Aaa cercasi nome per vitigni resistenti, autoctoni al 99,2%.
A metà giugno sono stati infatti iscritti al registro nazionale delle varietà di vite quattro nuovi vitigni tolleranti a peronospora ed oidio frutto dell’attività di selezione e incrocio naturale effettuate a San Michele all’Adige (Tn) dai ricercatori della Fondazione Mach (v. riquadro in fondo).
Articolo pubblicato sul numero 6/2020 di VVQ
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La storica istituzione trentina conferma così il suo ruolo guida nel miglioramento genetico della vite affiancandosi a Udine come polo italiano di sviluppo delle nuove varietà resistenti alle patologie fungine. La sfida è ora quella di trovare degli appellativi accattivanti che possano dare merito all’origine trentina, ma anche evidenziarne la perfetta adattabilità alle condizioni pedoclimatiche di tutta la penisola.
Dietro le sigle, un intenso lavoro di selezione
Nel decreto del ministero delle Politiche agricole del 9 giugno (Gazzetta Ufficiale serie generale n.152 del 17 giugno) i 4 vitigni, figli di varietà tipicamente trentine come Teroldego e Nosiola, sono infatti indicati solo con le loro sigle (“F22P9”, “F22P10”, “F23P65”, “F26P92”).
Codici che dicono poco ai viticoltori ma che, soprattutto agli esperti di matrici (per avere un’idea basta provare a moltiplicare 26X92), possono suggerire il volume e l’intensità del lavoro di miglioramento genetico della vite in corso a San Michele all’Adige.
Il materiale è infatti frutto di un progetto partito 12 anni fa. «Ma si tratta in realtà di un’attività – specifica Marco Stefanini, coordinatore del team di ricerca sul miglioramento genetico della vite a San Michele – che risale agli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, con il reperimento delle prime fonti di resistenza».
Un’attività di collezione, selezione e incrocio andata avanti poi a singhiozzo e ripresa in grande stile negli anni 2007-2008, in concomitanza con la sfida tutta italiana per il primato nella codifica del DNA della vite.
Da allora le ricerche non si sono mai interrotte, le strutture e i vigneti collezione sono stati potenziati e anche il recente rinnovo dei vertici, con la nomina del presidente Mirco Maria Franco Cattani, ha confermato la volontà di rafforzare il ruolo della Fondazione Mach come punto di riferimento per la ricerca internazionale in viticoltura.
L’immunità non esiste
Così l’Italia, in soli 20 anni, grazie anche a questo impegno, ha recuperato terreno rispetto a Paesi come Germania e Ungheria che, negli ultimi decenni del XX secolo, non avevano cessato di inseguire l’obiettivo di coniugare, attraverso serie di reincroci ricorrenti, il carattere della resistenza a patologie fungine come peronospora e oidio con quello di una qualità enologica migliore rispetto a quella dei primi storici ibridi produttori diretti.
«Il primo concetto che occorre chiarire – puntualizza Stefanini – è che la completa immunità non esiste. Con il miglioramento genetico della vite si possono ottenere diversi livelli di resistenza che consentono di ridurre notevolmente il numero dei trattamenti, permettendo alla pianta di svolgere completamente il proprio ciclo annuale con produzioni qualitativamente adatte agli obiettivi che si vogliono raggiungere».
Obiettivo piramidazione
E il secondo punto da tenere in considerazione è che le resistenze più durature sono quelle che si basano sulla presenza di più geni. La sfida più attuale è infatti quella della “piramidazione” in un’unica varietà di fonti di resistenza di diversa origine.
Un obiettivo che a San Michele viene perseguito attraverso tre successivi step:
- studio dei parentali e delle linee ancestrali;
- programma di pre-breeding con marcatori molecolari;
- breeding tradizionale con selezione per caratteri di resistenza, ma anche fenologici ed enologici.
Caratterizzazione dei parentali
La collezione della Fondazione Mach dei parentali potenziali donatori di resistenza è così diventata negli anni sempre più ricca. E ciò grazie alla caratterizzazione sia genotipica che fenotipica di 264 accessioni (91 di origine europea, 129 di origine americana e 44 varietà di Vitis vinifera) già utilizzate in precedenti programmi di breeding, a cui sono state aggiunte 124 nuove acquisizioni provenienti da materiale selvatico prelevato dai boschi del New Jersey (Usa). Un’attività che ha consentito di caratterizzare una serie di parentali adatti a diversi obiettivi.
Lo screening molecolare ha ad esempio confermato in Merzling, parentale donatore di resistenza scelto per 3 dei 4 nuovi vitigni appena registrati, la presenza del super-locus Rpv3 e dei loci Ren3 e Ren9, evidenziandone l’attitudine a trasmettere sia la resistenza a peronospora che a oidio.
