Roba da boomer

Fra detrattori che gridano allo scandalo in nome della tradizione, spinose questioni legate alla sostenibilità dei processi necessari per sottrarre alcol e divieti discendenti dal Testo Unico, la strada del vino dealcolato in Italia appare lastricata di difficoltà.

Sempre più fuori moda, evitato da chi è “avanti”, da chi ha cura del proprio aspetto e della propria salute. Insomma, non più fonte di quella serenità che, se assunto in quantità non eccessive, era in grado di darci.
Quell’euforia che sapeva liberare l’ilarità, rendere fluente l’eloquio e ridurre almeno momentaneamente le ansie, ha perso il sapore della leggerezza. Perché anche un solo bicchiere di vino al 13% di alcol oggi non solo appare fuori moda, ma fa scattare in molti la paura della bilancia e soprattutto (a ragion veduta) quella dell’etilometro.

L’alcol sta diventando roba da boomer poco performanti.

Le giovani generazioni spostano le loro preferenze verso bevande a bassa o nulla gradazione e il vino sgomita per restare nel loro paniere di consumi.
Lo fa, quando possibile – stentiamo a immaginare che certi vini Dop, che l'alcol sostenuto ce l'hanno nel Dna, possano mantenere intatta la loro riconoscibilità anche solo al 9% Vol., ma non vogliamo porre limiti alla fantasia e alla tecnologia – sbarazzandosi dell’alcol in eccesso, con processi di sottrazione. Oppure puntando a nascere già leggero in etanolo, con la collaborazione dei lieviti giusti. Lieviti che peraltro faticano a farsi completamente carico della battaglia contro l’alcol: a partire dal vigneto, tutta la filiera produttiva va ripensata, se l’obiettivo è ridurre l’etanolo.

Ed è rivoluzione.

Chi bazzica il settore da qualche lustro trova “familiari” temi come l’innalzamento delle densità di impianto, gestioni della chioma in grado di favorire la maturazione, l’arricchimento... Concetti e tecniche che rischiano di diventare obsoleti, quando non deprecabili, in un contesto climatico e di mercato profondamente mutato.

Come spesso accade, la rivoluzione crea scompensi o più semplicemente non può far felici tutti. Ma se i cosiddetti “No-Lo” non possono essere il solo driver della nostra produzione enologica, ignorarne il crescente successo è quanto meno miope.

Il dibattito è vivace, talora feroce.

Fra detrattori che gridano allo scandalo in nome della tradizione, spinose questioni legate alla sostenibilità dei processi necessari per sottrarre alcol e divieti discendenti dal Testo Unico, la strada del vino dealcolato in Italia appare lastricata di difficoltà. Ma intanto il mercato chiede, altri Paesi rispondono molto meglio del nostro e il rischio di restare fanalini di coda, anche a livello tecnologico, è concreto.

Un film che su altri fronti abbiamo già visto.

E chissà se fra qualche decennio verrà prodotto un podcast per raccontare la storia di questa rivoluzione. In scia a quello di recente produzione, che mirabilmente racconta dello scandalo che investì l’Italia nel 1986 e che si intitola “Metanolo”, nel 2030 potremmo ritrovarci ad ascoltare “Eta-No-Lo. Storie di dealcolati che ce l’hanno fatta”.

Editoriale di VVQ n. 2/2024

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Roba da boomer - Ultima modifica: 2024-03-15T08:34:17+01:00 da Redazione

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