La vinificazione in bianco prevede la rapida eliminazione delle bucce dell’uva alla quale è opportuno far seguire, prima dell’avvio della fermentazione alcolica, una chiarifica per rimuovere particelle che possono conferire aromi sgradevoli al vino.
L’effetto positivo della chiarifica sulla qualità dei vini bianchi è noto e confermato dalle caratteristiche organolettiche superiori di vini ottenuti da mosti chiarificati, in particolare per quanto riguarda l’aroma. I vini prodotti dai mosti puliti hanno l’ulteriore vantaggio di essere stabili e più resistenti all’ossidazione.
Sintesi da VVQ 8/2022
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Rischi di arresti fermentativi
La chiarifica dei mosti può portare a problemi di natura microbiologica, quali l’allungamento della fase di latenza, arresti precoci di fermentazione e l’aumento dell’acido acetico
Tuttavia, la chiarifica dei mosti può portare a problemi di natura microbiologica, quali l’allungamento della fase di latenza, arresti precoci di fermentazione e l’aumento dell’acido acetico. A loro volta fermentazioni alcoliche stentate possono favorire l’accumulo di acido acetico, anidride solforosa e pregiudicare la successiva fermentazione malolattica. Tutti questi inconvenienti sono direttamente correlabili al grado di limpidezza del mosto.
La scarsa attitudine microbiologica dei mosti chiarificati può dipendere da una varietà di fattori, come la riduzione della popolazione di lieviti, l’eliminazione di particelle solide che svolgono il ruolo di substrato per i lieviti, contribuendo a una migliore distribuzione delle cellule e favorendo la liberazione della CO2.
L'utilità dei solidi dispersi
I solidi dispersi nel mosto sono anche una fonte di fattori nutrizionali, in particolare sono ricchi di lipidi dell’uva. La principale frazione lipidica dell’uva è costituita da acidi grassi a lunga catena: acido linoleico, acido oleico, acido linolenico e acido palmitoleico. Gli acidi grassi a lunga catena sono fattori di crescita per i lieviti, costituenti essenziali della membrana plasmatica. Migliorano la resistenza delle cellule all’etanolo e regolano l’attività degli enzimi di membrana. Visto l’importanza di queste molecole è opportuno valutare l’effetto dei diversi metodi di chiarifica sulla composizione in acidi grassi di mosto d’uva e sulla cinetica di fermentazione dei mosti ottenuti.
I vantaggi delle basse temperature
I trattamenti di chiarifica a bassa temperatura hanno consentito di ottenere mosti più limpidi di quelli svolti a temperatura ambiente, che hanno richiesto anche l’aggiunta di SO2 per impedire l’avvio incontrollato della fermentazione alcolica
Un gruppo di ricercatori spagnoli (Varela et al. 1999, European Food Research and Technology) ha confrontato ben 10 trattamenti di chiarifica dei mosti, in termini di effetti sulla composizione dei mosti e sulle dinamiche fermentative. I trattamenti di chiarifica a bassa temperatura hanno consentito di ottenere mosti più limpidi di quelli svolti a temperatura ambiente, che hanno richiesto anche l’aggiunta di SO2 per impedire l’avvio incontrollato della fermentazione alcolica.
Non sono state trovate differenze nei livelli di torbidità tra i trattamenti di chiarifica refrigerata statica e flottazione, ma questa ha offerto il vantaggio di abbreviare a poche ore la durata della chiarifica, rispetto alle 48 ore richieste dai trattamenti di chiarificazione statica. In ogni caso, tutte le chiarifiche hanno ridotto la popolazione di lieviti presenti nel mosto. I trattamenti enzimatici e la flottazione hanno provocato le maggiori perdite di popolazione microbica. Al contrario, l’elevata concentrazione di lieviti misurata nel mosto chiarificato a 18°C, pur con aggiunta di SO2, potrebbe essere dovuto alla moltiplicazione dei microrganismi durante le 48 h di sosta, dato che temperature al di sopra dei 5-7 gradi centigradi ben difficilmente bloccano lo sviluppo cellulare.
