Il vino è il prodotto di un complesso processo di trasformazione, in buona parte mediato da microrganismi che consentono la conversione dei costituenti del mosto in molecole fondamentali per la definizione della qualità del vino stesso. In questo contesto, un attento monitoraggio della microflora che opera all’interno delle botti o dei serbatoi è fondamentale. Tuttavia, mentre ormai la chimica analitica applicata all’enologia ha raggiunto livelli di eccellenza, resta ancora molto da fare per quel che riguarda gli aspetti analitici legati al monitoraggio dei lieviti e dei batteri che operano durante il processo di vinificazione. Se infatti la determinazione dei parametri chimici del vino, sia di base che più specialistici (componenti aromatiche, polifenoli) ha nell’ultimo decennio visto un deciso passaggio da approcci classici a tecniche strumentali, più sensibili e razionali, la microbiologia analitica rimane ancora oggi in larga parte legata alle tecniche colturali che prevedono la crescita dei microrganismi su terreni sintetici. Queste tecniche non hanno subito sostanziali migliorie, almeno negli ultimi vent’anni, ed oggi iniziano a risentire del peso degli anni risultando poco rispondenti alle esigenze dei tecnici e dei ricercatori impegnati nel settore della microbiologia enologica ed alimentare. L’utilizzo su larga scala di approcci colturali allo studio della microflora rimane ancora oggi giustificato dal fatto che queste tecniche risultano versatili e in grado di fornire numerose informazioni agli analisti, oltre al fatto che la loro larga diffusione ha consentito una decisa riduzione dei costi e le rende quindi economicamente concorrenziali. Tuttavia la coltura su piastra presenta numerosi punti deboli, tra cui la necessità di spazi dedicati e di personale specializzato nell’allestimento e nell’interpretazione dei dati e, soprattutto, l’eccessiva durata del processo analitico.
Di cosa stiamo parlando
Come già sotteso nel nome stesso, i metodi colturali prevedono la coltura, ovvero la crescita, dei microrganismi presenti nel mosto o nel vino. La velocità di crescita dipende dalle caratteristiche delle diverse specie microbiche. Purtroppo quelle diffuse nel settore enologico presentano crescite piuttosto lente, richiedendo tempi variabili dai tre ai dieci giorni contro, ad esempio, le 48 ore richieste dalla maggior parte dei microrganismi originari del settore lattiero-caseario. Questa lentezza fa sì che le analisi microbiologiche mediante tecnica colturale risultino inadeguate laddove il processo produttivo che si vuole monitorare sia veloce (come nel caso delle fermentazione) o quando si abbisogni di risposte rapide per intervenire tempestivamente nella correzione di problemi o deviazioni (arresti di fermentazione, presenza di batteri lattici, presenza di Brettanomyces). Per rispondere a questi problemi sono state proposte in passato diverse tecniche molecolari, ovvero basate sull’analisi degli acidi nucleici, che costituiscono un preciso indice qualitativo e quantitativo di una popolazione cellulare. Tuttavia gli iniziali entusiasmi riguardo a questi approcci analitici si sono via via raffreddati a causa di limiti intrinseci di questi metodi, dei notevoli costi e della necessità di personale altamente specializzato che li relega, di fatto, ad un ambito accademico o laboratoriale specializzato. Tuttavia oggi si prospetta un nuovo approccio strumentale che può garantire risultati rapidi ed accurati in tempi decisamente brevi: la citofluorimetria.
Come funziona?
Nel campo microbiologico potremmo paragonare questa tecnica strumentale ad un microscopio automatico dove le cellule non sono osservate dall’occhio umano ma da un rilevatore elettronico sensibile al mutare delle caratteristiche del fascio luminoso, dovuto al passaggio delle cellule. La sospensione cellulare è raccolta e inviata al rilevatore dal sistema fluidico della macchina che, grazie ad uno specifico design e a pompe di precisione, riesce a ordinare le cellule in un flusso ordinato laminare, disponendole in fila singolarmente. A questo punto le cellule attraversano la camera di rilevazione, un sistema di quarzo ove sono presenti uno o più fasci luminosi generati da laser di precisone. Il passaggio delle cellule attraverso il fascio luminoso crea segnali che sono poi ricevuti ed amplificati da diversi rilevatori. I principali segnali che tutte le particelle (cellule e non) generano sono dovuti alla mera presenza di solidi in un fascio luminoso e sono detti appunto parametri fisici. A 180° dalla sorgente luminosa è posto un rilevatore, detto forward scatter (FSC), che registra la dimensione dell’ombra prodotta dalla particella nel fascio luminoso, fornendoci informazioni sulla dimensione delle particelle. A 90°C è posto un secondo rilevatore, detto side scatter (SSC), che intercetta la porzione del fascio luminoso rifratta, ovvero riflessa, dalle cellule in ragione delle loro strutture interne, riassunte nel parametro della complessità cellulare. Già i dati relativi a questi due primi segnali consentono di ottenere molte informazioni sulla natura della popolazione cellulare, differenziando su base dimensionale lieviti da batteri o su base morfologica una coltura pura di lieviti da una coltura mista.
