Il rame è un prodotto unico per la protezione delle piante, tra i primi disponibili e con lo spettro d’azione più ampio. In pratica è efficace contro quasi tutte le malattie fungine e batteriche, nella maggior parte dei casi in maniera diretta, inibendo una serie di processi cellulari del patogeno, e in diversi altri indirettamente mediante l’ispessimento delle pareti cellulari della pianta.
Da solo o in compagnia
Oltre all’efficacia diretta quando somministrato da solo, è fondamentale come coformulante, assieme a prodotti penetranti, al fine di scongiurare fenomeni di resistenza, anche alla luce del fatto che i partner di copertura di prodotti in grado di essere assorbiti dalla pianta si riduce sempre più.
A questi aspetti positivi si associano altri negativi, come l’efficacia a dosi molto più elevate di quelli della maggior parte degli altri agrofarmaci, in quanto nel corso della stagione si possono distribuire diversi chilogrammi di questa sostanza attiva, mentre con gli altri agrofarmaci (eccetto zolfo) si giunge al massimo a poche centinaia di grammi.
Il rame è da 144 anni il protagonista della difesa dei vigneti (la ricetta della poltiglia bordolese di Millardet risale al 1878).
Ingrediente apparentemente insostituibile delle strategie di protezione adottate sia in regime integrato che biologico, ma la Commissione europea non lo ritiene più tale.
In seguito alla revisione della normativa fitosanitaria Ue del Reg. 1107/2009 è infatti inserito nella lista dei “prodotti candidati alla sostituzione” (decisione del Reg 2015/408 confermata dal Reg. 1981/2018).
In base a tale definizione l’autorizzazione all’utilizzo di questa sostanza ha una durata più limitata e nel 2025 questa autorizzazione potrebbe scadere alla luce dell’introduzione di possibilità alternative di difesa contro batteri e funghi. In più, il suo utilizzo è stato fortemente condizionato e contingentato (max 28 Kg/ha in 7 anni) prima nel regime bio e ora anche nell’integrato a causa della sua persistenza nel suolo.
In vista di questa evenienza VVQ, Vigne, Vini e Qualità ha chiesto ad alcuni tra i massimi ricercatori italiani nella difesa delle colture se sostituire il rame è una missione veramente sostenibile per i viticoltori. Dalla sintesi delle interviste che trovate su questo sito è stato ricavato l’articolo speciale pubblicato sul numero 2/2022 di VVQ magazine.
Intervista pubblicata sul numero 2/2022 di VVQ
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L’accumulo nel suolo e nei sarmenti
Indagini svolte in diversi ambienti ne hanno evidenziato l’accumulo nel terreno e sui sarmenti, su questi ultimi anche dopo le piogge invernali, con una quantità proporzionale alla dose irrorata. A tali dati si associa l’attività fitotossica (che entro certi limiti si può considerare favorevole per l’ispessimento della cuticola) e tossica verso i microrganismi terricoli. Tutto ciò, nel complesso, espone il rame a verifiche sulla sostenibilità ambientale delle sue applicazioni, sebbene il prodotto sia tuttora fondamentale per la gestione di alcune avversità, tra cui la peronospora della vite, soprattutto in biologico.
Le crescenti esigenze di tutela dell’ambiente rischiano di interessare in un prossimo futuro anche altri principi attivi basati su sostanze naturali, sebbene ora derivati dal petrolio, quali lo zolfo. La messa in discussione di tali baluardi per la protezione delle piante può comportare gravi difficoltà nella protezione delle piante in un prossimo futuro: qualora si rinvengano appropriati sostituti, ciò potrebbe determinare un deciso incremento dei costi per l’agricoltore.
I rischi di una valutazione sempre più selettiva
Un recente ricorso della task force rame contro la classificazione come prodotto candidato alla sostituzione è stato respinto dalla Corte di Giustizia Ue. La sentenza sostiene, tra l’altro, che questo prodotto non è più insostituibile né come battericida né come fungicida, una tesi scientificamente condivisibile?
La valutazione degli agrofarmaci rientra in un processo più ampio di crescenti richieste di salubrità e sostenibilità da parte dell’opinione pubblica.
