Il biocontrollo in enologia, una strategia promettente

Figura 1 - Colonie di Metschnikowia, facilmente distinguibili da altri lieviti per il caratteristico colore rosato. La chelazione del ferro è una strategia di competizione volta a creare una carenza di questo elemento per microrganismi concorrenti
Come coniugare una vinificazione senza incognite, la riduzione dei coadiuvanti enologici e un vino di qualità? L’impiego di agenti di biocontrollo, microrganismi capaci di contrastare altre forme microbiche potenzialmente portatrici di problemi per l’enologo è una strategia di cui oggi si parla molto. Vediamo quali sono i meccanismi biologici che regolano questo fenomeno per capire dove può essere effettivamente una soluzione vincente

 

I microrganismi nel loro ciclo vitale sono in grado di instaurare “relazioni” con altre forme microbiche che condividono il medesimo habitat.

Le interazioni possono essere di varia natura, e ancora oggi sono oggetto di studi, dato che molto si è scoperto di recente e, probabilmente, molto resta da capire. Volendo schematizzare, vi sono relazioni di tipo costruttivo, dove almeno una delle specie microbiche coinvolte si avvantaggia della presenza e dell’attività dell’altra, rapporti di mera coabitazione, dove i microrganismi condividono l’habitat senza influenzarsi reciprocamente, e forme di competizione, dove una specie microbica cerca di avvantaggiarsi sulle altre nella colonizzazione di un determinato habitat.

Anteprima da VVQ 3/2023

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Il biocontrollo rientra nell’ultimo caso, laddove una specie microbica abbia sviluppato delle strategie di competizione verso le altre forme microbiche. In enologia, ad esempio, è ormai noto che lieviti del genere Brettanomyces possano inibire l’attività dei batteri lattici, producendo molecole tossiche, come gli acidi grassi a media catena.

Se questo fenomeno è negativo, vi è la possibilità di sfruttare meccanismi simili a vantaggio dell’enologo, utilizzando microrganismi in grado di inibire in modo mirato l’azione di specie microbiche alterative. Le strategie di biocontrollo hanno diverse potenzialità interessanti, la prima di tutte è la possibilità di ridurre l’impiego di alcuni coadiuvanti enologici che oggi trovano scarsa approvazione da parte dei consumatori, in primis l’anidride solforosa. Ma non solo. L’azione degli agenti antimicrobici può ridurre anche l’esigenza di trattamenti fisici come le filtrazioni o l’impiego del freddo, con evidente risparmio energetico.

Dato che alcuni dei meccanismi di competizione sono altamente selettivi, ovvero agiscono solo contro determinate specie o generi di microrganismi, vi è la possibilità di impiegarli senza interferire con le fermentazioni. L’impiego di agenti di biocontrollo ha anche dei limiti che devono esser considerati. Innanzitutto è una tecnologia relativamente recente, le soluzioni commerciali disponibili non sono ancora molte ed anche l’esperienza riguardante il loro impiego è ancora relativamente limitata.

Occorre poi che il microrganismo di biocontrollo riesca a integrarsi nel consorzio microbico già presente nell’ambiente e si sviluppi correttamente. Infine, gli agenti di biocontrollo lavorano solitamente “in prevenzione”, ostacolando lo sviluppo di microrganismi alterativi, mal si conciliano con interventi curativi, od emergenziali, quando un’alterazione microbica sia in corso. Vediamo dunque quali sono i principali fenomeni di biocontrollo oggi noti in enologia.

Le strategie di competizione passiva

La competizione passiva comprende tutte le strategie attuate da una specie di lieviti o batteri per sottrarre risorse ai microrganismi concorrenti e raggiungere così la dominanza di una specifica nicchia enologica, ad esempio nel nostro caso l’uva, il mosto, il vino. In questo senso possono fare la differenza il numero e l’efficienza dei trasportatori di membrana. Queste molecole di natura proteica sono deputate a “catturare” dall’ambiente i nutrienti e trasportarli all’interno della cellula dato che, altrimenti, per molte molecole la barriera rappresentata dalla membrana citoplasmatica sarebbe insormontabile.

