Le vie del miglioramento genetico della vite

Produzione di somacloni, silenziamento dei geni geni S, TEA e selezione massale: sono, insieme agli incroci e alla selezione clonale, le tecniche di miglioramento genetico utilizzate oggi su vite. A che punto siamo?

Nel numero di dicembre 2025 di VVQ un approfondimento verticale sul miglioramento genetico della vite fa il punto su alcune delle tecniche oggi impiegate per produrre nuove varietà (o nuovi cloni) in grado di performare meglio, rispetto a quelle tradizionali, dal punto di vista fitosanitario, sul fronte qualitativo e su quello della tolleranza agli stress ambientali.

Sfruttare la variabilità somaclonale

Presso il Gruppo di Genomica Funzionale ed Ecofisiologia dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IPSP) di Torino, responsabile della piattaforma di miglioramento genetico della vite IMPROVIT, si sfrutta la variabilità somaclonale. Alla base dell’intera procedura vi è la rigenerazione di piante tramite embriogenesi somatica, un processo che, partendo dalla messa in coltura in vitro di migliaia di espianti fiorali raccolti in vigneto, porta alla produzione di callo embriogenico, un particolare tipo di tessuto costituito da cellule indifferenziate, concettualmente simili alle cellule totipotenti umane. Dal callo embriogenico si sviluppano embrioni detti somatici da cui vengono rigenerati nuovi individui, i somacloni. La peculiarità dell’embriogenesi somatica risiede nel fatto che il procedimento può portare naturalmente all’insorgere di variabilità somaclonale, variabilità genetica dovuta a mutazioni geniche o cambiamenti epigenetici, che può essere utilizzata ai fini del miglioramento genetico selezionando quegli individui dotati di maggiore resistenza a malattie e/o a stress ambientali.

Le potenzialità dei geni S

Presso l'Università degli Studi di Milano si sta lavorando sull'individuazione e caratterizzazione di geni "S" (ovvero di suscettibilità) in vite, legati alla sensibilità della pianta ad alcune malattie tra cui Peronospora, e sulla possibilità di "spegnere" questi geni utilizzando la tecnica del RNAi, o silenziamento post-trascrizionale, tramite somministrazione di molecole di dsRNA. Queste, sintetizzate in laboratorio, sono fornite dall’operatore alla pianta tramite soluzioni acquose nebulizzate sulle foglie. I geni VviLBD (Lateral Organ Boun-daries Domain) rappresentano un’importante famiglia di fattori trascrizionali presenti nel mondo vegetale. I membri di questa famiglia sono coinvolti nello sviluppo della pianta e nelle risposte a stress biotici e abiotici. Sebbene non ancora caratterizzati, in vite sono stati identificati 50 membri appartenenti a questa famiglia. A seguito dell’individuazione del gene S VviLBDIf7, presso l’Università degli Studi di Milano sono stati avviati nuovi studi sugli LBD, con l’obiettivo di individuare ulteriori geni S candidati. La famiglia degli LBD rappresenta dunque una interessante fonte di nuovi geni S da impiegare in programmi di miglioramento genetico.

L'editing genomico non genera "nuove varietà"

Attraverso interventi di genome editing mirato e privi di DNA esogeno (TEA), è possibile introdurre nei cloni di vite modifiche puntuali in geni ben caratterizzati, capaci di conferire una resistenza stabile e duratura alle principali malattie fungine senza alterare la composizione genetica complessiva del genotipo di partenza. A differenza dell’incrocio tradizionale, che ricombina interi patrimoni genetici e genera nuove combinazioni alleliche, l’editing agisce su un punto preciso del genoma, mantenendo invariata la struttura genetica della varietà. La pianta risultante è dunque geneticamente equivalente all’originale, salvo la mutazione introdotta. Da un punto di vista scientifico, l’editing genomico non genera una “nuova varietà”, bensì una variante clonale della stessa cultivar, analoga alle mutazioni somatiche che nel corso dei secoli hanno originato centinaia di cloni oggi iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite (RNVV). Un’altra opzione che le TEA offrono per migliorare la sostenibilità delle varietà tradizionali è l’introduzione, tramite cisgenesi, di geni di resistenza presenti nelle specie selvatiche del genere Vitis sessualmente compatibili con Vitis vinifera, come avviene nei programmi PIWI. Anche in questo caso si genererà un nuovo clone della varietà esistente. Le TEA rappresentano dunque un miglioramento intra-varietale, volto a preservare il patrimonio genetico e culturale della viticoltura europea, rendendolo più resiliente e sostenibile senza snaturarne l’identità. Tuttavia, sul piano giuridico e regolatorio, la situazione è ancora incerta. Le normative vigenti, in particolare il Regolamento (UE) 2018/848 sul biologico, la Direttiva 2001/18/CE sugli OGM e il Regolamento sul Materiale di Riproduzione delle Piante (PRM), oggi in revisione, non contemplano esplicitamente la categoria dei cloni editati.

Fare rete per un obiettivo comune: il progetto TEA4IT

Coordinato dal CREA, il progetto TEA4IT, con una visione onnicomprensiva, mira a sviluppare piante TEA resistenti alle malattie, ai cambiamenti climatici e di elevata qualità. A tal fine, il CREA ha riunito le principali eccellenze scientifiche italiane tra Università ed Enti di ricerca che si occupano delle principali colture del Made in Italy, tra cui ortaggi, cereali e colture arboree, con una particolare attenzione alla vite da vino e da tavola. Il progetto prevede la produzione di piante TEA e il loro trasferimento dal laboratorio al campo, passaggio fondamentale per la caratterizzazione dell’effetto delle mutazioni indotte. Il trasferimento in campo avverrà solo dopo verifica genetica, tramite il protocollo di sequenziamento definito dal Comitato Scientifico TEA istituito dal CREA, adottato da tutti i partner, come garanzia per ottenere piante NGT-1 assimilabili a quelle ottenute con metodi tradizionali o spontaneamente. Inoltre, il progetto TEA4IT intende approfondire conoscenze di base che aiutano a generare le piante TEA del futuro, attraverso l’identificazione di nuovi geni da intercettare con approcci di genome editing di nuova generazione, più sicuri per i consumatori. Si tenterà inoltre di identificare nuove proteine “Cas” prive di brevetti e di più libero utilizzo. In questo modo sarà possibile estendere l’applicazione delle nuove tecnologie a un numero sempre maggiore di colture.

Un banca "genetica" per la Ribolla

A Oslavia, una frazioncina di Gorizia tra i vigneti più periferici del Collio, è recentemente nata la Banca della Ribolla, il primo progetto locale per la conservazione del patrimonio genetico di un vitigno autoctono. Un’iniziativa privata che va oltre l’agricoltura per diventare atto di tutela culturale, memoria collettiva, strumento concreto per affrontare le sfide climatiche future. L’idea è promossa da APRO, Associazione Produttori Ribolla di Oslavia, che riunisce sette cantine storiche: Dario Princic, La Castellada, Primosic, Fiegl, Gravner, Radikon e Il Carpino. Nomi che da soli bastano a raccontare la storia dei vini macerati in Italia e della loro riscoperta contemporanea. Il progetto è partito tre anni fa su impulso di Alessandro Zanutta, agronomo e consulente viticolo che ha proposto ai sette produttori un percorso ambizioso: recuperare e preservare il patrimonio genetico della Ribolla attraverso la selezione massale, una tecnica antica oggi supportata da strumenti scientifici all’avanguardia.

Le vie del miglioramento genetico della vite - Ultima modifica: 2025-12-03T13:58:50+01:00 da Redazione

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