Alla ricerca del superdonatore
Ma le ricerche in corso a San Michele non si fermano qui e puntano a sviluppare nuovi “superdonatori” di resistenza.
A questo scopo, parallelamente allo sviluppo di nuove varietà resistenti, viene infatti svolto un programma di pre-breeding che punta alla piramidazione di diversi geni di resistenza in un unico parentale.
«Una volta pianificati e ottenuti gli incroci, la valutazione della discendenza ha luogo seguendo un processo di Marker-Assisted Selection (MAS) ottimizzato al fine di mantenere un compromesso tra efficienza e contenimento dei costi».
Un programma di ricerca che nei prossimi anni punta anche all’acquisizione dei loci di resistenza a black-rot e a un potenziale nuovo locus di resistenza a peronospora individuato nel materiale selvatico proveniente dal New Jersey.
Si tratta in fondo di una sorta di risarcimento, una riedizione in chiave vitivinicola di un piano Marshall che punta a risarcire la vite europea dai guasti causati nell’ultimo secolo e mezzo da peronospora e oidio, patologie arrivate proprio da oltreoceano.
Nel programma di breeding tradizionale (i tempi non sono ancora maturi per l’evoluzione biotecnologica del genome editing) portato avanti dalla Fondazione Mach i geni di resistenza di origine americana (e asiatica) presenti, dopo una serie di 7 incroci ricorrenti, solo nello 0,8% del genoma dei parentali vengono infatti trasmessi a varietà autoctone non solo trentine, ma di numerose altre Regioni italiane (a San Michele si stanno infatti portando avanti, oltre ai programmi trentini, anche quelli di Emilia-Romagna, Marche, etc).
Incrocio e selezione: uno su mille ce la fa
Il piano di lavoro è serrato: da circa 100 combinazioni di incroci effettuate ogni anno vengono ottenuti circa 35-40mila semi. Lo screening visivo e molecolare ne seleziona circa un terzo destinato allo sviluppo in serra.
Solo una piccola parte viene poi destinata al pieno campo. Attualmente a San Michele e nei vigneti vicini come quelli in località “Inferno” e “Girelli” rappresentati nelle foto di queste pagine sono coltivati oltre 2500 genotipi diversi a differenti livelli di selezione.
«Nei primi 5-6 anni – informa Stefanini -, oltre al livello di resistenza, un carattere di selezione a cui si pone particolare attenzione è quello del ciclo fenologico per individuare le tipologie più adatte al clima della nostra penisola (i resistenti messi a punto in Centro Europa tendono ad essere troppo precoci, ndr)».
Nel periodo successivo entra in gioco la valutazione della qualità e quantità della produzione con l’analisi della produzione delle piante e della qualità dei mosti, l’analisi del profilo antocianico in particolare per rilevare il contenuto di malvidina diglucoside (che deve essere inferiore ai livelli di legge) e le degustazione delle microvinificazioni, ottenute nella cantina afferente al Centro di Trasferimento Tecnologico, per l’analisi della qualità enologica.
Un nome da non sbagliare
Un lavoro intenso che può essere vanificato dai pregiudizi riguardo all’innovazione in viticoltura e da scelte di posizionamento sbagliato. Per questo il nome con cui vengono battezzati i nuovi vitigni resistenti assume un’importanza fondamentale.
Sulle pagine di questa rivista abbiamo preso posizione (leggi: Nome e cognome per i vitigni resistenti,editoriale VVQ di luglio 2019) sull’indicazione del nome del vitigno “nobile” di origine. Una scelta molto praticata per le varietà internazionali (Cabernet Cortis, Merlot Kanthus, Sauvignon Kretos, ecc), mai per le varietà autoctone italiane (Fleurtai e Soreli i nomi di fantasia scelti ad esempio per i vitigni resistenti discendenti da Friulano). Una scelta che secondo le indiscrezioni sarà confermata anche per i discendenti da Teroldego e Nosiola sviluppati dalla Fondazione Mach.
I nuovi vitigni
Due varietà a bacca rossa:
- F22P9 (Incrocio Teroldego x Merzling);
- F22P10 (Incrocio Teroldego x Merzling).
Due varietà a bacca bianca:
- F23P65 (Merzling X FR 945-60)
- F26P92 (incrocio Nosiola x Bianca)
La commercializzazione dei nuovi vitigni spetta a Civit (Consorzio Innovazione Vite) che ha curato anche il dossier di registrazione. Secondo le schede prodotte dal Consorzio tutti i vitigni presentano caratteristiche di buona tolleranza nei confronti dei funghi peronospora e oidio. Le varietà a bacca rossa hanno ereditato le caratteristiche positive del vitigno nobile di origine (Teroldego), ovvero ricchezza ed intensità di colore. Si differenziano tra loro per l’epoca di maturazione (F22P10 è leggermente più tardiva) e per lo spettro aromatico (F22P9 ha note prevalentemente fruttate, mentre F22P10 vira più su sentori di spezie).
