Un mento abnormemente sviluppato, sia nei maschi che nelle femmine.
Era il marchio di fabbrica della dinastia degli Asburgo, la più potente casata europea dal Medioevo fino all’Ottocento. Ed era anche l’evidente sintomo che la presunzione di una nobiltà legata all’infondato mito della purezza genetica è un errore (doppio) che può mettere a rischio la sopravvivenza famigliare. O addirittura dell’intera specie.
Editoriale del numero 1/2022 di VVQ
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Condannati alla consanguineità
Carlo II, ultimo discendente del ramo spagnolo degli Asburgo, vittima inconsapevole dell’ossessione per il sangue blu, veniva infatti descritto con una mascella talmente sporgente da non riuscire a masticare. Frutto di quattordici generazioni di matrimoni fra cugini, era molto probabilmente sterile e la sua morte, nel 1700, determinò la fine dell’influenza spagnola sul resto d’Europa.
Qualcosa di simile era già capitato ai Faraoni, sovrani talmente nobili da essere considerati divini, condannati alla consanguineità e quindi ad essere sostituiti dai loro Scriba. Tutankhamon, Faraone morto ragazzino, figlio di fratelli, è emerso infatti dalla tomba manifestando numerose malformazioni congenite: piede equino, labbro leporino e una forma grave di scoliosi.
Vite esposta ai rischi della depressione da inbreeding
In genetica si chiama depressione da inbreeding e la vite è una specie particolarmente esposta ai suoi effetti. I biotipi selvatici sono dioici e allogami obbligati (si incrociano), le varietà domestiche hanno invece fiori ermafroditi (si incrociano pochissimo) e sono altamente eterozigoti, con una forte presenza di alleli recessivi sfavorevoli.
È solo grazie ai vivaisti e alla loro attenzione nella selezione clonale se nei vitigni coltivati non emergono questi difetti congeniti, ma la strategia di affidarsi solo alla propagazione vegetativa mostra tutti i suoi limiti di fronte agli effetti del climate change e alla necessità di una rapida transizione ecologica. In attesa dello sviluppo delle nuove tecnologie di evoluzione assistita, l’ibridazione rimane la strada più efficace per il miglioramento genetico. La riproduzione gamica è la strategia messa a punto dalla natura per assicurare più resilienza alle specie. I tempi sono maturi per una “rivoluzione sessuale” anche per il genere Vitis.
Il via libera di Bruxelles per i resistenti nelle Doc
Se n’è accorta persino Bruxelles che nella riforma della Pac post 2023 ha concesso un’importante apertura ai vitigni resistenti dopo decenni di discriminazioni. Il Reg. 2021/2117, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Ue il 6 dicembre scorso, definisce infatti la prossima Organizzazione comune di mercato concedendo il via libera all’utilizzo di “varietà ottenute da incrocio tra Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis” nelle denominazioni d’origine.
Le resistenze alla resistenza
Risorse che rischiano però di essere sabotate, soprattutto in Italia. La nostra abnorme burocrazia vitivinicola fa sì infatti che le varietà resistenti non possano essere impiegate nelle denominazioni nemmeno nelle Regioni dove sono già autorizzate perché espressamente vietato dal Testo Unico della vite e del vino (prima modifica da effettuare). Nel Registro nazionale sono già autorizzate 35 varietà resistenti ed entro l’anno potrebbe arrivare anche la prima Glera resistente, ma queste innovazioni sono per ora iscritte in un elenco a parte che ne inibisce l’utilizzo nelle doc (seconda modifica necessaria).
Molte Regioni continuano poi a fare “melina” sull’impianto di queste varietà, mostrando la necessità di riformare il sistema autorizzativo (terza modifica indispensabile).
Novelli fanatici della purezza genetica
C’è poi da superare le resistenze dei novelli fanatici della purezza genetica. Molti Consorzi sembrano infatti restii a chiedere modifiche ai disciplinari per preservare il “sangue” di vitigni ritenuti nobili. Ma prima di attribuire patenti di nobiltà è meglio tener conto dalla lezione della scucchia asburgica.
Doc e Docg sono le casate di alto lignaggio della nostra enologia: se non si aprono all’innovazione saranno travolte dalla storia (e dalla genetica).
Lorenzo Tosi