È noto che buona parte delle molecole con rilevanza sensoriale siano incluse nella buccia dell’acino.
Sono state infatti sviluppate diverse strategie per estrarre la maggior parte di questi preziosi componenti al fine di caratterizzare al meglio i vini prodotti.
Due strade alternative
Volendo semplificare, vi sono due possibili strade: la prima vede una macerazione indipendente, o meglio in assenza di fermentazione alcolica e dunque con mancanza, o con un livello estremamente contenuto, di alcol nel mezzo.
La seconda strategia vede una macerazione in concomitanza con la fermentazione alcolica e dunque con un progressivo accumulo di etanolo nel mosto/vino.
La differenza non è evidentemente trascurabile. Il crescente accumulo di etanolo cambia la natura chimica dell’ambiente, permettendo l’estrazione di molecole insolubili, o solo parzialmente solubili, in acqua. Ovviamente altri fattori quali durata, temperatura, agitazione meccanica, contribuiscono a regolare il processo di macerazione, consentendo agli enologi di produrre la quasi infinita gamma di vini che conosciamo.
In tutto ciò come si comportano i microrganismi, lieviti e batteri presenti sulle uve, o inoculati nelle prime fasi della vinificazione?
Il fattore principale in grado di regolare lo sviluppo microbico è l’etanolo che via via va accumulandosi: la velocità di fermentazione e la capacità dei microrganismi di adattarsi alla presenza dell’alcool determinano la loro sopravvivenza e la loro l’attività, nel processo di vinificazione.
Articolo tratto da VVQ 7/2022
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È importante sottolineare che la capacità di adattamento dei microrganismi non è solo dovuta al patrimonio genetico. Alcuni fattori tecnologici o ambientali, quali la disponibilità di nutrienti e ossigeno, regolano la tolleranza dei lieviti e dei batteri all’etanolo. Altre molecole estratte durante la fermentazione hanno invece un ruolo minore nel regolare l’attività microbica. In particolare, le differenti classi di composti fenolici, antociani, tannini, ecc. possono sì favorire o limitare l’attività microbica; tuttavia, alle concentrazioni enologiche tale effetto appare decisamente secondario.
Ma andiamo con ordine e iniziamo dalle macerazioni in assenza di alcol, ovvero la macerazione prefermentativa e la macerazione carbonica.
Il freddo e i microrganismi, un rapporto complicato
La macerazione prefermentativa a freddo è il principale esempio di macerazione in assenza di fermentazione e dunque di etanolo. Il freddo è uno strumento utile per controllare lo sviluppo microbico, forse abusato in quanto vi è la convinzione che raffreddando il mosto la situazione microbiologica si cristallizzi, senza alcuna alterazione capace di influenzare il processo di vinificazione. In effetti non è propriamente così.
Molte specie di lieviti mantengono un’attività fisiologica al di sotto dei 10 °C e, se questa non si concretizza in un’evidente fermentazione alcolica, ciò non toglie che possa impattare sul profilo compositivo dei mosti e dunque dei vini. Si mantengono attività enzimatiche capaci di liberare precursori aromatici, degradare pectine o acidi organici, modificare il profilo dei composti azotati impattando sulla fermentescibilità delle uve. I lieviti possono poi moltiplicarsi risultando dominanti appena la temperatura superasse i 12-15 °C, alterando il normale decorso fermentativo.
L’attività enzimatica dei microrganismi è così significativa da essere stata studiata anche con l’obiettivo di ottenere preparati enzimatici puri, da utilizzarsi per la lavorazione delle uve.
Ad esempio, nel 2015 è stato pubblicato sulla rivista “World Journal of Microbiology and Technology”, uno studio che analizza l’effetto dell’estratto enzimatico ottenuto da Kluyveromyces marxianus nella macerazione e chiarificazione del succo prodotto dall’uva Ives (Vitis labrusca) rispetto a preparati enzimatici commerciali.
I trattamenti sono stati condotti con un’attività pectinolitica totale di 1 U/mL di succo di frutta, a 40 °C, per 60 min. Dopo il trattamento enzimatico, i succhi sono stati valutati rispetto a resa, viscosità e grado di chiarificazione, nonché riguardo all’effetto degli enzimi sulla concentrazione di polifenoli, antociani e colore del succo. I risultati hanno dimostrato che entrambi gli enzimi aumentano la resa, riducono la viscosità e contribuiscono alla chiarificazione del succo d’uva. Dopo il trattamento enzimatico con la preparazione ottenuta da Kluyveromyces marxianus, la resa di estrazione è aumentata del 28% e la viscosità durante la macerazione della polpa si è dimezzata. Durante il processo di produzione del succo la chiarificazione è aumentata dell’11,91%. L’aggiunta dell’enzima di origine microbica ha prodotto succo d’uva con una migliore intensità del colore grazie a una performante estrazione di composti fenolici e antociani. Questa ricerca evidenzia dunque quale sia il potenziale dei lieviti non-Saccharomyces nelle prime fasi della vinificazione, ben oltre l’avvio della fermentazione alcolica.