La varietà a bacca bianca F23P65 è stata selezionata per le caratteristiche di acidità e pH adatte alla produzione di basi e vini spumanti. F26P92 ha peculiarità che ricordano il vitigno di origine (Nosiola), sia dal punto di vista viticolo che enologico rendendola adatta per la produzione di vini bianchi freschi leggermente aromatici, di medio corpo e buona sapidità.
Oltre a 4 sviluppati dalla Fondazione Mach il Civit ha ottenuto in giugno la registrazione di altri due genotipi di origine ungherese: Pinot Regina (incrocio resistente di Pinot Nero) e Georgikon 28 (portainnesto con buona tolleranza a siccità e calcare attivo).
Il team di ricerca
Il team si compone di Marco Stefanini (coordinatore), Giulia Betta, Marco Calovi, Andrea Campestrin, Cristian Chiettini, Silvano Clementi, Monica Dalla Serra, Cinzia Dorigatti, Daniela Nicolini, Tiziano Tomasi, Silvia Vezzulli, Monica Visentin, Alessandra Zatelli, Luca Zulini. A questi vanno aggiunti altri ricercatori della Fondazione Mach che si sono prestati per specifiche parti necessarie all'iscrizione.
I commenti
«Il risultato ottenuto dai nostri ricercatori -spiega il presidente Mirco Maria Franco
Cattani- è motivo di grande orgoglio per la Fondazione Mach perché contribuisce a sviluppare la selezione di nuove varietà, secondo natura, che migliorano la salubrità degli alimenti e dell'ambiente, anche grazie alla prevenzione dell'utilizzo di prodotti fitosanitari». «L'evoluzione di analoghi contributi scientifici potrà fornire ulteriore impulso al settore agricolo, migliorando ulteriormente la qualità degli alimenti, che sono sinonimo della tradizione agricola».
Il Presidente di CIVIT, Enrico Giovannini, manifesta la propria soddisfazione per il traguardo raggiunto: «La soddisfazione è ancora maggiore, visto che questo risultato è stato ottenuto grazie all’impegno messo in campo da una squadra tutta trentina, il Consorzio dei vivaisti viticoli trentini assieme alla Fondazione Edmund Mach. Auspico, viste le ottime potenzialità, che queste varietà possano essere accolte con favore da parte del settore viticolo ed enologico».
I parentali
Teroldego. Vitigno a bacca nera coltivato quasi esclusivamente in Trentino, nella zona denominata Piana Rotaliana, cui fanno capo i comuni di Mezzocorona, Mezzolombardo e la frazione di Grumo nel comune di San Michele all'Adige. L'analisi del DNA ha rivelato che assieme alla Schiava Gentile è parente di Lagrein e Marzemino e cugino del Dureza, che è parente del Syrah.
Nosiola. Vitigno a bacca bianca coltivato particolarmente nella zona di Toblino e della Valle dei Laghi, dove si ritiene sia autoctono, coltivato su terrazzi chiamati "frate‘", e di Lavis, in provincia di Trento. È il vitigno impiegato anche nella produzione del Vino Santo Trentino o Trentino Vin Santo, facendo appassire uva Nosiola su graticci di canne.
Merzling. Vitigno a bacca bianca sviluppata nel 1960 da Johannes Zimmermann presso l'istituto di ricerca in viticoltura di Friburgo, in Germania ibridando Seyve-Villard 5276 con l’incrocio Riesling × Pinot grigio. Il nome deriva dal toponimo Merzhausen cittadina della regione dell’alta foresta nera, posizionata sul, confine meridionale di Friburgo dove si trovano alcune delle vigne dell'istituto. Ha ricevuto la protezione varietale nel 1993.
Seyval blanc (o Seyve-Villard numero ibrido 5276). È un ibrido a bacca bianca caratterizzata da maturazione precoce coltivato in Inghilterra, Stati uniti e Canada, ottenuto da Bertille Seyve come incrocio di Seibel 5656 e Rayon d'Or (Seibel 4986).
Bianca. Vitigno a bacca bianca sviluppato nel 1963 nella regione viticola dell’Eger nel Nord-Est dell'Ungheria. Ottenuto come incrocio di Bouvier ed Eger 2 (una progenie di Villard blanc ). Ufficialmente registrato nel 1982, oggi viene utilizzata per fare un vasto assortimento di vini da varietà secche a vini dolci da dessert . Bianca sta crescendo in popolarità tra i vigneti biologici grazie alle sue elevate caratteristiche di resistenza alle malattie fungine.