
Nel corso dell'evento “L'Economia del vino: Strategie, Sfide e Opportunità tra Europa e Competitività”, svoltosi durante il Vinitaly presso lo stand di Confagricoltura è stata presentata la terza edizione del “Rapporto sulla competitività delle regioni del vino”, realizzato da Nomisma Wine Monitor in collaborazione con UniCredit e dibattere, alla luce risultanze dell’analisi, sui complessi scenari che il settore vitivinicolo italiano dovrà affrontare.
Alla presentazione del Rapporto da parte di Denis Pantini, Responsabile Nomisma Wine Monitor, è poi seguito un confronto, moderato dal giornalista Luciano Ferraro, tra Massimiliano Giansanti, Presidente Confagricoltura e Remo Taricani, Deputy Head of Italy UniCredit sulle tendenze, le criticità e le opportunità, attuali e prospettiche, che gli operatori della filiera vitivinicola italiana devono gestire.
Dichiara Remo Taricani, Deputy Head of Italy di UniCredit: «La fotografia della filiera vitivinicola italiana che emerge dalla ricerca Nomisma è, relativamente all’anno appena trascorso, quella di una realtà dinamica e competitiva. Un’immagine coerente con il supporto di UniCredit alle aziende del settore, in aumento nel 2024 dell’11%, con oltre 220 milioni di nuovi finanziamenti. Nonostante il nuovo scenario di incertezza regolamentare e di tensione commerciale a livello globale, siamo certi che la nostra Banca possa continuare a ricoprire un ruolo di primaria importanza per le imprese, aiutandole a portare avanti efficaci strategie di diversificazione dei mercati di sbocco».
Commenta Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura: «Gli agricoltori stanno affrontando da tempo difficoltà importanti: dall’aumento dei costi di produzione alle pressioni legate al clima. I dazi USA aggiungono ulteriore incertezza e tensione finanziaria al nostro settore, colpendo produttori e consumatori. Garantire la nostra sicurezza alimentare deve essere la bussola dell'Europa, poiché la nostra sicurezza nazionale comune inizia proprio da lì. Il nostro auspicio arrivare a un negoziato che riporti a una relativa normalità».
«La resilienza dimostrata dalle imprese vinicole italiane negli ultimi anni continua ad essere messa a dura prova con i dazi imposti da Trump, una sfida che ci ricorda quanto sia importante diversificare maggiormente i mercati di sbocco, visto che i primi cinque concentrano ben il 60% del nostro export di vino», ha evidenziato Denis Pantini, Responsabile Agrifood & Wine Monitor di Nomisma
I dati dell'Osservatorio Wine Monitor
• Dopo un 2023 che ha visto l’import mondiale di vino contrarsi di oltre il 5% rispetto all’anno precedente, nel 2024 il tanto atteso rimbalzo non c’è stato. Considerando i primi 12 mercati di import di vino (il cui peso sugli scambi mondiali supera il 60%), solamente quattro di questi hanno registrato crescite nelle importazioni a valore (Stati Uniti, Canada, Cina e Brasile)
• Rispetto a tale scenario, l’Italia ha portato a casa un risultato positivo (+6% a valore), trainato soprattutto dagli spumanti tricolori (+9%) le cui esportazioni incidono ormai per il 30% sulle vendite frontiera complessive di vino italiano. Gran parte di questo merito è ascrivibile al Prosecco, il cui export è aumentato dell’11% nell’ultimo anno.
• Al contrario di quanto accaduto invece alla Francia, il cui 2024 si è chiuso nuovamente in calo (dopo il -3% del 2023) per un-2,4%, generato dal crollo dei propri spumanti le cui vendite all’estero sono diminuite del 6,5% (in questo caso, colpevole lo Champagne il cui export è diminuito dell’8%).
• Allargando la visuale del confronto agli ultimi dieci anni, l’Italia figura come il paese il cui export di vino è cresciuto di più tra tutti i competitor: +60% contro il +51% della Francia e il +33 della Nuova Zelanda.
• Il nostro vino arriva oggi ai quattro angoli del pianeta, ma in alcuni di questi appare troppo concentrato. Il 60% dell’export vinicolo italiano si concentra in appena 5 paesi, con gli Stati Uniti in testa (24%). La Francia presenta un indice di concentrazione (sempre rispetto ai primi 5 mercati di sbocco) del 51% (con un peso degli Usa del 20%), la Spagna è al 48% (incidenza Usa dell’11%).
• Restando in tema, anche le esportazioni regionali denotano alti livelli di concentrazione. Il solo Veneto pesa per il 37% sull’export di vino nazionale, seguito da Toscana e Piemonte con il 15% entrambi. Aggiungendo Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna, si arriva ad un’incidenza dell’80%.
• Lo stesso poi si desume per i vini a denominazione. Guardando al peso degli Stati Uniti sull’export dei vini Dop, si evince come i bianchi del Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia hanno nel mercato americano il principale paese di sbocco (48% del proprio export), così come per i rossi Dop della Toscana (40%) e a seguire i rossi del Piemonte (31%).
• Una prima ricognizione sui mercati che nell’ultimo decennio hanno maggiormente aumentato gli acquisti di vino italiano mette in evidenza paesi situati soprattutto nell’est Europa e in Asia. Rispetto ad un tasso medio di crescita dell’export di vino italiano del 5% (CAGR 2014/2024), i paesi che hanno mostrato tassi almeno doppi vanno dalla Corea del Sud (+10% annuo) alla Polonia (+13%), dal Vietnam (+18%) alla Romania (+20%).
• Una consumer survey realizzata da Nomisma per il III° Rapporto Wine Monitor-Unicredit sulla competitività delle Regioni del Vino su quasi 2.000 consumatori di vino localizzati nei 3 Stati di maggior consumo, vale a dire New York, California e Florida, si è soffermata sul tema dei cambiamenti nelle preferenze gustative che vede oggi il consumatore americano fare più attenzione ai vini di qualità (33% dei consumatori si è espresso in tale senso), ricercare vini di differenti regioni e territori (28%) ma prestare anche più attenzione alla salute, ad esempio acquistando vini rossi più leggeri e a minor contenuto alcolico. Senza tralasciare gli aspetti “green” particolarmente attenzionati dai consumatori più giovani.
• In questo contesto, dove il 65% della popolazione dei tre Stati analizzati ha dichiarato di aver consumato vino nell’ultimo anno, 7 su 10 hanno orientato la propria preferenza di consumo verso un vino italiano.
• Le ragioni che hanno spinto questi consumatori a bere un vino italiano discendono dai valori espressi, principalmente riconducibili alla tradizione, alla varietà dei vitigni autoctoni e alla qualità riconosciuta, sia a livello internazionale che rispetto al connubio con un “giusto” prezzo.