In merito alle dinamiche di popolazione microbica caratteristiche della macerazione prefermentativa a freddo, un interessante lavoro è stato pubblicato nel 2017 sull’”American Journal of Enology and Viticolture”.
I ricercatori hanno isolato i lieviti presenti su uve di pinot nero, al termine di una macerazione a freddo (8 - 9 °C) e ne hanno valutato l’attività enzimatica. Tra i lieviti isolati le specie maggiormente ricorrenti sono state Metschnikowia pulcherrima, Hanseniaspora uvarum, Lachancea thermotolerans e Saccharomyces cerevisiae. Altri lieviti segnalati su ricerche simili, e tipici della macerazione a freddo, sono Candida stellata, Hanseniaspora osmophila, Issatchenkia hanoiensis e il genere Zygosaccharomyces, quest’ultimo particolarmente controverso perché capace di apportare caratteri sensoriali positivi (liberazione di aromi varietali, sintesi di aromi fermentativi propri, cessione di mannoproteine) ma noto anche per i rischi di alterazioni (produzione di acido acetico, acetaldeide, etil-acetato, degradazione dell’acido malico) nelle prime fasi del processo di vinificazione. Circa la metà dei leviti identificati ha dimostrato una spiccata attività beta-glucosidasica. Test svolti con questi ceppi in micro-vinificazioni sperimentali, precedute da una macerazione a freddo, hanno evidenziato variazioni nelle concentrazioni di esteri etilici, esteri a catena ramificata, alcoli superiori e terpeni nei vini, rispetto ai testimoni.
Quali sono dunque le accortezze da utilizzare nella macerazione prefermentativa a freddo? Prima di tutto è opportuno ridurre la temperatura al di sotto dei 10 °C, dato che al di sopra l’attività microbica può essere decisamente evidente, tale da alterare la qualità dei mosti in conservazione. Fondamentale è che la temperatura sia raggiunta rapidamente e che anche il successivo riscaldamento non sia troppo lento. Se questo non fosse possibile, e comunque in ogni caso si sospetti un’eccessiva contaminazione microbica, sarebbe opportuno inoculare almeno una parte del lievito selezionato, o ceppi dotati di attività bio-protettiva, già prima della macerazione a freddo, in modo che questi, colonizzando il mosto, lo proteggano dalle alterazioni. Meglio non impiegare invece agenti antimicrobici come i chitosani o dosi eccessive di anidride solforosa che potrebbero interferire con la fermentazione o selezionare specie tolleranti, come il Brettanomyces.
La macerazione carbonica, un ecosistema complesso
La macerazione carbonica è una pratica in gran voga, se non altro perché i consumatori apprezzano i profumi fragranti e fruttati che genera. In effetti, questa tecnica sviluppata all’inizio del secolo scorso nel Beaujolais e tradizionale anche lungo il Rodano, è tutt’altro che banale nei suoi risvolti, chimici e microbiologici. L’acino integro in ambiente anerobico mantiene una attività fisiologica che porta a una fermentazione cellulare non mediata dai microrganismi. Si ottiene un modesto accumulo di etanolo, non oltre il 2%, la produzione di aromi caratteristici, alcoli superiori ed esteri in particolare, e la migrazione di composti fenolici dalla buccia alla polpa.
Una pubblicazione scientifica del 2006 sulla rivista “Food Research International” esclude un impatto diretto della microflora sul profilo aromatico caratteristico della macerazione carbonica, ciò non vuol dire che lieviti e batteri non risentano di questo trattamento.
I lieviti, posti in un ambiente totalmente anerobico, stentano a moltiplicarsi e soprattutto a sintetizzare molecole, come steroli e acidi grassi, utili ad aumentare la tolleranza all’etanolo e dunque ottimizzare le performance fermentative.
Questa considerazione vale soprattutto per Saccharomyces cerevisiae, mentre altre specie di lievito dette “Pasteur negative” sono meno influenzate dalla presenza/assenza di ossigeno, tra queste Brettanomyces. Sviluppi precoci di questo lievito, in presenza di uve parzialmente pigiate in ambiente anerobico non devono stupire.
Anche i batteri lattici traggono beneficio dalla macerazione carbonica, anticipando la degradazione dell’acido malico ed esponendo al rischio di fermentazioni eterolattiche.
Un articolo del 2020 sul “Journal of Applied Microbiology” descrive in maniera esemplificativa queste dinamiche.
