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La Cina è lontana, più di quanto la distanza fisica lasci intendere. L’assenza dei social occidentali, gli ostacoli linguistici e il filtro dei media ce la lasciano immaginare con stereotipi legati alla geopolitica, alla tecnologia e alle dispute economiche globali. Ma esiste anche una Cina che non sospettiamo e che a sua volta si volge verso l’Europa con curiosità, benché orientata da informazioni velate da filtri altrettanto deformanti. E il vino, la sua produzione e la sua cultura appassionano molti di loro, oltre quanto potremmo immaginare.
Mi sono avvicinato a un angolo del gigante asiatico nel settembre 2024, chiamato a formare nelle conoscenze enologiche un gruppo di una ottantina di studenti in una delle venti accademie vitivinicole presenti nella Repubblica Popolare. Yantai, una “cittadina” di sei milioni di abitanti nello Shandong, la penisola cinese al 37° parallelo, difronte al confine fra le due Coree, include il comprensorio di Penglai. Qui sorgono 62 grandi aziende vitivinicole che, insieme a più di cento piccole aziende, coltivano circa 32.000 ettari di vigneti. Una viticoltura moderna e sfidante che, a differenza di molte altre aree viticole cinesi, non richiede l’infossamento delle viti per proteggerle dal gelo invernale ma, seppure alla stessa latitudine di Catania, ha inverni nevosi ed estati molto piovose e umide, proprio nei mesi di luglio e agosto, a ridosso della vendemmia.
Qui l’immagine del vino è fortemente influenzata dalla cultura europea, al punto che le grandi cantine (e non solo) hanno legato l’architettura aziendale alla fiabesca immagine degli château francesi. Il paesaggio è talmente pittoresco che, con l’aiuto di grandi strutture ricettive a tema Europa rinascimentale, la presenza di grandi e fantasiosi parchi giochi e la prossimità al Mar Giallo, attirano ogni anno due milioni di enoturisti. Il lussuosissimo resort Royal Hotel è sovrastato da una pressoché fedele ricostruzione della cupola fiorentina del Brunelleschi e nei suoi ampi e lunghissimi saloni sono esposte riproduzioni ingigantite di opere pittoriche rinascimentali e barocche europee.
È qui che si è svolto il 18 settembre scorso un convegno internazionale sulla viticoltura ed enologia delle aree viticole costiere organizzato proprio dai produttori e dedicato a conoscere come le diverse aree vitivinicole del mondo affrontano i problemi legati al cambiamento climatico e allo scarso interesse dei giovani verso il consumo del vino.
I produttori dello Shandong stanno promuovendo una forte immagine identitaria dei loro vini legata all’impegno per la sostenibilità ambientale e, soprattutto, al loro legame col territorio costiero; una collaborazione fra aziende che è stata simbolicamente sottoscritta con un accordo pubblico. Certo, un simbolo. Ma per questo popolo asiatico i simboli sono sostanza e l’impegno preso è memoria collettiva e duratura. Ne è esempio il ricordo del 18 settembre 1931 in cui l’esercito giapponese invase la Manciuria con un falso pretesto approfittando della debolezza delle difese cinesi. Un evento che, quasi un secolo dopo e indifferente a enormi mutamenti sociali, segna ancora oggi il popolo cinese come un disonore e viene ricordato con celebrazioni e bandiere a mezz’asta.
Lo Shandong ammira la cultura del vino europeo e la vuole emulare. Forse ci riuscirà quando avrà compreso l’ampiezza della formazione tecnica dei nostri enologi.
Editoriale di VVQ n. 2/2025 - Anticipazione