Dai dati disponibili emerge l’affidabilità della produzione agricola italiana, con residui di agrofarmaci ben al di sotto di quelli medi Europei, a loro volta più bassi di quelli delle derrate provenienti da Paesi extra-europei. La corsa a una valutazione sempre più selettiva degli agrofarmaci determina effetti pratici quali la riduzione delle opzioni disponibili per gli operatori agricoli, che già ora sono spesso ai limiti della sostenibilità economica, e può comportare difficoltà nell’attuazione di strategie anti-resistenza, con conseguente rischio di comparsa di isolati di patogeni resistenti ad una o più classi di fungicidi.
La microfrontiera degli aptameri
In base alle esperienze e alle prove sperimentali quali prodotti o strategie sono più efficaci per contenere il dosaggio di rame nella difesa della vite?
Il contenimento delle dosi di rame nella protezione della vite richiede una serie integrata di misure che possano contribuire allo scopo, che non esclude nessuna opzione tra quelle oggi disponibili. I DSS, sistemi di supporto alle decisioni, rappresentano uno strumento sempre più diffuso per l’ottimizzazione delle applicazioni anche in riferimento alle condizioni ambientali previste. Ciò richiede aziende reattive in grado di programmare applicazioni nel breve periodo, tenendo conto di eventuali mutamenti nel rischio di infezione.
I vitigni resistenti, le cui opportunità di coltivazione sono state recentemente ampliate, possono dare un buon contributo alla riduzione del numero di trattamenti, con l’accortezza di tener sotto controllo eventuali avversità secondarie generalmente contenute dagli apporti cuprici. L’uso di alternative al rame è una delle priorità della ricerca in campo vitivinicolo, con una serie di sperimentazioni attive dalle quali emergono risultati molto promettenti, che coinvolgono agenti di biocontrollo, sostanze naturali o altre sostanze innovative (ad es. gli aptameri, acidi nucleici con la proprietà di legarsi selettivamente a una specifica proteina).
La risorsa chitosano
Tra le sostanze naturali, sta crescendo l’interesse per le sostanze di base che essendo già liberamente impiegate per altre applicazioni in campo medico o alimentare, non richiedono le stesse prove tossicologiche ed ecotossicologiche necessarie alla registrazione di un agrofarmaco. Al momento ne abbiamo 23 disponibili e diverse di queste sono state applicate per il controllo di malattie della vite. Alcune di queste sostanze di base esplicano la loro azione attraverso più di un meccanismo d’azione, in quanto possono avere un’attività antimicrobica e/o elicitante e/o filmogenica, e l’efficacia può derivare dall’interazione dei diversi meccanismi d’azione.
Giusto a titolo di esempio, nelle attività previste dal progetto PSR Marche Vitinnova, due aziende vitivinicole partecipanti al progetto (Moncaro e Belisario) hanno utilizzato in un triennio un formulato della sostanza di base chitosano sia da solo, sia applicato nella seconda metà della stagione oppure irrorato in combinazione con dosi dimezzate di rame, ottenendo livelli di protezione paragonabili a quelli rilevati a seguito di trattamenti cuprici. Inoltre, i mosti ottenuti da uve trattate con chitosano avevano una concentrazione di rame dimezzata rispetto a quello delle uve trattate con rame.
Diffidare di prodotti non registrati
Il comparto delle formulazioni sta facendo passi da gigante e questo ha determinato negli ultimi decenni effetti molto positivi nella riduzione dei dosaggi di rame. Oggi in alcuni prodotti (non registrati in realtà come agrofarmaci) il rame viene complessato con acido citrico o amminoacidi di origine vegetale risultando efficace a concentrazioni pari al 5%. E sono in corso prove per sviluppare formulati di rame nanotech. Può essere l’avvio di un futuro in cui il rame sarà applicato solo in maniera localizzata, magari con droni o in endoterapia?
La ricerca è particolarmente attiva nell’ambito delle formulazioni cupriche e si presume che nei prossimi anni possano esser messi a disposizione dell’agricoltore agrofarmaci ugualmente efficaci con contenuti di rame sempre più contenuti. Ricordiamo però che gli agrofarmaci sono gli unici prodotti che possono essere applicati con l’obiettivo della protezione delle piante, passando attraverso un lungo, complesso e costoso processo di registrazione, che offre le dovute garanzie all’utilizzatore e al consumatore per quanto riguarda il loro utilizzo.
