Una materia prima di scarto che si sta utilizzando in modo crescente in Italia proviene dalla lavorazione delle viti e dell’uva: la produzione energetica è indirizzata a procurare bioetanolo dall’alcol e dai residui cellulosici. Una coltura viticola considerata ad alta produttività, da una resa stimata di 500 quintali/ ettaro di uva (di cui il 70% è stimato mosto) e dalla quale si possono ricavare circa 5.200 kg di zuccheri semplici, glucosio e fruttosio (stimando un contenuto zuccherino del mosto del 15%), può produrre 3.100 litri di bioetanolo. Inoltre, per ogni ettaro coltivato a vite, si stima una produzione di 75 kg di olio di vinaccioli (utilizzabile per la produzione di biodisel o quale combustibile ad elevato rendimento termico), di circa 5 quintali di cellulosa proveniente dalle vinacce e di circa 10 quintali di cellulosa proveniente dal legno di potatura (per un totale di 10-15 quintali di cellulosa per ettaro). Dalla cellulosa, attraverso processi fisici ed enzimatici, è ottenibile un’ulteriore produzione di bioetanolo di seconda generazione stimata di 640-950 litri (dati ENEACentro Ricerche TRISAIA). Questi dati risultano particolarmente interessanti se comparati a quelli relativi alle colture tradizionalmente impiegate per la produzione dei biocarburanti, quali il sorgo zuccherino (con una produzione stimata di 5.000 litri bioetanolo/ettaro), la barbabietola da zucchero (4.500 litri bioetanolo/ ettaro), il mais (4.000 litri bioetanolo/ettaro), la colza (5.000 litri bioetanolo/ettaro). Recentemente una comunicazione della Commissione Europea a WIDEN (network europeo delle distillerie vitivinicole) ha precisato che “le fecce e le vinacce rientrano nella definizione di biomassa, di conseguenza anche il combustibile che ne deriva, a condizione che sia conforme ai criteri di sostenibilità della direttiva, rientra tra i suoi obiettivi”. Perciò il bioetanolo vitivinicolo – ha aggiunto la Commissione – può essere “oggetto di meccanismo premiante inteso come valore doppio rispetto agli obiettivi di energia rinnovabile nei trasporti e rispetto agli obblighi degli Stati membri in materia di energia rinnovabile imposti agli operatori”. Gli usi energetici di biomasse vitivinicole è favorito dalla deregulation del settore, che ora consente anche l’impiego dei sottoprodotti di vinificazione alternativo alla distillazione (non più obbligatoria). Ci sono diverse aziende che puntano sulle centrali per la combustione dei residui di lavorazione, attratte anche dalle tariffe incentivanti per la bioenergia (caso eclatante quello della Caviro). Le distillerie usano impiegare le vinacce esauste dopo che sono state disalcolate e dopo l’estrazione dei vinaccioli e l’essiccazione, per alimentare gli impianti interni, e tale tendenza è ormai diventata questione di sopravvivenza economica. Alcune distillerie e aziende si approvvigionano di vinacce senza distillarle e le destinano alla produzione energetica, consolidando il mercato degli usi alternativi alla distillazione. L’articolo 21 della Direttiva 28/2009/CE prevede, tra l’altro, i criteri di sostenibilità e contenuti energetici del bioetanolo prodotto a partire da biomasse residue dell’industria vitivinicola.