seguito all’azione di questo lievito, in presenza di una areazione spinta, sono stati l’aumento del contenuto di acetaldeide e geraniolo, con un aumento di note ossidative ed eteree a discapito delle note fruttate.

Simili risultati in termini di riduzione del tenore alcolico e di modificazione del profilo aromatico sono stati osservati in lieviti appartenenti alla specie Pichia guilliermondii e Pichia kluyveri, mentre Schizosaccharomyces pombe ha dimostrato la capacità di ridurre l’alcol dello 0.7% con contestuale diminuzione dell’acidità dovuta al consumo di acido malico e aumentato delle sensazioni amare del vino.

Torulaspora delbrueckii ha ridotto il contenuto di etanolo di circa lo 0.5% con aumento del contenuto di esteri e di glicerolo.

L’ultima specie che è stata sperimentata con buoni risultati per il controllo del tenore di etanolo è Starmerella bacillaris, meglio nota come Candida zemplinina.

Questo è il lievito ha ridotto fino al 1% il tenore di etanolo nei vini con un contestuale aumento del glicerolo, senza apportare alterazioni evidenti al profilo sensoriale. Visto l’apparente successo, questo lievito è stato studiato da diversi autori e sono disponibili indicazioni circa l’effetto di molte variabili come il numero iniziale di cellule vitali di lievito e il protocollo di riattivazione o inoculo.

Recenti studi hanno messo in luce altri aspetti interessanti di S. bacillaris come il carattere fruttosofilo e la capacità di ridurre il contenuto di acido acetico. Tutti questi fenomeni sono legati all’espressione di ogni singolo e pertanto suggeriscono l’Impiego di culture selezionate di S. bacillaris, con caratteri enologici ampiamente noti. Non è poi da trascurare un altro aspetto che rende interessante l’uso di S. bacillaris nei mosti prima dell’avvio della fermentazione alcolica, la sua capacità di biocontrollo verso i microrganismi alterativi.

Conclusioni

L’uso di microrganismi per contenere accumulo di etanolo nei vini è certamente una strada promettente sia per l’ampia disponibilità di ceppi con metabolismo differenti e complementari a S. cerevisiae, sia perché dal punto di vista legale l’utilizzo di lieviti selezionati nella vinificazione è una strada immediatamente percorribile e dunque può offrire una rapida soluzione a problemi che affliggono da tempo il comparto enologico. Tuttavia, è importante considerare che ogni lievito che si trovasse a consumare zuccheri accumulerà metaboliti alternativi nel vino e che questi, se in eccesso, andranno a connotare in maniera fin troppo evidente il profilo organolettico. Pertanto la scelta di uno o più lieviti in grado di modulare il contenuto alcolico dei vini dovrà sempre essere accompagnata da un’attenta strategia agronomica per contenere il più possibile l’accumulo zuccherino nell’uva.

Quando i lieviti riducono l’alcol - Ultima modifica: 2021-07-16T17:05:31+02:00 da Lorenzo Tosi

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