Nuovi strumenti contro il gusto ridotto.

Uovo marcio, aglio, cavolo cotto, gas, caucciù… con questi descrittori olfattivi si definiscono i cosiddetti sentori di ridotto, un difetto sensoriale decisamente diffuso. A conferma di quanto detto, la tabella 1 mostra i risultati della sintesi dei difetti risultanti dalle degustazioni organizzate, nell’arco di tre anni, dall’International Wine Challenge di Londra, su un numero di campioni molto ampio: da 9.000 a 13.000. Si può a tale proposito osservare come i difetti legati alle ossidoriduzioni rasentino il 50%. Eppure, specie per i difetti di riduzione, i meccanismi di formazione, le vie metaboliche e le circostanze favorevoli alla loro genesi sono state in gran parte delucidate.

L’origine del problema

Dando per scontato di aver rispettato i tempi di carenza degli ultimi trattamenti in vigna e di vinificare quindi uve prive di qualsiasi principio attivo anticrittogamico, i parametri che giocano un ruolo fondamentale nella produzione dei composti solforati sono essenzialmente tre: il tenore azotato dei mosti, la dose iniziale di anidride solforosa e, nel caso della vinificazione in bianco, l’indice di torbidità dei mosti sfecciati, prima dell’inoculo e del conseguente avvio della fermentazione alcolica. Tuttavia, pur rispettando questi parametri iniziali di vinificazione, un vino in affinamento su fecce totali, depositate e non rimescolate, in un serbatoio di grande capacità di acciaio inox, è destinato prima o poi a ridurre; da qui l’importanza del rimescolamento giornaliero o settimanale delle fecce, del differimento della solfitazione, e solo dopo alcuni test, e, nel peggiore dei casi, del travaso delle fecce più pesanti e del successivo reintegro dopo qualche mese. Molto spesso ci capita di constatare come il vinificatore concentri tutti i suoi sforzi durante la vendemmia e nella cura delle fermentazioni e che una volta ottenuto il vino, specie se di buona qualità, si  rilassi come se questo rimanesse stabile sotto il profilo sensoriale e non fosse suscettibile di modifiche; ed è qui che cominciano i guai.

Dopo mesi infatti ci si può rendere conto che il nostro buon vino di ieri è oggi fortemente ridotto e quindi si ricorre all’utilizzo di ossigeno e rame, senza aver prima indagato sull’origine molecolare della riduzione, talvolta rischiando di peggiorare la situazione. Infatti, se l’origine della riduzione è dovuta alla presenza di solfuri, non solo ossigeno e rame non rappresentano la soluzione ma al contrario, in caso di varietà ricche in tioli volatili, si rischia di demolire il patrimonio aromatico varietale, senza risolvere il problema della riduzione.

Parlando di molecole, ricordiamo che storicamente i composti solforati responsabili dei difetti di riduzione venivano classificati in due grandi categorie (tabella 2): i composti solforati volatili leggeri, con punto di ebollizione inferiore ai 90°C (acido solfidrico, metantiolo, etantiolo) e i composti solforati volatili pesanti, con punto di ebollizione superiore ai 90°C (essenzialmente il metionolo). All’origine di questi difetti, sono indicati solo cinque composti naturalmente presenti in natura: la cisteina, la metionina, il glutatione, la tiamina e l’anione solfato. Inoltre, l’utilizzo del diossido di zolfo nel mosto o nel vino, così come alcuni derivati di prodotti fitosanitari, possono essere all’origine di derivati solforati volatili maleodoranti.

Le carenze di azoto e la formazione di acido solfidrico

In caso di scarse disponibilità azotate nel mosto, il lievito è incapace di sintetizzare alcuni amminoacidi solforati (metionina e cisteina) e la diretta conseguenza è l’accumulo prima e l’espulsione in seguito dell’acido solfidrico inutilizzato. In pratica, la più grande parte dell’H2S che si forma è intimamente legata alla mancanza di azoto. Durante le fasi di crescita del lievito, i solfiti e i solfati possono divenire substrati che generano H2S. Per contro, sembra che la solfato-riduttasi sia controllata dal sistema di sintesi della metionina e della cisteina, il che non avviene quando il substrato è costituito dallo ione solfito. Questo gruppo di lavoro ha mostrato che, come l’ammonio, la maggior parte degli amminoacidi è in grado di fare diminuire significativamente i tenori di H2S, se l’aggiunta è fatta in tempo utile. Numerose prove hanno chiaramente mostrato l’impatto diretto della carenza di azoto assimilabile sulla produzione di H2S e la possibile correzione del problema tramite aggiunta di fosfato biammonico. D’altra parte, i lavori di Jiranek et al. hanno mostrato che non tutti gli amminoacidi rispondono nello stesso modo. Così, se per un dato ceppo la maggior parte degli amminoacidi provoca una riduzione nella produzione di H2S, si osserva che alcuni amminoacidi sono abbastanza neutri e possono perfino aggravare la liberazione di H2S. 