Parimenti, vi sono trasportatori capaci di secernere i prodotti del metabolismo cellulare senza i quali i metabolismi intracellulari andrebbero a bloccarsi per accumulo eccessivo di prodotti nello spazio citoplasmatico. In questo senso vi è, ad esempio, una generale prevalenza dei lieviti sui batteri, anche selezionati, e una notevole variabilità interna a singole specie, capace di spiegare ad esempio la notevole mutevolezza nel comportamento di differenti ceppi di S. cerevisiae. Tra i nutrienti più richiesti vi sono carboidrati, azoto, vitamine, steroli, ossigeno e microelementi. Proprio gli elementi minerali sono uno degli obbiettivi di alcune strategie di competizione passiva operate da lieviti come Metschnikowia. È noto che questo genere possa produrre sostanze che legano il ferro, dando tra l’altro alle colonie il caratteristico colore rosato (Figura 1, in apertura).

Il curioso fenomeno della pigmentazione di Metschnikowia ha un significato biologico ben preciso. La sottrazione del ferro, legato in complessi stabili, crea una carenza in grado di limitare lo sviluppo di molti altri microrganismi.

Differenti lavori scientifici hanno osservato interazioni negative con Candida tropicalis, Candida albicans, Brettanomyces/Dekkera, i generi Hanseniaspora e Pichia, nonché verso muffe come Botrytis cinerea e Penicillium. È interessante notare come l’azione inibitoria non sia universale.

Saccharomyces cerevisiae, ad esempio, non pare negativamente influenzato da Metschnikowia, tanto che sono stati proposti protocolli di vinificazione basati sull’impego simultaneo dei due generi di lievito per migliorare il profilo organolettico del vino, sfruttando attività enzimatiche complementari tra loro.

Non solo i nutrienti, anche lo spazio può diventare un fattore limitante. L’occupazione fisica di un ambiente può risultare un fattore chiave per garantire lo sviluppo di una popolazione microbica a discapito di altre. Ad esempio i biofilm, oltre a proteggere i microrganismi dall’ambiente e da agenti di aggressione chimici o fisici, permettono di occupare una superfice, limitando la possibilità per altre specie microbiche di accedere a nutrienti o all’ossigeno e limitandone, di fatto, sviluppo e diffusione.

I biofilm più noto sono quelli visibili ad occhio nudo, come il velo (flor) che caratterizza i vini prodotti in stile ossidativo e composto prevalentemente da microrganismi appartenenti al genere Saccharomyces. Altri lieviti, come M. pulcherrima e Pichia kluyveri sono in grado di formare biofilm, ad esempio sugli acini, risultando dominati nella microflora epifitica. Un ultimo esempio di competizione passiva è quello per l’ossigeno. In effetti, tutti i lieviti sono microrganismi aerobi, ma molte specie sono in grado di attivare la fermentazione, via energetica alternativa, indipendente dalla presenza di ossigeno.

Questo carattere spiega, ad esempio, la capacità di S. cerevisiae di dominare la popolazione di lieviti, già pochi giorni dopo la vendemmia, quando l’ambiente diventa sostanzialmente anerobico, a scapito di altri lieviti non-Saccharomyces quali T. delbrueckii, L. thermotolerans, Starmerella bacillaris e Hanseniaspora vinae.

Dapprima S. cerevisiae si sviluppa avvantaggiandosi del poco ossigeno presente, una volta creata una biomassa numerosa, questa inizia a fermentare accumulando alcol, tossico per i lieviti, e consumando rapidamente i nutrienti, determinando la sostanziale scomparsa di altri lieviti alternativi, pur inizialmente presenti in concentrazioni maggiori.

Strategie di competizione attiva

La competizione attiva è basata sulla produzione di molecole con attività tossica verso specie concorrenti. I casi più comuni, ma anche meno interessanti in quanto poco selettivi, sono i ben noti accumuli di molecole tossiche per i microrganismi come etanolo, acidi organici (lattico, acetico) e anidride solforosa. Vi sono poi meccanismi di competizione attiva più “raffinati” basati su specifiche classi di molecole con azione mirata, vale la pena di fare una carrellata sulle principali.

Peptidi antimicrobici. I peptidi antimicrobici sono piccole catene di amminoacidi prodotti da cellule batteriche e da funghi (lieviti). S. cerevisiae può secernere peptidi con dimensioni di 2-10 KDa in grado di inibire la crescita di O. oeni, così come molecole ad azione biocida verso H. uvarum e Brettanomyces; questi peptidi potrebbero rappresentare una alternativa al’SO2, il loro uso è particolarmente interessante perché selettivo verso alcuni generi microbici.