Oltre a questi sono in commercio prodotti con registrazione diversa, applicabili in talune condizioni, che hanno un’attività collaterale nei confronti delle malattie, più o meno esplicita. La norma vuole però che vengano registrati tutti gli apporti cuprici, da qualunque fonte. C’è un’attenzione crescente verso residui di diversa natura presenti sui prodotti alimentari, vino incluso, pertanto i viticoltori devono attenersi a norme sempre più stringenti, ma allo stesso tempo devono essere messi nelle condizioni di applicare strategie di protezione in grandi di assicurare produzioni di qualità e in quantità appropriate.
Riguardo invece all’uso delle nanotecnologie e dell’agricoltura di precisione, al momento soprattutto a livello di ricerca, nel prossimo futuro potrà fornire ulteriori soluzioni utili a fornire un ulteriore contributo ad una protezione delle piante sempre più sostenibile.
L’esplosione di patogeni secondari
Sulla vite è recente la revoca del mancozeb, una decisione che ha determinato, in alcune zone, l’incremento di patogeni secondari (come Black Rot). La revoca del rame può produrre effetti collaterali simili?
Il mancozeb ha rappresentato un prodotto storico, fra i primi prodotti organici alternativi al rame, e in alcuni casi (es. escoriosi, peronospora della cipolla), con efficacia ben superiore a quella dei prodotti cuprici. Se capiterà, dovremo adottare soluzioni e strategie che lo possano sostituire, così come per tutti gli altri prodotti revocati. Speriamo però che il rame possa restare utilizzabile a lungo perché, per le molteplici caratteristiche e l’ampio spettro d’azione non sarà facile da sostituire.
I rischi per il biologico
Il biologico è il settore che ha più da perdere dalla revoca del rame?
La strategia Fam to Fork prevede una riduzione dell’uso di agrofarmaci e un incremento delle superfici a biologico entro il 2030. Talvolta chi chiede la riduzione (e a tratti anche la revoca) dell’uso di agrofarmaci tende a promuovere il biologico, che consente l’uso di prodotti naturali che per loro natura devono essere applicati a dosi più elevate rispetto agli altri agrofarmaci. L’auspicio è che il rame resti a disposizione degli agricoltori biologici, oltre a quelli che producono in un regime di agricoltura integrata, ma che allo stesso tempo vengano sperimentati e resi disponibili strategie alternative che ne consentano l’ottimizzazione ed una possibile riduzione.
I passi avanti della Ricerca
Si può ipotizzare che la ricerca consenta di sviluppare in un prossimo futuro un prodotto alternativo con le stesse caratteristiche positive di efficacia del rame senza le controindicazioni ambientali?
L’agricoltura ha utilizzato nel tempo una serie di mezzi tecnici come ad esempio il DDT, l’arsenito di sodio, il bromuro di metile che sembravano insostituibili (ed in realtà per qualche uso lo erano, ad esempio l’arsenito di sodio per il mal dell’esca o il DDT per il controllo de vettore della malaria in alcuni Paesi africani).
Nella maggior parte dei casi queste molecole, con livelli tossicologici critici sono state sostituite con altre a minore impatto ambientale, o più spesso con strategie basate sull’uso di più mezzi di protezione (agronomici, fisici, genetici, biologici), nell’ottica di una vera produzione integrata. Capace di limitare nel complesso l’uso di mezzi chimici, applicandoli solo nelle condizioni nelle quali un mancato trattamento comporti un decremento quantitativo e/o qualitativo della produzione.
Per ogni innovazione è necessario un periodo di tempo per assimilare le novità, imparando a sfruttare al meglio le opzioni disponibili, per trovare un nuovo equilibrio. Gli Enti di ricerca, le aziende agrochimiche, i Servizi Fitosanitari e tutti gli altri attori convolti sono fortemente impegnati nella messa a punto di strategie di protezione innovative che possano rispondere alle esigenze degli agricoltori e della comunità, per far sì che il consumatore abbia a disposizione prodotti di qualità e allo stesso momento siano garantite all’agricoltore scelte tecniche che ne consentano una sostenibilità ambientale, sociale, e soprattutto economica (quest’ultima non sempre tenuta in debita considerazione).