
Presso l'Università degli Studi di Milano si è svolto il convegno conclusivo del progetto di ricerca VITAVAL - Valorizzazione dei vitigni Piwi in Lombardia, che vede capofila il Consorzio Igt Valcamonica e come partner l’Università degli studi di Milano, la Comunità Montana di Valle Camonica – Ente gestore Parco Adamello, la Fondazione Fojanini e dieci aziende vitivinicole camune, valtellinesi, bergamasche e lecchesi.
Oltre a essere stati presentati i risultati, si è fatta luce su affascinanti (ma quanto mai concrete) prospettive future di miglioramento genetico della vite.
Piwi, un "fenomeno" in espansione in Italia e in Lombardia
Come ha ricordato Lucio Brancadoro, Università di Milano, attualmente sono 36 i vitigni resistenti iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite, pressoché equamente suddivisi tra vitigni a bacca rossa (18) e a bacca bianca (17), a cui se ne aggiunge uno a bacca rosa. Per la maggior parte essi sono stati selezionati in Italia (19), seguiti poi quelli di origine tedesca (13), ungherese (3) e ceca (1). La loro coltivazione è attualmente ammessa in 10 regioni italiane, tra cui la Lombardia, dove sono 29 i vitigni resistenti posti in osservazione. In tale regione, secondo un recente censimento promosso dal sito vinievitiresistenti.it, sono presenti oltre 30 aziende vitivinicole che coltivano uve Piwi e con esse producono vini, con circa 50 etichette presenti sul mercato. Se questi numeri possono sembrano ancora piccoli, è tuttavia un dato di fatto che l’interesse dei viticoltori verso i vitigni resistenti è crescente, spinto dai vantaggi che derivano dalla loro coltivazione e legati al ridotto numero di trattamenti fitosanitari che richiedono.
PRESENTAZIONE LUCIO BRANCADORO
L’adattamento dei Piwi agli ambienti colturali lombardi
Proprio per superare questa limitazione, nel 2023 ha preso il via il progetto VITAVAL, che ha studiato per due anni (2023 e 2024) 16 vitigni resistenti in aree montane e pedemontane della Lombardia, con lo scopo di superare la carenza di informazioni circa la risposta di questi vitigni nei diversi ambienti di coltivazione, dovuta alla loro recente introduzione nel panorama vitivinicolo regionale. I dati - ha spiegato Davide Modina, Università di Milano - sono stati raccolti sia in due campi di confronto varietale (Valtellina e Oltrepò Pavese), che nei vigneti delle aziende partner di progetto. Quello che emerge è una forte variabilità legata alle intrinseche caratteristiche varietali e una marcata risposta dei vitigni alle condizioni pedoclimatiche, sia nelle tempistiche di maturazione che nelle caratteristiche qualitative alla vendemmia. Queste differenze rappresentano un’opportunità concreta per rispondere alle diverse esigenze produttive e ambientali dei territori, permettendo di scegliere le combinazioni più adatte tra vitigno e ambiente, in funzione dell’obiettivo enologico.
Il futuro del miglioramento genetico della vite: nuove prospettive
Recenti studi sul germoplasma del Caucaso hanno identificato varietà resistenti a peronospora e oidio. Una tra queste, Mgaloblishvili, resistente alla peronospora, attiva una serie di difese che bloccano la crescita del patogeno, come produzione di callosio, enzimi che degradano la parete cellulare del fungo, sostanze ad attività antimicrobica. In questo meccanismo, i geni di suscettibilità sembrano avere un ruolo chiave: sfruttati dal patogeno per instaurare l’infezione, risultano disattivati nelle varietà resistenti. Queste conoscenze aprono nuove prospettive per il miglioramento genetico della vite. Se da un lato la disattivazione dei geni di suscettibilità può essere attuata con le tecnologie di evoluzione assistita (TEA), dall’altro si propone, oltre all’introduzione di geni di resistenza tramite il miglioramento genetico tradizionale, l’eliminazione dei geni di suscettibilità per ostacolare precocemente lo sviluppo del patogeno.
PRESENTAZIONE GABRIELLA DE LORENZIS