Il segreto della continuità è nascosto in un rigoglioso vigneto-giardino circondato da alte mura.
Dove la ruota del tempo gira incessantemente da oltre un millennio, spinta dalla ragione dell’uomo e dalla sua continua ricerca del buono e del bello. Un segreto che si svela in luoghi magici come il Castello di Roncade, nella pianura alluvionale tra Venezia e Treviso. Il centro decisionale dell’azienda vitivinicola dei Baroni Ciani Bassetti è in realtà una dimora signorile cinquecentesca, Villa Giustinian, ingentilita dalla raffinata loggia con due ordini di arcate che ne impreziosisce l’entrata.
Le mura merlate che la circondano non hanno mai avuto un significato militare, piuttosto difendono da sempre le villeggiature delle nobili famiglie veneziane ospiti della magione (enoturisti ante litteram) e il ritmo stagionale delle lavorazioni in vigneto.
Mentre tutt’intorno la cittadina di Roncade cresceva nervosamente per inseguire sogni industriali e velleitari centri commerciali, dentro le mura del Castello, dall’inizio del XX secolo, tre generazioni di Ciani Bassetti hanno preservato uno degli ultimi esempi funzionali dell’economia rurale dell’entroterra della Serenissima e, puntando sulla vitivinicoltura, sono arrivati ad esportare le proprie raffinate produzioni in mezzo mondo (l’80% del mezzo milione di bottiglie prodotte prende la strada dell’estero).
Cambiare per affrontare un mondo che muta
Il blasone della famiglia di Claudio Ciani Bassetti, che oggi ha ricevuto il testimone della guida dell’azienda dal padre Vincenzo, è paragonabile a quello del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, ma la filosofia è decisamente diversa, tutt’altro che fatalista. «Bisogna cambiare tutto: varietà, tecniche di produzione, portinnesti, perché tutto attorno il mondo cambia». E viceversa: il mondo cambia perché motivati imprenditori come Ciani Bassetti non smettono di innovare.
«Nel brolo della Villa – dice – viene coltivata da oltre 500 anni la vite e oggi trovano spazio le tre varietà dell’uvaggio della nostra etichetta più importante, ovvero il Villa Giustinian». «Primo esempio di taglio bordolese riadattato alle condizioni pedoclimatiche del Belpaese, sviluppato da mio nonno negli anni ‘50».
Oggi il baricentro della produzione aziendale pende però soprattutto sul versante dei vini bianchi. Nei 120 ettari vitati, dislocati in più corpi tra Roncade e Mogliano Veneto (sempre in provincia di Treviso), trovano sempre più spazio Pinot grigio, Chardonnay e la Glera per l’immancabile Prosecco Doc. «Ma non rinunciamo a varietà autoctone come Incrocio Manzoni e Raboso, capaci di marcare le caratteristiche del nostro territorio».
Una partnership sinergica
Il peso di questa lunga tradizione non impedisce a Claudio Ciani Bassetti di giocare la carta della continua innovazione. «Oggi gestiamo il vigneto in maniera più moderna, raccogliendo con competenza e flessibilità l’impegnativa sfida lanciata dal climate change».
«Con i Vivai Cooperativi Rauscedo ad esempio – spiega -abbiamo un rapporto storico: testiamo da sempre le novità che vengono sviluppate riguardo ai nuovi cloni e ora soprattutto ai portinnesti». «La storia della nostra famiglia dimostra infatti che servono buone radici per poter durare nel tempo».
Una vera partnership sinergica quella tra Castello di Roncade e la realtà leader mondiale del settore vivaistico viticolo, con stimoli tecnici che vengono lanciati e raccolti in entrambe le direzioni. «Grazie alla collaborazione di Vcr – racconta Ciani Bassetti – abbiamo ad esempio recuperato i genotipi di Cabernet franc, Cabernet sauvignon e Merlot utilizzati da mio nonno per l’uvaggio originale del Villa Giustinian». Il materiale genetico selezionato e utilizzato per il vigneto storico, con vecchie vigne ormai ultra settantenni, è infatti stato salvato, moltiplicato in vivaio e portato a nuova vita negli impianti dei filari coltivati oggi nel brolo della villa.
Stress idrici e salini
La sfida tecnica più recente è invece quella che riguarda i nuovi portinnesti della serie M. L’impatto degli eccessi termici e radiativi innescati dal climate change si sente infatti ormai, e parecchio, anche in questo angolo di pianura veneta dove un tempo a preoccupare erano piuttosto i ristagni idrici legati alle piene del Sile e delle risorgive del Musestre, l’affluente che scorre poco oltre le mura del Castello di Roncade.
«A causa – spiega Yuri Zambon, responsabile tecnico commerciale di Vcr – della frequenza con cui si ripresentano, anche nella pianura veneta, i lunghi periodi caldi e siccitosi che hanno ad esempio caratterizzato l’annata 2022, lo strato di caranto e i suoli franco limosi che caratterizzano questo territorio non mettono ormai più i vigneti al riparo dal rischio di stress idrico e salino».
Un’evoluzione climatica prevista e a cui ha fatto fronte, con lungimiranza, l’intenso programma di miglioramento genetico avviato dall’Università di Milano dall’inizio degli anni ’80 e culminato nel 2014 con l’iscrizione al registro nazionale dei 4 portinnesti della serie M. Un’attività che va avanti ancora oggi con le valutazioni delle performance quali quantitative dei nuovi portinnesti nei diversi areali vitati.
