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Vengono genericamente definiti “non-Saccharomyces" perché “altri” rispetto a Saccharomyces cerevisiae, che a ragion veduta potremmo definire come il principe delle fermentazioni, e non solo in enologia.
Tuttavia esiste una pletora di lieviti appartenenti a specie diverse, le cui caratteristiche enologiche sono state solo in parte studiate e che necessiterebbero di ulteriori approfondimenti scientifici per poterne sfruttare le potenzialità nei protocolli di vinificazione.
Definire protocolli ad hoc
Come sottolinea il professor Nicola Francesca dell’Università degli Sudi di Palermo, diverse specie di non-Saccharomyces potrebbero aiutare i produttori ad affrontare le conseguenze negative del cambiamento climatico, come la riduzione delle acidità dei mosti e la manifestazione di sentori “troppo maturi”, con perdita di freschezza e vivacità, nei vini ottenuti da uve maturate in clima caldo e siccitoso. Oggi sappiamo anche che essi possono avere un ruolo fondamentale nella stabilizzazione del colore.
Ma per sfruttarne appieno le caratteristiche tecnologiche interessanti, i non-Saccharomyces vanno conosciuti a fondo e a seguito di questa conoscenza occorre mettere a punto tecniche e tecnologie adeguate al loro miglior impiego.
Le potenzialità sono enormi e la sperimentazione sin qui condotta ci dice che combinando variamente gli inoculi sequenziali si ottengono modulazioni aromatiche molto diverse: a partire dalla stessa uva e dalle stesse condizioni di vinificazione, cambiano infatti le combinazioni di composti unici volatili con soglia percettiva interessante.
Altro tema importante è l’elevata capacità di alcune specie non-Saccharomyces di sintetizzare enzimi in grado di “rompere” precocemente precursori aromatici presenti nel mosto e rilasciare profumi in fase di trasformazione, incrementando rapidamente complessità e intensità aromatica. Questo fatto può essere utile o rischia di accorciare la shelf life aromatica del vino? Ovviamente a fare la differenza è l’obiettivo enologico che si intende realizzare.
L’utilità come agenti di biocontrollo
Maurizio Ciani (Università Politecnica delle Marche) sottolinea il valore di alcune specie non-Saccharomyces come agenti di biocontrollo, in vigna e in cantina.
Nel primo caso il loro sfruttamento ha come effetto tutt’altro che trascurabile la possibilità di ridurre l’uso di prodotti chimici per la protezione del vigneto da patogeni, in particolare da Botrytis cinerea in prossimità della vendemmia. In vigneto hanno mostrato performance interessanti, tra gli altri, Aureobasidium pullulans e Metschnikowia fructicola. Le modalità di azione con cui alcuni non-Saccharomyces controllano lo sviluppo di patogeni in vigneto possono essere diverse e contemplano la produzione di composti antimicrobici, tra cui VOCs, e competizione per l’occupazione della nicchia ecologica e l’acquisizione di cibo. Da approfondire i riflessi della distribuzione di questi agenti di biocontrollo in vigneto sulla presenza di lieviti indigeni sulle bucce delle uve.
In cantina, il genere Metschnikowia si è dimostrato utile nel controllo di microflora infestante nelle fasi pre-fermentative (per esempio in macerazioni a freddo), consentendo una riduzione nell’uso di solforosa. Da tempo i non-Saccharomyces vengono studiati anche per il contenimento del Brettanomyces, in virtù della loro capacità di liberare glicoproteine che agiscono selettivamente su questi lieviti inquinanti: potrebbe essere utile sia un utilizzo dei non-Saccharomyces attivi in tal senso in fase pre-fermentativa e fermentativa, sia un uso delle glicoproteine da essi prodotte, estratte e concentrate. L’uso di derivati di non-Saccharomyces, lisati e autolisati, al momento non è autorizzato.
Sintesi di articolo tratto da VVQ n. 1/2025