Mercoledì 18 giugno 2014 a Roma si è svolta l’audizione delle associazioni/organizzazioni della filiera vino presso la Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, nell’ambito della discussione sulla proposta di legge C 2236 Sani, “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino” – Testo Unico della vite e del vino. FIVI – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti è intervenuta sollecitando l’attenzione del legislatore su alcuni punti molto importanti per ottenere un testo finale che sia il più possibile chiaro e risponda alle esigenze espresse dai vignaioli/produttori italiani, e sia altrettanto rispettoso del diritto dei consumatori alla completa e corretta informazione Questii punti caldi del documento “Osservazioni al testo unico” elaborato dal Prof. Michele A. Fino, docente UNISG per Fivi, ed esposti dalla Presidente della Federazione Matilde Poggi (foto) alla Commissione:
– L’Art. 8 c.1 (Titolo II) definisce vitigno autoctono italiano il vitigno la cui presenza è rilevata in aree geografiche delimitate del territorio nazionale. Questo significherebbe che qualsiasi vitigno, una volta piantato in Italia, diventerebbe automaticamente autoctono. Vi è una distanza abissale tra il sentito di consumatori e produttori e la lettera della legge. Questa distanza va superata. La proposta è piuttosto di evitare il ricorso alla definizione di autoctono; la si lasci all’ambito della critica enologica e della cultura gastronomica nazionale, ma si eviti di sancire giuridicamente una NON-DEFINIZIONE. Perché questa norma aprirebbe allo scempio del patrimonio ampelografico nazionale, dato che consentirebbe la registrazione come autoctono di qualsiasi cosa sia piantata alla data della sua entrata in vigore, senza riguardo né per le tradizioni produttive Italiane né per il valore che hanno le vere peculiarità viticole nazionali sul mercato globalizzato: un patrimonio di biodiversità impareggiabile a livello mondiale. – L’Art. 52 (Titolo III) sulla Designazione, presentazione e protezione dei vini DOP e IGP rinvia alle disposizioni comunitarie e nazionali. FIVI ritiene assolutamente necessario che all’Art. 53, sull’Impiego delle denominazioni geografiche, venga aggiunto un comma che permetta di indicare la REGIONE in cui ha sede l’azienda viticola, anche se tale nome è una DO o IG. Ciò deve avvenire se non sull’etichetta, intesa come dicitura sulla bottiglia, almeno come indicazione sul sito e sui materiali aziendali. Occorre cioè distinguere, come NON fa il legislatore europeo e di conseguenza quello nazionale, tra etichettatura vera e propria e informazioni equiparate all’etichettatura, ma che hanno una ben diversa (e spesso nulla) capacità di creare confusione. L’interesse a proteggere dalle usurpazioni le DO e le IG non può portare al paradosso per cui un’azienda si trova privata del potere di indicare, sul proprio materiale di comunicazione, dove ha sede. – L’Art. 58 (Titolo III) tratta dell’istituto della diffida per le infrazioni minori, per permettere di sanare l’irregolarità accertata con un richiamo formale. Secondo FIVI il limite minimo individuato di 600 euro è assolutamente troppo basso, dato che qualunque infrazione del tutto involontaria delle norme di etichettatura comporta una sanzione minima di 2000 euro (vd. art. 60 del Testo Unico). La proposta è di estendere l’applicazione della diffida a tutte le fattispecie in cui la sanzione è amministrativa, e non ci sia pericolo per la salute pubblica derivante dalla condotta del produttore che ha infranto le norme.