Applicazioni concrete
L’Unità Chimica Vitienologica e Agroalimentare della Fondazione Mach vanta una lunga tradizione nell’ambito dell’analisi e della consulenza nel settore enologico, sia in campo chimico che microbiologico. Rispondendo a questa sua vocazione essa ha acquisito, sulla base delle prospettive descritte fino ad ora, un apparato citofluorimetrico nel 2012. Dopo alcuni mesi dedicati alla messa a punto del sistema, il laboratorio è ora in grado di fornire una prima serie di servizi analitici basati sulla citofluorimetria, servizi che andranno comunque ad ampliarsi nei prossimi mesi. In questa nota vogliamo presentare le prime due applicazioni a disposizione degli enologi, concludendo poi con alcune anticipazioni su quanto in un futuro prossimo sarà disponibile.
L’analisi dei lieviti secchi attivi
La prima applicazione della citofluorimetria testata presso i laboratori della Fondazione Mach è stata quella dell’analisi dei lieviti secchi attivi impiegati in enologia. Già da alcuni anni la Fondazione Mach è attiva su questo fronte, grazie anche ad un marchio di qualità ed un percorso di certificazione a cui, ad oggi, ha aderito una azienda italiana, la Ever Srl. Anche in questo caso la necessità di analisi rapide e accurate era primaria e quindi si è proceduto a testare il citofluorimetro nell’analisi dei LSA. I risultati ottenuti sono stati estremamente positivi. Nel corso del 2013 sono stati analizzati più di 80 campioni di lievito secco attivo, comparando la determinazione delle cellule con il citofluorimetro alla conta su piastra secondo metodo ufficiale OIV. Nella maggior parte dei casi le determinazioni ottenute al citofluorimetro rientrano nell’intervallo di incertezza della conta su piastra ed anzi l’analisi degli scarti tra i due metodi non evidenzia scostamenti significativi se non a bassi livelli di carica cellulare, dove la tecnica citofluorimetrica riesce probabilmente a contare cellule di lievito fortemente stressate, non in grado di crescere su piastra Petri. Inoltre, l’analisi al citofluorimetro ci fornisce un ulteriore utile parametro ovvero la determinazione delle cellule morte presenti nel lievito secco, un’informazione che può essere considerata un indice della qualità del preparato microbiologico e degli stress che ha subito durante il processo di produzione e conservazione. Rispetto alla conta su piastra secondo il metodo OIV siamo quindi in grado di ottenere un maggior numero di informazioni e in un minor tempo: l’analisi citofluorimetrica dei LSA, considerando anche le fasi preliminari di reidratazione del campione, non richiede più di 30 minuti, rispetto ai 3-4 giorni necessari con la conta su piastra.
