Oggi esistono tecniche diverse e complementari basate su analisi degli isotopi stabili, genomica e metabolomica, che possono fornire importanti informazioni su provenienza e qualità dei prodotti enologici. Tuttavia il vino rimane una delle bevande alcoliche più complesse e nel suo codice genetico si nascondono ancora alcuni segreti. Uno, in particolare: l’identità delle uve utilizzate per produrlo. E' quanto emerge da un recente studio condotto dalla Fondazione Edmund Mach sui vini Brunello di Montalcino, Lambruschi Modenesi e Trentodoc, una delle più complete indagini sulla tracciabilità genetica dell'intera filiera enologica. Questa ricerca rappresenta un passo in avanti per la verifica del rispetto dei disciplinari di produzione che prevedono la purezza varietale o l’impiego di vitigni in proporzioni definite, aspetti questi che hanno delle implicazioni sia per la tutela della tipicità che per l’identificazione delle frodi. La scoperta. Ottenere il profilo del DNA da foglie, tralci, uva o radici è una pratica consolidata per l’identificazione delle varietà di vite, mentre il riconoscimento delle varietà nel vino reale è ancora controverso. Prelevando campioni da numerose fasi di lavorazione dell’uva e dei mosti, fino ai vini commerciali, i ricercatori hanno dimostrato che durante il processo di fermentazione il DNA dell’uva diminuisce e alla fine subisce dei cambiamenti che ne ostacolano la lettura. La pubblicazione scientifica e le due ricerche. La sperimentazione è stata descritta nel Journal of Agricultural and Food Chemistry, una rivista dell’American Chemical Society, che riporta i risultati di due importanti ricerche finanziate dal Consorzio del Vino Brunello di Montalcino per la filiera produttiva del vino Brunello di Montalcino, e da AGER - Fondazioni in rete per la ricerca agroalimentare - per le filiere dei Lambruschi Modenesi e del Trentodoc. Autori della pubblicazione scientifica sono Valentina Catalano, Paula Moreno-Sanz, Silvia Lorenzi e Stella Grando. Utilità. Con questo articolo i dettagli della sperimentazione sono messi a disposizione di tutti coloro che hanno dubbi e domande sulla tracciabilità genetica dei vini, e di chi intende proseguire su questa strada o cercare approcci alternativi. Oltre ad aver valutato la riproducibilità di metodi già pubblicati, lo studio ha identificato infatti anche marcatori genetici vitigno-specifici che permettono di determinare la quantità relativa di due o più varietà di uve in miscele di DNA in laboratorio. Il riconoscimento del Dna è possibile fino a oltre metà della fermentazione. “Analizzando il DNA estratto da vino risulta ancora difficile risalire alla combinazione di vitigni utilizzata. Il riconoscimento è attendibile fino a oltre metà della fermentazione, dopodiché la quantità di DNA diventa residuale. Ne deriva che per quanto il DNA sia la molecola ideale per l’autenticazione dell’origine varietale e per stabilire la composizione varietale di una matrice, allo stato attuale l’analisi del DNA isolato da vini non garantisce risultati riproducibili”, spiega Stella Grando, responsabile del gruppo genetica della vite FEM. “Il DNA dell’uva subisce modifiche tali che l’analisi PCR viene inibita: DNA scarso, molto frammentato, a singolo filamento e in certi casi contaminato da sostanze che ne impediscono l’amplificazione”. La pubblicazione Catalano V, Moreno-Sanz P, Lorenzi S, Grando M.S. (2016). “Experimental review of DNA-based methods for wine traceability and development of a single-nucleotide polymorphism (SNP) genotyping assay for quantitative varietal authentication”. Journal of Agricultural and Food Chemistry 64, 6969−6984.
Dai ricercatori della Fondazione Edmund Mach
L’origine varietale si riconosce nell’uva e nei mosti, ma si confonde nel vino
Pubblicato ampio studio sulla tracciabilità genetica della filiera vitienologica