Tre protocolli di vinificazione, con diversa gestione prefermentativa delle uve, sono stati monitorati mediante il conteggio delle piastre e il sequenziamento di nuova generazione della popolazione di lieviti e batteri. I vini ottenuti sono stati caratterizzati dal punto di vista chimico e sensoriale. I risultati della ricerca dimostrano come la lavorazione dell’uva abbia influenzato l’evoluzione del microbiota (soprattutto nel caso di batteri lattici e acetici) e la velocità di fermentazione. La più alta biodiversità è stata osservata nella sperimentazione condotta con macerazione carbonica, con presenza di gruppi batterici non usualmente riscontrabili in vinificazione (Bacteroidales, Clostridiales, Oscillospira).
Il diverso microbiota ha influenzato il contenuto in acidi organici dei vini: malico, lattico e succinico, la concertazione di ammine biogene e la percezione dei descrittori organolettici varietali, in questo caso Syrah. Gli autori concludono che la macerazione carbonica incide sull’evoluzione del microbiota e sulle caratteristiche del vino. L’assenza di aggiunta di starter allo stoccaggio delle uve e il mancato uso di anidride solforosa sembrerebbero correlate con l’elevata biodiversità microbica riscontrata.
Articolo tratto da VVQ 7/2022
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La vinificazione in rosso, tradizione e nuove scoperte
Le osservazioni riguardanti le dinamiche microbiche durante la vinificazione in rosso sono concordi nel disegnare una successione di generi di lievito, in funzione dell’incremento di etanolo e di alcune pratiche enologiche che influenzano due fattori fondamentali: la disponibilità di zuccheri e di ossigeno. I microrganismi sono in ogni caso insospettabilmente resistenti e capaci di rimanere vitali per tempi lunghi. A tal proposito uno studio del 2014 descrive in maniera esaustiva queste dinamiche.
L’articolo pubblicato sull’”International Journal of Food Microbiology” si è posto lo scopo di indagare le caratteristiche microbiologiche, chimiche e sensoriali dell’Aglianico di Taurasi, un vino rosso ottenuto da una lunga macerazione post-fermentativa, protrattasi per 90 giorni. I ricercatori coinvolti hanno dimostrato che la popolazione di lieviti è aumentata fino al 40° giorno di macerazione, per poi gradualmente diminuire, mentre la popolazione batterica si è mantenuta stabile per i 3 mesi di osservazione.
La comunità dei lieviti è risultata composta da Saccharomyces cerevisiae, Zygosaccharomyces bisporus, Metschnikowia pulcherrima, Hanseniaspora guilliermondii, Hanseniaspora uvarum, Pichia guilliermondii, Aureobasidium pullulans e Debaryomyces carsonii, mentre non sono stati rilevati lieviti alterativi del genere Brettanomyces. Oltre ad una biodiversità notevole e duratura nel tempo è stato anche interessante osservare come vi sia stata un’evoluzione interna alle differenti specie. Ad esempio, nove ceppi di S. cerevisiae sono stati rilevati nei vini, in momenti diversi momenti della macerazione. L’analisi chimica e sensoriale durante il processo di macerazione ha rivelato che i campioni sottoposti a macerazione prolungata hanno una maggiore complessità organolettica e un maggior contenuto polifenolico, senza evidenziare la comparsa di difetti.
Studi più recenti, ancora in fase di pubblicazione, svolti dall’autore concordano con queste informazioni. La macerazione delle vinacce sembra creare un ambiente favorevole per lo sviluppo microbico, contribuendo a materne un’elevata e composita popolazione microbica. In genere tale effetto può considerarsi positivo, in quanto è noto che i lieviti non-Saccharomyces possano avere un’influenza positiva sulla qualità del vino. È tuttavia necessaria una dominanza di S. cerevisiae per garantire un regolare consumo degli zuccheri e il contenimento di specie microbiche alterative.
La macerazione in genere favorisce l’attività fermentativa del lievito in quanto per la maggior parte dei polifenoli, antociani in particolare, sono state segnalate interazioni positive con le cellule di lievito. Non è da trascurare poi il fatto che la macerazione contribuisca ad estrarre molecole utili al lievito, come i composti azotati. Le vinacce offrono un supporto anche fisico alle cellule, favorendo lo scambio di massa e dunque l’attività fermentativa. Per il medesimo motivo svinature in prossimità della fine della fermentazione alcolica possono rivelarsi causa di arresti di fermentazione, in quanto assieme alle vinacce si rimuove una parte significativa dei lieviti. In conclusione, la macerazione è fondamentale nel regolare i caratteri organolettici del vino, attraverso la cessione selettiva di sostanze fenoliche. Tuttavia, le importanti modificazioni fisiche e chimiche che induce nei mosti, impattano significativamente anche sulle dinamiche delle popolazioni microbiche e di questo occorre tener contro per evitare problemi di fermentazione.