Tossine killer. Le tossine killer sono proteine o glicoproteine con dimensioni dai 50 ai 70 kDa, secreti dai lieviti come agenti inibitori di altre specie in competizione. Oltre a S. cerevisiae, dove questa attività è da tempo utilizzata per garantire la dominanza di ceppi selezionati, la produzione di tossine killer è stata osservata in Candida, Pichia, Debaryomyces, Metschnikowia, Kluyveromyces e Zygosaccharomyces, solo per citare le specie più affini al mondo enologico. Tra le applicazioni più recenti delle tossine killer vi è il contrasto allo sviluppo di Brettanomyces, con capacità di ridurre anche del 70% la popolazione presente nel vino, o l’accelerazione della lisi delle cellule dopo presa di spuma, per ottimizzare il processo di affinamento dello spumante sui lieviti. Come nel caso precedente, oltre che all’efficacia, l’interesse verso le tossine killer è dato dalla azione specie specifica, pertanto compatibile con i processi fermentativi.

Batteriocine. Le batteriocine sono composti con azione antimicrobica prodotti da batteri, in particolare batteri lattici. Per quanto ampiamente diffusi nel settore agroalimentare, la loro presenza ed azione è fortemente legata ai caratteri di ogni ceppo e dell’ambiente, ovvero dell’alimento. Nell’ambito enologico alcuni geni codificanti la sintesi di batteriocine sono stati identificati in O. oeni, ma ad oggi non è riportata una effettiva azione di batteriocine in vino.

Attività enzimatica. La produzione di enzimi litici da parte di lieviti e batteri legati al vino è una forma meno nota di antagonismo. Tuttavia, vi sono evidenze della capacità di alcuni lieviti e batteri enologici di produrre enzimi della classe delle β-glucanasi, attive sulla parete cellulare ed in grado di causare la rottura delle cellule, sia batteriche che fungine.

Composti organici volatili (VOCs). Sotto questo acronimo rientrano numerosi composti a basso peso molecolare (< C20) prodotti da lieviti sia nei principali metabolismi cellulari che attraverso vie dedicate. Le applicazioni presentate sono numerose e riguardano il controllo dei patogeni in campo, in post raccolta e sui prodotti finiti, nel nostro caso il vino. Il vantaggio principale di queste molecole risiede nel fatto che sono relativamente stabili, anche nel vino, al contrario degli enzimi e che non richiedono un contatto diretto tra microrganismi per esplicare la loro azione.

Interazioni cellula-cellula. Diverse ricerche hanno evidenziato la capacità dei lieviti di formare flocculi, composti da cellule dello stesso ceppo, ma anche da ceppi e specie differenti. Questa associazione fisica aumenta lo scambio metabolico tra le cellule e, di conseguenza, amplifica fenomeni di inibizione o stimolazione.

È stato dimostrato che il contatto cellula-cellula è coinvolto nelle interazioni antagonistiche tra S. cerevisiae e altri lieviti quali L. thermotolerans, T. delbrueckii, H. uvarum e S. bacillaris. Gli studi in tal senso non si sono limitati a classici testi di inibizione, ma hanno indagato le basi molecolari del fenomeno correlandolo a geni che codificano per le proteine adesive sulla superficie della parete cellulare. Analisi trascrittomiche hanno evidenziato che, durante la vinificazione e la spumantizzazione S. cerevisiae è in grado di modificare l’espressione dei geni coinvolti nella moltiplicazione asessuata, regolando lo stato di aggregazione cellulare e dunque la formazione di flocculi.

Conclusioni

Vista la crescente domanda di vini “salubri” e in un quadro di mutamenti climatici che tendono a rendere i vini meno stabili, l’uso di agenti di biocontrollo è certamente una strategia promettente. La varietà di meccanismi consente di ritenere plausibili che presto le applicazioni commerciali si moltiplichino, seguendo un filone già ben avviato che riguarda l’uso di lieviti non-Saccharomyces in cantina.

Resta la necessità di un’attenta validazione per sfruttare al meglio le potenzialità degli agenti di biocontrollo in ogni contesto produttivo e per verificare l’assoluta compatibilità coni microrganismi utili, coinvolti nel presso di vinificazione, siano essi indigeni o selezionati.

Il biocontrollo in enologia, una strategia promettente - Ultima modifica: 2023-04-26T14:26:16+02:00 da K4

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