Il monitoraggio della presa di spuma
Una seconda applicazione in campo enologico, dove la velocità di analisi e la dovizia di informazioni della tecnica citofluorimetrica giocano un ruolo fondamentale e decisamente migliorativo rispetto allo stato dell’arte, è il monitoraggio della rifermentazione in bottiglia durante la produzione di vini spumanti secondo il metodo classico. È noto infatti come lo sviluppo della microflora e la fermentazione secondaria dei vini spumanti siano processi estremamente delicati perché avvengono in un mezzo, il vino, sfavorevole all’attività dei lieviti. Il monitoraggio della microflora durante la produzione del piede di avviamento e nelle prime fasi della fermentazione in bottiglia è essenziale e deve essere estremamente tempestivo, visti i tempi brevi di tale processo, che spesso sono misurati in ore. Scartata quindi la conta su piastra Petri, che fornirebbe risultati nel giro di alcuni giorni quando la presa di spuma è ormai in una fase avanzata e il vino imbottigliato, solitamente si ricorre alla conta microscopica delle cellule di lievito e alla colorazione con blu di metilene per discriminare le cellule vive dalle cellule morte. Questa tecnica analitica è però fortemente influenzata dall’abilità dell’operatore che la esegue e fornisce quindi risultati poco ripetibili e accurati. La citofluorimetria si presenta, anche in questo caso, come un’interessante alternativa. Mediante l’impiego di due soluzioni fluorescenti è possibile discriminare con estrema precisone le cellule vive dalle cellule morte. Si utilizza un fluoroforo che manifesta il carattere fluorescente solo previa esterificazione. Tale attività è prerogativa delle cellule che possiedono un’attività metabolica e che, in un linguaggio più comprensibile, sono da considerarsi vive e attive nei processi fermentativi. Le cellule inattive, o morte, sono invece evidenziate da un secondo colorante fluorescente che è in grado di penetrare esclusivamente in microrganismi aventi la membrana cellulare compromessa o fortemente danneggiate. Dall’incrocio dei due segnali fuoruscenti è possibile ottenere diagrammi nei quali si differenziano chiaramente sia la popolazione di cellule vive che di cellule morte. Ma l’analisi di campioni reali di vini spumanti in rifermentazione ci fornisce anche altre informazioni. È possibile evidenziare chiaramente una terza popolazione cellulare di lieviti ancora attivi ma che presentano rilevanti danni alla membrana cellulare. L’incidenza di queste cellule sulla popolazione di lieviti è un chiaro parametro dello stato della biomassa e può consentire di prevenire arresti di fermentazione che causerebbero una seria compromissione del prodotto. Anche in questo caso quindi la citofluorimetria è in grado di fornire risposte accurate ed esaustive in tempi molto rapidi, nell’ordine della ventina di minuti.
La rivoluzione?
In conclusione è possibile affermare che anche nel settore della microbiologia enologica si sta affacciando una generazione di apparati strumentali in grado di rivoluzionare l’attività analitica dei laboratori e di fornire agli enologi nuovi strumenti per la comprensione delle dinamiche delle popolazioni microbiche durante il processo di vinificazione a tutto vantaggio della qualità delle produzioni enologiche. [box title= "Il futuro prossimo" color= "#c00"] Le potenzialità della citofluorimetria non sono ancora pienamente sfruttate in ambito enologico. Grazie ad apposite sostanze, dette fluorofori, è possibile evidenziare specifiche caratteristiche della popolazione cellulare tra cui la vitalità, specifiche attività metaboliche o, in casi particolari, la specie di origine. Alcune soluzioni pionieristiche in questo campo sono già state applicate all’enologia ma, considerando l’ampia diffusione e le numerose e soluzioni disponibili in ambito biomedicale, è facile ipotizzare che da qui ad alcuni anni il ventaglio di applicazioni si aprirà notevolmente anche nel campo agroalimentare.[/box] [box title= "Un'opportunità" color= "#c00"] Le due applicazioni descritte in questo articolo rappresentano risposte concrete e immediatamente disponibili a problematiche inerenti la gestione delle biomasse in enologia. La citofluorimetria ha tuttavia numerose applicazioni che saranno sviluppate prossimamente, tra cui la ricerca di lieviti alterativi e il monitoraggio della fermentazione malolattica. Inoltre la citofluorimetria rappresenta un’importante risorsa per l’attività sperimentale di laboratori e centri di ricerca, in grado di aumentarne le performance analitiche, garantendo un maggior numero di determinazioni e quindi una maggiore attendibilità dei risultati ottenuti.[/box] Articolo a firma di Raffaele Guzzon* e Roberto Larcher - U.O. Chimica Vitienologica e Agroalimentare - Fondazione E. Mach (San Michele all'Adige, TN) * raffaele.guzzon@fmach.it +39 0461615139/118 +39 3292941738 PER APPROFINDIRE
Dalle analisi mediche a quelle enologiche
La citofluorimetria è una tecnica analitica strumentale che si basa sull’interazione tra particelle sospese in un mezzo liquido e la luce, prodotta da specifiche sorgenti luminose, solitamente laser. Questa tecnica trova oggi larga applicazione in diversi settori dell’ingegneria dei materiali e della scienza biomedica, tanto che è alla base della maggior parte degli esami clinici di routine negli ospedali, come le analisi ematiche e la ricerca dell’HIV. Dal campo biomedico questa tecnica si sta ora espandendo anche ad ambiti con platee meno vaste di utenti, come quelli agroalimentare ed enologico, grazie anche alla sensibile riduzione dei costi strumentali che si va osservando negli ultimi anni.