Secondo l'ultimo report Ipcc 2013, negli ultimi tre decenni la superficie terrestre e oceanica è risultata mediamente e costantemente più calda rispetto a qualsiasi decennio precedente, tanto che nell'emisfero nord il trentennio 1983-2012 è stato il più caldo degli ultimi 1400 anni. Nell'intervallo 1880-2012, ovvero da quando esistono più serie di dati meteo prodotti indipendentemente, la temperatura media della superficie della terra e degli oceani, combinata a livello globale, mostra un riscaldamento di 0,85°C, con un intervallo di variazione da 0,65 a 1,06°C.
Il quadro attuale
Il rispetto dell'accordo di Parigi, firmato nel 2015 da ben 196 paesi (Cop 21), che prevede di contenere l'aumento della temperatura media del pianeta entro i 2°C entro la fine del secolo, meglio entro 1,5°C, potrà essere raggiunto soltanto mediante l'azione combinata della riduzione delle emissioni di CO2, da una parte, e il potenziamento del sequestro del carbonio presente in atmosfera, dall'altra. Al di sopra di questa soglia, ritenuta invalicabile, il costo sociale ed economico diverrebbe incalcolabile e prodromo di una brusca recessione economica legata ad un aumento delle migrazioni delle popolazioni e da una concomitante caduta del reddito medio pro-capite e del prodotto interno lordo globale. Catastrofi naturali e perdita di produzione agricola causate da eventi climatici estremi (es. bombe d'acqua, inondazioni, frane, smottamenti, siccità, ondate di calore, gelo, trombe d'aria, uragani, tifoni, ecc.) saranno alla base di questo impoverimento più o meno generalizzato dell'intero pianeta terra. Dalla politica (?) e dalla tecnologia ci si aspetta soluzioni adeguate. Da ricordare poi che l'agricoltura, nel suo complesso, può essere considerata nel contempo vittima del riscaldamento del pianeta (raccolti a rischio e/o fortemente decurtati per alluvioni, siccità ed altri eventi meteo estremi) e carnefice (sfruttamento irrazionale dei suoli, deforestazione spinta ed elevata produzione di CO2).
La riduzione dell'impronta del carbonio in tutte le filiere agroalimentari è oggi una necessità inderogabile; ed ecco allora che lo spostamento delle coltivazioni in aree più idonee, l'uso di cultivar resistenti, gli inerbimenti ed i sovesci, l'ottimizzazione dei pascoli, i modelli di coltivazioni maggiormente rispettosi dell'ambiente, l'agricoltura di precisione ed il rateo variabile, le macchine e le attrezzature eco-compatibili di ultima generazione, la sensoristica sia da remoto che prossimale (Internet of Things incluso) in grado di evidenziare le risposte delle piante alle deviazioni e guidare la difesa, l'irrigazione, la nutrizione, la gestione della chioma e del suolo, ecc., diventano strumenti tecnici importanti da valorizzare ed utilizzare in modo esteso, poiché in grado di fornire un aiuto concreto sia nell'immediato che nel futuro.
Ma a quanto ammonta il costo sociale delle emissioni di CO2 nell'atmosfera?Dall'ultimo numero della rivista scientifica Nature Climate Change arriva la risposta a questo delicato quesito: Ricke et al. (2018) stimano infatti che per ogni tonnellata di CO2 emessa dall'uomo nell'atmosfera, l'umanità paghi un conto di 417 dollari (mediana). Nel 2017 sono state immesse nell'atmosfera del pianeta terra circa 37 miliardi di tonnellate di CO2, pertanto l'esborso monetario globale stimato è pari a 15.000 miliardi di dollari, che equivale quasi al Pil generato ogni anno dai paesi dell'Ue a 28 oppure a quello prodotto in Italia in 8 anni. Pertanto, mentre i governi si dannano l'anima per racimolare 30-40 miliardi di euro l'anno necessari per la manovra finanziaria (Def), l'umanità (??) si permette il lusso di sperperare una valanga di miliardi di euro per riparare i danni (evitabilissimi........) che il global warming regolarmente provoca.
E' interessante poi sapere che non tutti i paesi pagano in egual misura, anzi alcuni addirittura guadagnano dalle emissioni antropiche di CO2. Dal lavoro sopra citato emerge infatti come tra i paesi che pagano i costi più elevati vi sono alcuni che hanno un interesse diretto a frenare le politiche di prevenzione del cambiamento climatico per continuare a estrarre e commercializzare petrolio, quali Arabia Saudita e Emirati Arabi, altri invece scontano l'effetto diretto dell'aumento dei gradi di calore, poiché ogni grado di temperatura in più rispetto all'optimum economico (che pare essere 13°C) provoca limitazioni alla crescita economica (es. India, Usa, Brasile e Cina che di fatto mostrano oggi un tasso di inquinamento elevato e purtroppo crescente, seppur con motivazioni differenti). Viceversa, vi sono paesi che beneficiano in termini economici, quali Russia, Canada, Regno Unito, Germania, Polonia, Ungheria, Svezia, Norvegia, Finlandia, poiché un aumento della temperatura migliora la crescita economica (minori costi per il riscaldamento domestico, aumenti delle produzioni agricole, risparmio per le catastrofi meteo evitate, ecc.); non a caso tali paesi sono collocati nella parte settentrionale dell'emisfero nord, ove la temperatura media è al di sotto dell'optimum economico.
Il concetto di mitigazione del riscaldamento del pianeta deve quindi tenere in forte considerazione anche l'aspetto sociale, oltre che quello economico come visto sopra, ovvero infrastrutture distrutte e vite umane ed animali stroncate, senza dimenticare quello ecologico, ovvero sconvolgimento degli ecosistemi e migrazioni di massa sia di esseri umani sia di animali e piante, inclusi insetti e specie aliene. Senza voler fare terrorismo psicologico, occorre ricordare che in questi ultimi anni l'accertato aumento di nuovi virus e agenti infettivi nei paesi europei, Italia in primis, è causato dall'aumento di ambienti maggiormente ospitali, grazie appunto ai cambiamenti climatici, non solo per loro ma anche per i vettori specifici, zanzare in primis. Anche questo fenomeno conduce inevitabilmente a elevatissimi costi aggiuntivi da sostenere, anche qui da imputare interamente al global warming.