La refrigerazione applicata durante la fermentazione alcolica assorbe il 90% dell’energia elettrica utilizzata in cantina. E su questo parametro ha lavorato un gruppo di ricerca del Crea di Conegliano (TV) e dell’Università di Milano, nell’ambito del progetto Tergeo, raccogliendo i risultati ottenuti in un lavoro scientifico pubblicato sull’American Journal of Enology and Viticulture nel luglio 2016. Il progetto aveva lo scopo di individuare – a seconda delle caratteristiche della cantina – un ceppo di lievito e un protocollo di vinificazione ottimali per una buona cinetica fermentativa, evitando refrigerazioni eccessive e non indispensabili. Nella sperimentazione condotta in collaborazione con Arcipelago Muratori (Franciacorta) e presentata il 17 maggio 2017 da Tiziana Nardi (Crea) nell’ambito di Enoforum (Vicenza Fiere), si è lavorato su scala di cantina su una base spumante Chardonnay in vasche da 20 ettolitri, dotate di un impianto di refrigerazione in grado di registrare l’apertura e la chiusura delle elettrovalvole che fanno passare il liquido refrigerante in ciascuna vasca. A partire dal dato relativo al tempo di circolazione di tale liquido per ciascuna vasca, il Dipartimento di Ingegneria Agraria dell’Università d Milano ha quantificato i consumi energetici in vinificazione. Sono state messe a confronto due temperature, quella abitualmente utilizzata in cantina per produrre la specifica base spumante, 15°C, e 19°C, impiegando un ceppo di lievito (Lallemand) a metabolismo noto, sia intermini di produzione di aromi sia di produzione di solforosa, perché nel caso di Arcipelago Muratori sussisteva anche il vincolo di ottenere un vino esitabile sul mercato senza dicitura “Contiene solfiti”. Perché tradizionalmente si fermenta a temperature basse? Sia per trattenere gli aromi, in quanto le molecole odorose sono volatili, sia perché il lievito produce aromi fermentativi soprattutto in fase stazionaria. Alcuni studi condotti negli ultimi 15 anni hanno tuttavia parzialmente messo in discussione questo fatto, evidenziando fluttuazioni nella produzione di diverse molecole a temperature differenti. Questo è imputabile principalmente alle variabili condizioni di vinificazione e in particolare alla nutrizione dei lieviti, che incide moltissimo sulla loro produzione di aromi. Inoltre, molte caratteristiche che per lungo tempo abbiamo ritenuto associabili alla specie Saccharomyces cerevisiae in generale in realtà sono ceppo-dipendenti. Cosa è emerso: – come ci si poteva attendere, la fermentazione a 15°C ha richiesto più tempo di quella a 19°C (9 giorni contro 12); – a 19°C non si è rilevato alcun segno evidente di avvio di fermentazione malolattica; – l’impianto di refrigerazione si è attivato per un numero di volte inferiore nella fermentazione a 19°C e il risparmio energetico calcolato si è attestato attorno al 65%; – il vino ottenuto a 19°C, sottoposto a test triangolare con scelta forzata da parte di un panel di trenta persone, è risultato indistiguibile da quello prodotto con fermentazione a 15°C; – l’analisi gas-cromatografica di 93 molecole volatili ha registrato nei due casi variazioni solo per 24 di esse, tuttavia al di sotto della soglia di percezione: 18 erano più concentrate a 19°C e 6 più concentrate a 15°C. L’obiettivo di ottenere un vino dalle caratteristiche non modificate, anche in termini di solforosa finale, con fermentazione a temperatura più alta e con conseguente risparmio energetico, è stato raggiunto. Ma, ha ribadito più volte Tiziana Nardi, la scelta del ceppo di lievito è fondamentale allo scopo.
Una ricerca presentata a Enoforum 2017
Quando il lievito fa risparmiare energia
Fermentare a temperature più alte senza modificare la qualità del vino ottenuto