
Dazi al 17% per agricoltura e vino, esenzione per gli spiriti: è quanto paventa la US Wine Trade Alliance (Uswta) - l’associazione americana che rappresenta a tutti i livelli il commercio vinicolo statunitense nella lotta contro le tariffe -, in una Lettera inviata a Unione Italiana Vini venerdì 11 luglio 2025 in cui fa appello alla filiera enologica italiana ed europea per attuare pressione sui negoziatori del Vecchio Continente. “Per ragioni politiche o ideologiche - cita la lettera che si basa su fonti dirette - gli Usa considerano negativamente i deficit commerciali, e con il vino europeo il disavanzo è molto alto. Ma – prosegue l’Uswta – come tutti sappiamo (ma non l’Amministrazione Trump), i vini europei sono espressioni uniche del terroir e non sono replicabili con equivalenti americani”.
Danni ingenti per entrambe le parti
Per il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi: “I dazi al 17% rappresenterebbero un grave ostacolo per entrambe le parti, oltre a risultare contrari allo spirito di cooperazione e alla lunga storia di relazioni che ci uniscono, e la lettera Uswta ne è l’esempio. Per questo motivo, rivolgiamo un appello urgente per un’ulteriore azione di mediazione da parte della Commissione europea e del nostro governo. A queste condizioni – per noi inaccettabili – il danno potenziale stimato da Uiv per il vino italiano, che destina verso gli Usa il 24% del proprio export, è compreso in una forbice tra 300-330 milioni di euro nei prossimi 12 mesi, mentre per i partner oltreoceano – importatori, distributori, ristoranti, bar – si aggira su 1,9 miliardi di dollari”. Un danno, questo, destinato a lievitare in maniera direttamente proporzionale alla debolezza del dollaro.
Secondo l’Osservatorio Uiv, il rischio – qualora non si attivasse una riduzione dei ricavi lungo la filiera – è di trovarsi, a fine 2026, di poco sopra ai valori espressi nel 2019.
Per approfondire:il vino italiano negli usa
MERCATO. L'export di vino italiano verso gli Stati Uniti vale circa 2 miliardi di euro, pari al 24% dell'export totale di vino italiano. Di conseguenza, il vino italiano è più esposto al mercato statunitense rispetto alla Francia (dove la quota Usa è al 20%) e alla Spagna (11%). A sua volta, secondo le elaborazioni dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv), il vino italiano rappresenta il 40% dell'export totale dell'UE verso gli Stati Uniti. Ad aprile 2025 – primo mese soggetto ai dazi - l’export di vino italiano verso gli Usa ha registrato una battuta d’arresto, con un calo del 7,5% a volume e del 9,2% a valore. Allargando lo sguardo all’Ue, l’export di vino europeo verso gli Usa vale quasi 5 miliardi di euro l’anno, quello proveniente da oltreoceano arriva a 318 milioni di euro. Complessivamente le vendite di alcolici europei negli Usa (vino incluso) generano un fatturato di 8 miliardi di euro a fronte di un import degli stessi prodotti pari a 1,3 miliardi.
OFFERTA. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv, il corretto rapporto qualità-prezzo è un elemento centrale nell'export del vino italiano verso gli Stati Uniti e il vero segreto del successo commerciale del made in Italy enologico oltreoceano. Contrariamente a quanto si pensa, la categoria dei vini "popolari" (prezzo franco cantina intorno ai 4 euro per litro, prezzo allo scaffale intorno ai 13 dollari a bottiglia) è quella più venduta, con 350 milioni di bottiglie di vino italiano (81% dei volumi totali e il 63% del valore). La fascia premium (fino a 30 dollari allo scaffale e in media a 10 dollari alla cantina) pesa a volume per il 17% delle vendite (il 29% dei valori), mentre per il luxury – oltre i 30 dollari – la presenza è residuale, appena il 2% a volume e l’8% a valore. Il prezzo medio alla cantina di esportazione del vino italiano verso gli Stati Uniti è di 5,35 euro per litro (più della metà dei vini "popolari" sono venduti ben al di sotto della soglia). Uiv stima che il 76% delle vendite (l’equivalente di 364 milioni di bottiglie su un totale di 482 milioni) del vino made in Italy si trovi in "zona rossa", avendo un’esposizione sul mercato statunitense pari o superiore al 20% dell’export totale. Le denominazioni particolarmente vulnerabili sono: Moscato d'Asti al 60%, Pinot Grigio al 48%, Chianti Classico al 46%, rossi toscani al 35%, rossi del Piemonte al 31%, e Brunello di Montalcino, insieme a Prosecco al 27% e Lambrusco. A livello di volumi spediti, il Pinot Grigio primeggia con 156 milioni di bottiglie, seguito a ruota dalla galassia Prosecco con 142 milioni pezzi e primato a valore: 491 milioni di euro.
CONSUMI. Dal punto di vista geografico, la domanda americana di vino si concentra al Sud (4 bottiglie su 10 sono stappate qui), seguito da West (25%), Northeast (10%) e Midwest (16%). La gran parte dei consumi di vino negli Stati Uniti è rappresentata da prodotti domestici, che valgono il 70% dei volumi consumati. Solo 3 bottiglie di vino stappate su 10 sono d’importazione dall’estero, ma, tra queste, le etichette italiane si posizionano al primo posto con una quota di mercato pari al 37%. Seguono nella classifica dei vini esteri Australia (14%), Nuova Zelanda (12%), Cile (11%) e Francia (10%). Sul fronte delle tipologie dei vini tricolori, secondo Uiv gli spumanti rappresentano il 37% delle etichette consumate negli Usa, seguite dai bianchi (al 36%) e, a distanza, dai rossi (18%). Guardando invece ai soli sparkling, le bollicine italiane – trainate dal Prosecco – rappresentano la prima scelta (42%) dei consumatori americani, prima ancora delle bollicine domestiche (40%) e francesi (10%). Il primato si conferma anche sul fronte dei valori, dove il made in Italy guadagna il primo posto con uno share del 35%, seguito dai francesi al 32% e dagli spumanti americani al 28%.
Elaborazione dati: Osservatorio Uiv su varie fonti