Gli altri composti solforati

Se i dati sul solfuro di idrogeno sono numerosi, quelli sulle sostanze di peso molecolare più alto sono più limitati. Il metantiolo potrebbe formarsi nel corso della fermentazione alcolica a partire dalla cisteina e dalla metionina. Per quanto riguarda l’etantiolo, si pensa che lo stesso si formi per combinazione dell’H2S con l’etanale o l’etanolo. Alcuni autori sospettano che l’aumento del pH dopo la fermentazione malolattica sia una delle concause dell’apparizione del gusto di ridotto. I riaggiustamenti della SO2 effettuati dopo la FML possono spiegare in parte la trasformazione dei composti disolfuri in mercaptani, che sono a volte più odoranti dei dimeri corrispondenti. In ogni caso, O. oeni è in grado di sintetizzare il metantiolo e il dimetilsolfuro, come pure il metionolo e il metionale a partire dalla metionina. Infine, è chiaro che certi ceppi malolattici mostrano in misura maggiore o minore la capacità a formare tali derivati solforati.

L’aiuto che viene dalle biotecnologie

Se da una parte il lievito è in grado di generare questo tipo di composti, è altresì importante riconoscere la capacità delle fecce di fissare i composti solforati, in particolare ad opera delle mannoproteine costitutive delle pareti di lievito. In realtà i legami tra i derivati solforati e le pareti dei lieviti devono mobilitare un catione bivalente come il rame e solo i tioli sono suscettibili di essere eliminati.

I lavori sull’assorbimento dei derivati tiolici da parte del lievito hanno spinto l’Institut Œnologique de Champagne, in collaborazione con il Laboratoire d’Œnologie della Faculté des Sciences di Reims, a sviluppare mezzi capaci di intrappolare, nella misura del possibile, l’insieme dei composti solforati volatili, sia che si presentino sotto forma ridotta o ossidata, sapendo che, a priori, le fecce non possono eliminare i disulfuri con meccanismi che mettano in gioco il rame.

Il risultato di queste ricerche ha portato all’ottenimento di due prodotti: Netarom, ottenuto a partire da scorze di lievito, indicato per la sua capacità di fissare la maggioranza dei composti volatili responsabili nel gusto di ridotto; Netarom Extra, prodotto simile al primo ma che contiene rame e che consente di risolvere l’insieme dei problemi quando Netarom non si mostra sufficientemente attivo.

Il vantaggio della scelta biotecnologica rispetto alla scelta dell’areazione – spesso impiegata come soluzione ai problemi di riduzione – sta nel fatto che quest’ultima, nella maggior parte dei casi, non è gestibile in maniera accurata e spesso i vini risultano troppo aperti, dopo qualche mese.

Anche l’utilizzo del rame conduce talora a vini relativamente secchi e si ammette che si percepiscano talvolta note metalliche, anche quando le dosi di utilizzo sono basse. Una delle soluzioni proposte utilizza il rame, ma in forma chelata da parte del lievito. In questo modo, il rame viene ceduto al vino solo in piccola parte, il che rende i derivati di cui sopra non rilevabili. I prodotti proposti interessano solo trattamenti curativi, quando i vini presentano un problema di riduzione.

I prodotti nel dettaglio

Netarom è una scorza di lievito selezionata in laboratorio per le sue capacità di intrappolare i derivati organolettici ed essenzialmente i sentori di riduzione. Netarom Extra è composto da Netarom (50%) e da una scorza di lievito (40%) sulla quale è presente del rame (sotto forma di Cu++). Il prodotto contiene inoltre un 10% di bentonite, al fine di facilitare la sedimentazione del trattamento nell’arco delle 24 ore alla temperatura di 12-15°C.

Prima di aggiungerli nel vino, i due formulati sono diluiti in 5 volte il loro peso d’acqua (ad una temperatura di 10-15°C), facendo attenzione ad evitare la formazione di grumi.

È stato sperimentato l’uso di tali prodotti (singolarmente e miscelati tra loro) su vini fortemente ridotti (sia sfusi che imbottigliati), provenienti dalle regioni della Champagne (Pinot nero) e della Costa del Rodano (Syrah). Dopo il trattamento i vini sono stati degustati sia da un panel specializzato nei sentori di ridotto sia dagli stessi tecnici delle cantine interessate. Inoltre si è proceduto al dosaggio dei tioli volatili, mediante gascromatografia, prima e dopo il trattamento. Infine si è proceduto all’analisi del rame, prima e dopo il trattamento, su vino e su soluzione modello, al fine di verificare un eventuale rilascio nel caso del Netarom Extra. La prova su soluzione modello mostra un arricchimento di 0,07 mg/l di rame in una soluzione non ionizzata.