Winegraft, l’associazione di scopo che riunisce 9 realtà della viticoltura nazionale, gestisce i diritti commerciali dei nuovi portinnesti la cui commercializzazione è affidata in esclusiva mondiale a Vcr.
Cambiare il “piede”
«Per oltre un secolo – ricorda Zambon – ovvero dalla fine dell’emergenza fillosserica di inizio ‘900, la filiera del vino non si è preoccupata delle radici». «Ancora oggi il vigneto Italia è innestato per il 90% solo su 5 genotipi: 1103 Paulsen, 110 Richter, Kober5BB, SO4, 140 Ruggeri».
Qualcosa però si sta muovendo e la scintilla del cambiamento deriva dagli effetti sempre più vistosi del cambiamento climatico. «La rete di esperienze con i portinnesti della serie M – illustra Zambon – allestite grazie alla collaborazione di importanti aziende nelle diverse condizioni pedoclimatiche italiane, dal Trentino (piovosità da 900 mm all’anno), al Veneto, Marche, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria fino alle aree interne della Sicilia (400 mm di pioggia all’anno) ne hanno fatto emergere l’adattabilità alle diverse condizioni climatiche, ai diversi abbinamenti varietali e ai diversi obiettivi enologici». Nelle difficili condizioni del 2022 è emersa in particolare, un po’ ovunque, la forte resistenza alla siccità e al calcare assicurata da M4.
«Una virtù che era stata indicata chiaramente dall’Università di Milano». Oggi le superfici di piante madri per questi portinnesti sono in crescita e le disponibilità di barbatelle innestate sono concentrate soprattutto sul duttile M2 (54%) a fronte di un 8% sia per M1 che per M3 e del 30% circa per M4. Ma la quota di queste ultime è destinata a salire.
Questi sono infatti i risultati emersi nei confronti tra i 4 portinnesti della serie M e 110R usato come standard di riferimento:
- M1: vigoria -30%, antociani e polifenoli +15%, resa al calcare elevata;
- M2: stesso vigore di 110R, produzione indotta +20%, antociani e polifenoli -4%. Alta propensione al reimpianto;
- M3: vigoria -40%, antociani +15%,
- M4: vigore +10%, resistenza alla siccità molto elevata.
Risorse per la sostenibilità
«Dati che mettono in evidenza – conclude Zambon – come i portinnesti della serie M siano risorse preziose per la duplice necessità di mitigare gli stress biotici ed abiotici indotti dal cambiamento climatico e al tempo stesso di ridurre gli input (prima di tutto di acqua) rendendo più sostenibile la produzione vitivinicola».
Emerge così, per gli ambienti del nord Italia, la convenienza a preferire un portinnesto come M2, piuttosto che So4 o K5bb, per le combinazioni ad esempio con i cloni di Glera in Veneto e Friuli. L’M4 ha una decisa marcia in più nel Meridione e ovunque l’acqua costituisce l’elemento più limitante.
La collaborazione con Castello di Roncade, grazie alla profondità della gamma dei vini prodotti da Ciani Bassetti e dei diversi obiettivi enologici perseguiti, assicura poi a Vcr ulteriori responsi. Ad esempio riguardo ai vantaggi legati all’utilizzo di portinnesti come M1 e M3 in vigneti caratterizzati da maggiori densità d’impianto e destinati alla produzione di vini di pregio, in particolare rossi, grazie alla capacità di indurre una maggiore concentrazione di polifenoli e antociani. E la risposta di tutti questi genotipi alle mutate condizioni climatiche dell’annata appena conclusa, penalizzata, all’opposto del 2022, dalle pesanti e ripetute precipitazioni primaverili, mette in luce la flessibilità che contraddistingue tutta la serie M. «I vantaggi – spiega Zambon – assicurati da M2 ed M4 rispetto agli eccessi termici e alla ridotta disponibilità idrica sono ovviamente risultati meno evidenti, ma tutti e quattro i portinnesti si sono dimostrati in grado di superare efficacemente le condizioni di ristagno idrico che hanno caratterizzato la stagione».
La scelta del portinnesto giusto sta diventando così il più formidabile strumento per governare il vigneto nell’epoca del cambiamento climatico. «Una scelta – ammonisce Zambon – che, se si vuole perseguire l’obiettivo della continuità del vigneto, non deve più essere fatta con superficialità, pensando solo al migliore abbinamento con la varietà da coltivare, ma in base al clone, al modello viticolo adottato e all’obiettivo enologico perseguito».
Un ponte fra ricerca, vivaismo e viticoltura
Oggi la necessità di fare fronte agli effetti del climate change è sotto gli occhi di tutti, 40 anni fa, quando a Milano è partito il coraggioso progetto di ricerca che ha riallacciato il filo del miglioramento genetico dei portinnesti un secolo dopo la messa a punto degli incroci che consentirono il recupero post fillosserico del vigneto italiano, questa esigenza non era così evidente.
E nemmeno lo era 10 anni fa, quando il Dip. Disaa di Milano promosse l’esperienza di Winegraft, l’associazione di scopo che ha coinvolto e responsabilizzato importanti aziende vitivinicole italiane garantendo i fondi necessari per lo sviluppo dei portinnesti M. Una capacità di visione, quella dell’Università di Milano che ha consentito di creare un solido ponte tra ricerca, viticoltura e vivaismo.
«Da parte nostra – afferma Yuri Zambon – non smetteremo di ringraziare i ricercatori del Disaa per la capacità progettuale e per la fiducia accordata ai Vivai cooperativi Rauscedo a cui è affidata la moltiplicazione e commercializzazione della serie M».