L'effetto sugli acidi grassi
La caratterizzazione chimica e microbiologica dei mosti e delle fecce ha permesso di capire come le differenti chiarifiche hanno agito sul contenuto di acidi grassi. In generale, le fecce erano più ricche in fattori nutrizionali dei mosti, e la composizione in acidi grassi è risultata differente a seconda del trattamento applicato.
Ad esempio, l’acido linoleico è risultato essere il principale acido grasso nelle fecce ottenute con trattamenti enzimatici, l’acido oleico è parso preponderante nei trattamenti fisici, indipendentemente dalla temperatura del trattamento. Il rapporto tra acidi grassi saturi e insaturi è invece praticamente costante in tutte le chiarifiche testate, ma tutti i trattamenti di chiarifica hanno determinato una diminuzione degli acidi grassi inizialmente presenti nel mosto d’uva, con la flottazione che ha causato le perdite maggiori.
Dal punto di vista microbiologico le fecce, laddove presenti, erano di più di mille volte ricche in lieviti rispetto ai mosti, con differenze non trascurabili in funzione della durata del trattamento. Ad esempio, nel caso della flottazione i dati delle conte microbiche di mosto e fecce parrebbero in contradizione, essendo entrambi bassi. I lieviti non sono spariti, semplicemente la brevità del trattamento non ne ha permesso la crescita, che in buona parte spiega la ricchezza riscontrata in altri campioni di fecce, come nel caso della chiarifica a temperatura ambiente.
Lunghe latenze
Dal punto di vista microbiologico, tutti i trattamenti hanno ritardato l’inizio della fermentazione, fino a 96 ore, rispetto al mosto di controllo, che ha richiesto 12 giorni per concludere la fermentazione, come la chiarifica a temperatura ambiente, pur con aggiunta di anidride solforosa. Le chiarifiche a bassa temperatura avevano accusato una significativa riduzione della carica di lieviti; dunque, la fase di latenza è stata lunga, ma la fermentazione alcolica è stata efficiente dato che i mosti non erano stati eccessivamente privati di nutrienti. La flottazione si è rivelata in grado di inibire sia l’avvio della fermentazione che il corretto decorso della degradazione degli zuccheri: è pertanto un trattamento molto performante in termini di chiarifica, ma che richiede un intervento di nutrizione dei mosti e colture di lievito selezionate per garantire i migliori risultati qualitativi.
L’attività enzimatica dei lieviti, un contributo importante
I lieviti non-Saccharomyces destano oggi molto interesse per le numerose attività enzimatiche che li caratterizzano
I lieviti non-Saccharomyces destano oggi molto interesse per le numerose attività enzimatiche che li caratterizzano. Un gruppo di ricercatori guidati da Ignacio Belda (Belda et al. 2016, International Journal of Food Microbiology) ha testato un’ampia raccolta di lieviti isolati dall’ambiente di vinificazione riguardo alle attività enzimatiche per ottimizzare i processi di chiarifica ed estrazione del colore nella vinificazione in rosso, senza l’aggiunta di preparati enzimatici esogeni.
I risultati ottenuti in questo studio hanno messo in luce le interessanti potenzialità delle specie Metschnikowia pulcherrima e Lachancea thermotolerans, oltre che offrire informazioni sull’influenza di diverse variabili, come la temperatura, sull’efficienza metabolica delle specie di lievito testate.
Estrazioni del colore
Riguardo all’estrazione dei componenti polifenolici nelle prime fasi della vinificazione, a basse temperature sono state osservate le maggiori differenze tra le attività enzimatiche, differenze che sono andate via via a ridursi, fino a risultare non significative a 25 °C.
La macerazione prefermentativa a freddo (MPF) è applicata a numerose vinificazioni in rosso per migliorare alcuni aspetti del vino, in particolare quelli relativi all’intensità e alla stabilità del colore. L’estrazione di alcuni composti coloranti aumenta a basse temperature a causa della permeabilizzazione delle membrane cellulari dell’uva; tuttavia, la presenza di lieviti può contribuire all’aumento del contenuto fenolico e all’estrazione del colore.
Durante la MPF alcune specie di lieviti non-Saccharomyces possono giovarsi della loro resistenza al freddo, dando impronte peculiari ai vini. La presenza di M. pulcherrima durante la MPF ha permesso di ottenere risultati simili, in termini di estrazione del colore, a quelli ottenuti con l’ausilio di preparati enzimatici purificati.
