Il cuore caldo dell’anticiclone africano ha iniziato ad ansimare presto quest’anno.
Da metà giugno a inizio luglio si è localizzato tra Tunisia e Italia. Una posizione anomala che ha portato condizioni meteo di caldo intenso e duraturo in tutto il Meridione, con picchi oltre i 40° che hanno condizionato molte colture, vite compresa.
Editoriale del numero 5/2021 di VVQ
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Non va meglio al di là dell’Oceano Atlantico dove l’heat dome, la cupola di calore, ha spinto le temperature a lambire i 50° in tutta la fascia tra Canada e Mid West americano, con il paradosso di soffocare di caldo vigneti come quelli del Wisconsin o del Minnesota, tutti impiantati con viti ibride per resistere invece al gelo.
L'escalation del global warming
Ogni anno aggiorniamo il record dell’anno più caldo del secolo: la banca dati del Cnr-Isac mostra che la variazione più evidente nel clima italiano è proprio l’aumento della temperatura. Complessivamente negli ultimi due secoli abbiamo guadagnato oltre due gradi, ma l’aumento più evidente di circa 1,5°C è avvenuto dopo il 1980, e questo riscaldamento vale per tutte le stagioni.
Scarse disponibilità idriche
Nell’ultimo periodo si sta manifestando un’altra preoccupante tendenza: le precipitazioni, più intense e disordinate a causa dell’aumento dei fenomeni meteo “estremi”, sembrano registrare una tendenza calante. Dal 2017 si susseguono infatti annate sempre più secche: dall’inizio del 2021 il totale delle piogge cadute in Pianura padana è di circa 170 mm, la metà esatta della media pluriennale del periodo.
La vite come bioindicatore
Le uve da vino sono tra le colture più influenzate da questi fenomeni, tanto da essere considerate dei bio-indicatori dell’azione del global warming: lo scriviamo nello speciale di questo numero di VVQ, dedicato alle strategie di vigneto e di cantina per fare fronte ai cambiamenti climatici.
Le contromisure
Metodi innovativi di gestione agronomica come la defogliatura in prefioritura e il mantenimento di una maggiore densità di vegetazione nella fascia produttiva consentono di migliorare gli indici di qualità delle uve, contenendo gli effetti dei disaccoppiamenti della maturazione tecnologica, fenolica, aromatica.
Fermentazioni indotte dall’utilizzo di alcuni ceppi di lieviti non-Saccharomyces consentono di migliorare aromi e acidità di mosti penalizzati dall’andamento climatico.
Se però manca l’irrigazione, non c’è nemmeno produzione e tutti questi accorgimenti risultano vani. L’irrigazione del vigneto è passata in poco tempo dall’essere considerata pratica negativa a necessaria. Il guaio è che i fabbisogni irrigui della vite sono più alti quando è maggiore la competizione per l’utilizzo di questa risorsa. Conviene quindi imparare ad usarla al meglio, ma anche questo non basta.
Obiettivo mitigazione
L’Unione europea ha lanciato l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, un target che oggi può apparire velleitario, ma che rischia di fare la differenza nelle precedenze accordate dalle prossime programmazioni della Pac, la politica agricola comune. Il vigneto sul fronte del climate change non può giocare solo in difesa: deve dimostrare di poter dare un contributo in termini di mitigazione.
L’accordo di Parigi sul clima, siglato nel 2015, evidenzia che entro il 2100, anche nel caso di contenimento delle emissioni di gas serra, aggiungeremo almeno un altro grado alla temperatura globale, e ben quattro se non faremo nulla.
Solo tre-quattro mesi fa esaltavamo il coraggio dei viticoltori francesi che proteggevano i vigneti dalle gelate con stufe a gas e resistenze elettriche, ma è un paradosso termodinamico: nessuno metterebbe il termosifone sul balcone per proteggere i gerani.
La gestione di vigneto e cantina deve necessariamente cambiare, prima che arrivino dall’alto stop a pratiche energivore come la criovinificazione.
L’alternativa rischia di essere peggiore: la scarsità della risorsa idrica ne farebbe schizzare i costi, rendendo più conveniente vendere acqua piuttosto che vino.