Questo stesso arricchimento passa a 0,09 mg/l quando la forza ionica varia da 0,001 a 0,023 M/l. In altri termini e su dei casi estremi, le differenze di fuga del rame tramite il formulato non sono significative (dosaggio effettuato con ICPMS). Nel caso dei vini, in questa esperienza non si è osservata alcuna liberazione.

Altre esperienze, condotte in condizioni reali, mostrano che il valore massimo quantificato è di 0,12 mg/l per un tenore di Netarom Extra di 40 g/hl dopo cinque giorni di interazione con vino rosso e sotto costante agitazione.

La degustazione mostra chiaramente una diminuzione del carattere ridotto nei vini trattati e particolarmente in quelli trattati con il Netarom Extra. Dopo due giorni dal trattamento si osserva una scomparsa quasi totale dei difetti di riduzione, come rilevato da parte dei giudici del panel. Non vi è traccia di alcuna nota metallica – sia nel caso del mix Netarom + Netarom Extra sia con Netarom Extra da solo – rispetto al testimone. 

Questione di rame

Le differenze di efficacia osservate tra Netarom e Netarom Extra si spiegano senza alcun dubbio con la presenza del rame assorbito sulla parete del lievito. Tuttavia, nei vini è presente del rame ed è quindi lecito immaginare che lo stesso sia sufficiente per inibire i sentori di riduzione.

Ma ciò non impedisce che, anche a dosi di qualche centinaio di microgrammi per litro, certi vini mostrino sentori di riduzione. Infatti il dosaggio quantitativo del rame nel vino non riflette il tenore realmente attivo in questo elemento: il rame suscettibile di interagire con i derivati solforati rappresenta senza dubbio una scarsa percentuale del rame totale (nel vino esistono numerosi biopolimeri in grado di complessare il rame e renderlo quindi indisponibile rispetto al problema della riduzione). I ricercatori  ritengono che Netarom sia attivo in presenza di rame libero, suscettibile di complessarsi con i tioli, e quindi in grado di assorbirli sulla sua parete. Quando questo rame naturale del vino non è più sufficiente, si raggiunge il limite del Netarom e i soli assorbimenti che possono sussistere tra la parete del lievito e il derivato tiolo non mettono più in questione l’elemento rame. In questi casi Netarom Extra permette di apportare il rame necessario.

Non solo composti solforati

Talora, sorprendentemente, si osservano cromatogrammi piatti di composti volatili solforati in vini che, analizzati, rivelano un forte odore di riduzione. Queste constatazioni fanno sì che diversi autori, come Park et al. o Rauhut et al., sospettino fortemente che esistano anche composti non solforati responsabili del gusto di ridotto. Infatti, è sicuramente illusorio credere che la chimica dei gusti di ridotto nel vino si arresti a quella dei tioli e dei loro derivati.

Tipologia difetti 2006 2007 2008
Totale dei difetti % 7,1 NA 5,9
Gusto di tappo 27,8 29,7 31,1
Brettanomiceti 10,6 12,8 15,8
Difetti legati all’ossidazione 24,3 22,9 19,1
Difetti legati alla riduzione 29,2 26,5 28,9
Altro 8,1 8,1 5,1

Le principali sostanze responsabili del gusto di ridotto e alcune delle loro proprietà sensoriali.

Nome Formula Soglia di percezione (µg/l) Descrittore Vino ridotto (µg/l)
Acido solfidrico H-SH 0,8-1 Uovo marcio 16,3
Metantiolo CH3-SH 0,3 Acqua stagnante 5,1
Etantiolo  C2H5-SH 0,1 Cipolla 18,1
Dimetilsulfuro  CH3-S-CH3 5-160 Tartufo, asparago 2
Disulfuro di carbonio S=C=S 110 Caucciù 2,4
Dietilsulfuro  C2H5-S-C2H5 0,9-18 Aglio -
Dimetildisulfuro CH3-S-S-CH3 2,5-45 Asparago 2
Dietildisulfuro  C2H5-S-S-C2H5 4,3-40 Cipolla -
Etilmetilsulfuro  C2H5-S-CH3 - - -
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Nuovi strumenti contro il gusto ridotto. - Ultima modifica: 2012-07-14T11:57:41+02:00 da Redazione

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