I lieviti possono anche influenzare la limpidezza del vino e la sua filtrabilità, semplificando i trattamenti post fermentativi?
Nei test svolti la riduzione del tempo di filtrazione ottenuta con lieviti non-Saccharomyces dotati di attività pectolitica era solo leggermente superiore a quella ottenuta con preparati enzimatici pectinolitici meno attivo, soprattutto quando il trattamento è stato applicato a freddo.
Ridurre i tempi di filtrazione
L’impiego di un lievito al posto di trattamenti chimico/fisici ha evidenti vantaggi in termini di flessibilità e riduzione dei costi che i trattamenti di chiarifica comportano. La specie Aureobasidium pullulans ha mostrato una notevole attività enzimatica e la migliore capacità di ridurre i tempi di filtrazione se applicato ad alte temperature (25°C), a questa temperatura la riduzione è stata superiore al 90%, a freddo solo del 44%, rispetto al tempo di filtrazione di un omologo vino non trattato.
M. pulcherrima ha mostrato una buona attività in tutti i casi riducendo il tempo di filtrazione del 74% a freddo e del 70% a caldo, analogamente L. thermotolerans ha manifestato una buona attività chiarificante a freddo, rimanendo attività fino a 12°C, una temperatura decisamente bassa anche per questo lievito, notoriamente criofilo. Gli autori hanno correlato l’efficacia chiarificante di questi lieviti proprio al mantenimento di una significativa attività biologica anche a freddo, con il rilascio nel mosto o nel vino di proteine che fungerebbero da poli di attrazione verso le particelle disperse. In ogni caso i valori di riduzione della torbidità non sono lontani da quelli ottenibili con moderni preparati enzimatici.
L’ultima domanda alla quale è opportuno rispondere è se la presenza di questi microrganismi nel vino ne può alterare i caratteri compositivi.
Nessuna alterazione
Le evidenze scientifiche appaino tranquillizzanti. Per quanto riguarda L. thermotolerans è nota la capacità di bioacidificare il vino producendo acido lattico e riducendo il tenore di etanolo. M. pulcherrima non è in grado di modificare i parametri analitici enologici come la concentrazione di etanolo o di glicerolo, mentre è possibile riscontrare modeste variazioni nel tenore di acido malico. Riduzioni del contenuto di acido malico sono ottenibili con l’impiego di lieviti del genere Schizosaccharomyces, mentre T. delbrueckii è capace di ridurre l’accumulo di acido acetico. In generale un inoculo di lieviti non-Saccharomyces durante la MPF non desta particolari preoccupazioni ed anzi può contribuire a ridurre la proliferazione di microrganismi indigeni, e con essi il rischio di alterazioni precoci dei mosti e dei vini.
I trattamenti più efficaci contro i Brettanomyces
Le chiarifiche possono eliminare anche una parte significativa dei microrganismi alterativi, soprattutto se condotte sui vini in conservazione. Ricerche francesi hanno dimostrato che i trattamenti più efficaci nel rimuovere i Brettanomyces sono, in ordine crescente, le proteine vegetali (dose 20-40 g/hL), le ovalbumine (3-9 cL/hL), le gelatine (4-10 cL/hL) e la bentonite (15-40 g/hL). Ogni trattamento ha un’efficacia di circa 10 volte maggiore del precedente.
Le attività enzimatiche dei lieviti
Secondo diversi studi, l’attività β-glucosidasica è diffusa nella maggior parte delle specie di lievito enologiche, sebbene sia relativamente modesta in S. cerevisiae. Anche l’attività proteolitica è abbondantemente diffusa tra i lieviti, più rari gli enzimi delle classi delle pectinasi e cellulosolitica. Alcuni autori hanno rilevato attività pectinasica in Candida stellata, M. pulcherrima e Kloeckera apiculata; A. pullulans è portatore di attività cellulosolitica. Infine, si segnala la presenza di alcuni enzimi nel vino, come le poligalatturonasi delle quali si ignora ancora quale sia la specie di lievito responsabile; ulteriori approfondimenti sono dunque necessari.